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Un incontro con i disabili mentali in Bulgaria
Un articolo proposto da Amnesty International denuncia la situazione dei disabili in Bulgaria. Spesso rinchiusi in istituti fin dalla nascita. Un contesto non troppo lontano dal nostro passato.
La prima cosa a colpirmi è l’odore insopportabile. Appena comincio ad abituarmi agli odori ed all’oscurità, respirando con cautela e cercando di mantenere la calma e prepararmi per ciò che mi aspetta, scorgo alcuni gruppi di donne ammassate insieme nella sporcizia, a formare una catena di montaggio. Un gruppo sta di fronte ad un lavandino; le donne si strofinano freneticamente le mani sotto i getti d’acqua che fuoriescono dai rubinetti. Non c’è sapone. Le pozzanghere d’acqua sul pavimento di cemento si trasformano in una pozza. Una donna tiene una pagnotta nell’acqua per renderla più soffice e la mangia sopra il rubinetto. Poi le donne si spostano in una stanza adiacente, piccola, umida, ammuffita ed allagata da uno strato d’acqua. Lì attendono brevemente, affollate in quella stanzetta e avvolte nell’oscurità, fino all’ordine di spostarsi nuovamente.
Prossima fermata: la mensa. Qui i residenti afferrano da una finestrella della cucina una scodella di zuppa fredda ed un piatto con una salsiccia e delle patate schiacciate. Le donne siedono in silenzio o vagano senza meta, tenendo in mano i piatti. Molte mangiano direttamente dal piatto. Altre usano goffamente le posate, un’introduzione recente della casa. Altre usano semplicemente le mani. Alcune donne stanno sedute e urlano senza motivo apparente. Scoppiano risse ogni due minuti. Alcune siedono da sole, rannicchiate. La maggior parte delle persone mangia rapidamente, poi esce e cammina fuori dalla mensa o si sdraia sul prato.
In mezz’ora le 107 donne residenti a Razdol hanno mangiato ed io ho assistito alla conclusione della seconda attività della giornata organizzata per loro. La prossima sarà la cena.
Sono sgomenta e mi sento impotente. Mentre osservo la situazione – una scena che ho visto così tante volte in fotografia lavorando sulle campagne di AI – e dopo aver ascoltato le urla, osservato le donne dondolare pigramente davanti ai loro piatti, mangiare la zuppa con le mani o sedere da sole in un angolo, urlando t[]izzate non appena qualcuno si avvicina, comincio a capire l’orrore della vita in questo luogo.
L’Istituto femminile di Razdol è la mia prima tappa di una serie di visite agli istituti bulgari per disabili mentali, adulti e bambini. Dopo Razdol mi aspettano Tri Kladentsi, Mogilino, Kachulka e Samuil, tutti situati in località remote, sparse per il paese, raggiungibili solo su strade malandate, spesso inutilizzabili nei mesi invernali. Se tutto va bene, in un’ora e mezza si raggiungono dal più vicino centro urbano o dall’autostrada.
Dopo pranzo seguo le donne fuori dalla mensa. Sono immediatamente circondata da donne che toccano me e i miei colleghi del Comitato Helsinki della Bulgaria, chiedendoci sigarette o denaro. Molte stanno sdraiate a terra fissandoci con uno sguardo vuoto. Altre, raggomitolate, stanno immobili, senza scarpe e vestite in abiti stracciati. Solo le più comunicative, che, come scopriamo in seguito, hanno qualche responsabilità all’interno della casa, perché a loro dire "non sono come le altre", sono vestite decentemente.
Distribuiamo sigarette, riempiendo mani aperte ed appagando occhi imploranti. Alcune nascondono discretamente le sigarette in posti segreti all’interno degli abiti. Altre protendono la mano per averne ancora. Altre ci ringraziano dicendoci di tenere per noi le sigarette che rimangono: "sono costose e noi ve le prenderemmo tutte".
La visita al bagno è insopportabile. Si raggiunge dopo aver percorso un lungo corridoio buio e pieno di curve. La puzza è spaventosa. Riesco solo a dare una rapida occhiata all’interno, trattenendo il respiro abbastanza per entrare e subito riuscire per arrivare al corridoio principale dove l’odore non è così forte. I muri sono coperti di feci, anche se il personale li ha lavati con l’acqua prima del nostro arrivo. Mi chiedo come debba essere in una giornata normale.
Una residente anziana, Kalinka, mi prende per mano e mi guida intorno alla casa, raccontandomi di come sia giunta a Razdol da un istituto per bambini. La storia di Kalinka è un tipico esempio di come i disabili mentali vengano abbandonati dalle loro famiglie, spesso alla nascita, e chiusi in istituto per tutta la vita.
Sfortunatamente la mia esperienza a Razdol è solo un breve assaggio del trattamento inumano e degradante a cui sono sottoposti i residenti e a cui assisterò nelle altre visite, in forme e aspetti differenti. La trascuratezza e l’abuso sistematico mi si stagliano davanti ad ogni passo.
Nell’Istituto di Kladentsi languiscono molti bambini disabili, rinchiusi a chiave in una stanza senza giochi, giocattoli o altri segni di attività per far passare loro il tempo. I bambini dondolano avanti e indietro, urlano, si colpiscono e picchiano gli altri.
A Mogilino i bambini costretti a letto giacciono in stanze con dei lettini allineati, circondati da mosche e con lo sguardo spento. Il personale non conosce nemmeno i nomi dei bambini o le loro condizioni: per dirci qualcosa legge le schede personali, come farebbe un qualsiasi visitatore. Quando rivolgo ai bambini un gesto d’affetto tornano alla vita, ridendo al minimo tocco sul viso o sulle braccia. In quel momento capisco che quelli che sopravvivranno andranno a finire in posti come Razdol, senza nome, senza speranza, senza una vita di cui parlare. Giocando con i bambini a Mogilino capisco quanto la vita in istituto sia un circolo vizioso.
All’Istituto di Samuil per donne con gravi disturbi mentali, una giovane stranamente comunicativa e lucida, Tania, mi descrive la sua tragica vita lì e mi mostra uno degli abusi più terribili a cui ho assistito durante le mie visite: una cella di reclusione senza finestre con porte chiuse da sbarre d’acciaio dove giace una donna. Tania mi racconta di come il personale picchia le donne, pratica loro delle iniezioni e le rinchiude in questa cella come punizione per qualche comportamento sbagliato.
Una donna, vestita solo con una camicia aperta sulla schiena e in misero stato ci saluta all’entrata dell’Istituto di Kachulka. Un’altra donna nelle stesse condizioni giace sul pavimento fuori dal dormitorio, esposta agli occhi del personale e dei visitatori.
Alla fine della settimana guidando da Kachulka a Sofia – un viaggio di sei ore – rifletto su tutto quello che ho visto, a centinaia di miglia di distanza, mentre un problema enorme si erge di fronte a me come un muro di mattoni. Quello che ho visto in una settimana è stato solo un breve sguardo su un problema ben radicato. Ci sono oltre 100 istituti di questo tipo nel paese.
La Bulgaria ha ereditato dal periodo comunista precedente il 1990 l’abitudine di tenere i disabili mentali lontani dagli occhi della società. Oggi, come spiega il rappresentante del Comitato Helsinki della Bulgaria, le condizioni nelle case di cura sono peggiori che nelle carceri. A differenza di queste ultime, situate nei centri cittadini per fungere da deterrente contro la criminalità, le case di cura per i disabili mentali si trovano in villaggi di montagna isolati o in piccole cittadine senza infrastrutture adeguate o professionisti in grado di trattare le persone con esigenze particolari – lontane dall’attenzione dei cittadini che, se sensibilizzati sul tema, potrebbero esercitare pressioni per ottenere cambiamenti.
Il trattamento inumano dei residenti riflette anche l’attitudine della gente nei confronti dei disabili mentali, le cui vite non sono ritenute meritevoli di attenzione. Per un paese economicamente povero in seguito alla caduta del comunismo, questi temi non sono una priorità.
La discriminazione contro i disabili mentali non è unica della Bulgaria: l’associazione Mental Disability Rights International ha documentato condizioni simili in posti vicini come il Kossovo e l’Ungheria e lontani come il Messico. E questi problemi sono presenti in tutti i paesi del mondo.
In questo contesto, portare alla luce gli abusi non è sufficiente anche se è un primo passo importante. Un problema più urgente, soprattutto d’inverno, è la necessità di cibo, vestiti, articoli per la pulizia personale come spazzolini da denti e dentifrici. Il personale deve essere formato sui metodi di igiene e sulle attività ricreative e riabilitative, come leggere storie ai residenti o portarli a fare una passeggiata, e sull’uso appropriato delle strutture.
Sono necessari investimenti consistenti a favore dell’abbandono di questi istituti e programmi di sensibilizzazione sociale. Inoltre, per assicurare che i residenti nelle strutture di assistenza sociale vengano trattati umanamente e nel rispetto dei loro diritti umani, le autorità bulgare devono definire standard appropriati per il trattamento e la cura dei disabili mentali ed istituire un meccanismo indipendente di monitoraggio delle strutture.
È importante ricordare che la semplice chiusura degli istituti non è una soluzione, come dimostra il caso del trasferimento dei residenti dalla struttura di Sanadinovo nel giugno 2002: 48 donne sono state trasferite a Kachulka, 7 a Razdol, mentre dei circa 40 residenti restanti ancora oggi non si conosce la destinazione. Fino a che non ci sarà un’azione internazionale e non si raggiungeranno dei miglioramenti concreti, i residenti degli istituti bulgari continueranno a languire in queste strutture.
Fortunatamente le autorità bulgare sono in una buona posizione per agire in questo senso. Non solo diverse istituzioni come la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale per la sanità e l’Iniziativa sulla psichiatria di Ginevra hanno cominciato a finanziare dei programmi o a sponsorizzare eventi che migliorino la vita dei disabili mentali in tutti i paesi del mondo, ma la comunità internazionale sta dando importanza al tema, chiedendo che i diritti sociali economici e culturali diventino una priorità accanto alla tradizionale attenzione per i diritti civili e politici.
Inoltre le Nazioni Unite stanno sviluppando una Convenzione sui diritti delle persone disabili che potrebbe indicare standard rigidi ai governi e alle istituzioni internazionali al fine di garantire ai disabili mentali i loro fondamentali diritti umani.
Con uno sforzo comune e consapevole, le autorità bulgare ed una coalizione unica di istituzioni locali e internazionali possono promuovere cambiamenti radicali. L’atteggiamento fino ad oggi disponibile del governo bulgaro nei confronti degli appelli di AI e del Comitato Helsinki della Bulgaria lascia sperare in un inizio promettente.
Il 10 ottobre, Giornata mondiale delle Nazioni Unite per la salute mentale, Irene Khan, Segretaria Generale di AI, ha illustrato le preoccupazioni di AI e le raccomandazioni relative alla discriminazione nei confronti dei disabili mentali in Bulgaria nel corso di un Forum internazionale organizzato a Sofia in collaborazione con il Comitato Helsinki della Bulgaria e con la partecipazione di rappresentanti della comunità internazionale. Lo stesso giorno AI ha diffuso un rapporto ed un documentario della durata di 20 minuti.
Il lavoro di AI su questo tema potrebbe aiutare le Nazioni Unite nello sviluppo della Convenzione che rappresenterà gli standard cui la comunità internazionale dovrà adeguarsi. Inoltre la Convenzione stabilirà riferimenti importanti non solo per AI ma anche per tutte le organizzazioni per i diritti umani impegnati in progetti simili in altre parti dell’Europa orientale e del mondo.
Nel frattempo, gli uomini, le donne e i bambini rinchiusi negli istituti di assistenza sociale in Bulgaria restano in attesa…
di Theresa Freese-Treeck