Turchia, la repubblica presidenziale di Erdoğan
Una repubblica presidenziale, con forti poteri accentrati nelle mani del capo dello Stato. E’ questa la visione dell’AKP di Recep Tayyp Erdoğan, che dopo il passaggio parlamentare verrà sottoposta a referendum nel 2017
È arrivata in parlamento la proposta di riforma costituzionale che segna la transizione della Repubblica turca da un sistema parlamentare ad uno presidenziale. L’iniziativa è scaturita da settimane di trattative tra il Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP) al governo e il partito della destra nazionalista MHP. I 21 articoli contenuti nella proposta, stabiliscono l’abolizione del primo ministro e trasferiscono il potere esecutivo nelle mani del presidente della Repubblica.
Cambiano la regole di selezione degli alti organi giudiziari e vengono eliminate le rappresentanze delle forze armate in seno ad alcuni organi dello stato. Non vengono invece toccati dalla riforma i principi fondamentali contenuti nei tre articoli iniziali della Costituzione, inclusi i principi del secolarismo e del nazionalismo voluti da Atatürk.
Il nuovo ruolo del presidente
La figura del primo ministro viene abolita: spetterà al presidente la scelta dei ministri di governo, la cui squadra non è più sottoposta a voto di fiducia iniziale da parte del parlamento. La figura del presidente non sarà più super-partes, ma potrà continuare ad operare come guida del partito di appartenenza. Potrà essere eletto per due mandati di cinque anni ciascuno, con la possibilità di un terzo mandato nel caso vengano convocate elezioni anticipate durante il secondo mandato presidenziale. A lui spetterà anche il diritto di sciogliere il parlamento.
Il capo dello Stato potrà esercitare il potere esecutivo attraverso decreti, dai quali sono esclusi temi riguardanti diritti individuali, diritti di base e diritti politici, oltre ai temi già regolati dalle norme costituzionali o dalle leggi in vigore.
Spetta al presidente il potere di dichiarare lo stato di emergenza, oggi prerogativa del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il parlamento potrà estendere lo Stato di Emergenza di ulteriori quattro mesi, limite non valido in caso di guerra.
Al primo cittadino viene anche assegnata l’autorità necessaria a ristrutturare i ministeri e l’apparato burocratico, inclusi i principi di assegnazione dei funzionari pubblici di alto livello.
Passa alla carica presidenziale anche la competenza sulla legge del budget dello stato, in precedenza spettante ai ministri. La commissione di sorveglianza oggi prevista rimane in vigore, ma non è ancora chiara la sua composizione, che ora prevede esponenti di tutti i partiti in parlamento. Il presidente potrà modificare il budget attraverso un decreto anche dopo l’approvazione della commissione.
L’impeachment e le altre modifiche alla Costituzione
Il voto di fiducia attuale, chiamato “gensoru”, è un procedimento che può essere avviato anche a legislatura in corso su proposta di almeno 20 parlamentari che, dopo una votazione dell’assemblea, può portare al decadimento di un ministro o dell’intero governo entro 18 giorni. Questo procedimento è abolito e sostituito con un nuovo meccanismo, chiamato “investigazione”, che può durare fino a 10 mesi e da cui il presidente viene escluso.
Allo stato attuale, per far decadere la figura presidenziale – largamente simbolica – l’unica incriminazione possibile è quella di tradimento, che deve essere sostenuta da una votazione parlamentare con almeno il 75% dei voti favorevoli.
La nuova proposta sostituisce l’accusa di tradimento con un generico “crimine” e richiederà una votazione parlamentare con maggioranza del 50% +1 per avviare il procedimento legale di messa in stato d’accusa. Una commissione parlamentare potrà allora essere formata dopo l’approvazione con voto segreto di almeno 360 parlamentari. Infine, solo un voto favorevole di almeno 400 parlamentari potrà ratificare l’eventuale rinvio a giudizio deciso dalla commissione. In questo caso il presidente verrà processato da almeno 17 giudici membri della Corte Suprema.
Non sarà più possibile presentare un’interrogazione parlamentare orale. Le interrogazioni scritte sono ancora possibili, ma non potranno essere indirizzate direttamente alla figura del presidente, ma solo ai suoi consiglieri o ai ministri. Il numero dei parlamentari passerà dagli attuali 550 a 600, mentre il mandato parlamentare e quello presidenziale verranno legati, imponendo nuove elezioni per entrambi nel caso di scioglimento della camera. Le elezioni parlamentari e presidenziali avverranno sempre in contemporanea ogni cinque anni.
Soggetto di riforma anche l’Hakimler ve Savcılar Yüksek Kurulu (HSYK), l’organo supremo che seleziona giudici e procuratori, li assegna ai vari tribunali e impone procedimenti disciplinari contro di essi. I membri passeranno da 22 a 12, sei dei quali saranno scelti dal presidente. Aboliti invece i tribunali militari, mentre all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale verranno eliminati i seggi spettanti alla gendarmeria delle forze armate. Quest’ultima modifica è particolarmente importante secondo i sostenitori della riforma, tra cui il quotidiano filo-governativo Sabah, perché è chiara indicazione dell’intenzione di voler definitivamente eliminare l’influenza militare sulla vita civile politica del paese.
Referendum nel 2017
Nel complesso la riforma ambisce ad un forte rafforzamento dell’esecutivo e ad una centralizzazione del potere nelle mani del presidente. I favorevoli alla riforma la difendono sostenendo la necessità di rafforzare la presidenza ed eliminare l’endemica conflittualità interna alla macchina statale, che dovrebbe invece agire come un unico corpo, come sostenuto dal primo ministro Binali Yıldırım. Il clima politico e sociale del post-tentato golpe ed il rinnovato conflitto interno con i militanti del PKK hanno rafforzato il sostegno pubblico verso la riforma.
Tra i detrattori delle modifiche proposte alla costituzione il partito repubblicano CHP e il partito di sinistra HDP, entrambi all’opposizione. Il parlamentare CHP Tanrıkulu ha criticato la riforma indicando un conflitto tra l’articolo 8, che indica in massimo due i mandati alla presidenza possibili, e l’articolo 12, che invece consente al presidente in carica di proporsi per un terzo mandato se, durante il secondo, il parlamento dovesse essere sciolto anticipatamente. “Di fatto questa possibilità apre le porte ad un governo dello stesso presidente fino a 14 anni” ha dichiarato Tanrıkulu.
Le voci più critiche, in particolare tra i giornali d’opposizione, sottolineano come con questa riforma venga messa a serio rischio la separazione dei poteri della repubblica, soggiogando al potere esecutivo sia quello legislativo che quello giudiziario. Questo a dispetto del fatto che la separazione dei poteri sia un principio fondante non solo della democrazia come concepita in occidente, “ma anche del diritto politico islamico”, ha sottolineato l’editorialista e commentatore Mustafa Akyol.
Per essere approvata dal parlamento ed indirizzarla verso la consultazione referendaria, la riforma necessita di 330 voti a favore. Il partito di governo AKP dispone soltanto di 317 seggi ed ha quindi trovato nel partito della destra nazionalista MHP un alleato che, con i suoi 39 seggi, è in grado di consentire alla proposta il superamento della soglia.
Appare quindi quasi certa l’approvazione da parte del parlamento, mentre si prevede che il referendum popolare si terrà nella primavera del 2017, probabilmente a maggio. Ottenuto il consenso del popolo, la Turchia attraverserà un periodo di transizione senza elezioni fino al 2019, quando il sistema entrerà pienamente in vigore.