Slovenia, pieni diritti per le coppie LGBT
Un percorso avviato negli anni ’80 e che arriva – forse – a compimento trentacinque anni dopo. Il nuovo codice di famiglia sloveno equipara coppie LGBT a quelle etero. Ma sulla nuova legge vi è l’ombra di un possibile referendum abrogativo
La Slovenia modifica il Codice di famiglia e dà alla comunità LGTB gli stessi diritti che hanno le coppie eterosessuali, compresa la possibilità di adottare bambini. La lunga battaglia per l’eguaglianza, potrebbe essere conclusa, ma il condizionale è ancora d’obbligo, visto che sulla normativa resta la mannaia del referendum abrogativo, subito promosso dagli oppositori del provvedimento.
Anni ’80
Ma andiamo con ordine. La questione dei diritti della comunità omosessuale si fece sentire con forza in Slovenia, per la prima volta, agli inizi degli anni Ottanta. Era quello il periodo in cui stava montando la contestazione al regime e dove i movimenti alternativi, nella più occidentale delle repubbliche jugoslave, stavano prendendo sempre più piede.
Da Lubiana partirono vibrate proteste contro la legislazione ancora presente, in alcune altre repubbliche della federazione, che punivano i rapporti omosessuali e contro la repressione dei gay in Romania ed in generale nei regimi comunisti. In Slovenia si chiedeva di superare i tabù e di partire dalle scuole, per spiegare che l’amore tra persone dello stesso sesso non era una devianza o una malattia, ma una cosa legittima. Era quello il tempo in cui la società slovena appariva agli occhi dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale liberal e urbana. Il quel periodo, del resto, il rispetto dei diritti umani sembrava prevalere su retaggi di ordine etico e religioso.
Presto le priorità sarebbero diventate altre. Con la prime elezioni democratiche del 1990, l’obiettivo divenne quello di costruire lo stato-nazione e soprattutto, di andarsene, pagando il minor prezzo possibile, dal calderone jugoslavo, che oramai stava andando in ebollizione. Da quel momento in poi i ragionamenti sui diritti umani, sulle minoranze ed anche sulla comunità LGBT passarono in secondo piano. Del resto in quel clima di euforia nazional-patriottica fu possibile cancellare dai registri dei residenti 25.000 persone provenienti dalle altre repubbliche della federazione senza che nessuno protestasse.
Tentativi
Fu nel 1995 che la comunità LGBT si fece sentire nuovamente con più forza, quando, con una petizione rivolta al governo, chiese che fossero cancellate le discriminazioni causate dall’orientamento sessuale. L’anno successivo nel salone dei matrimoni del castello di Lubiana vennero inscenati i matrimoni tra una coppia di gay ed una di lesbiche. Da quel momento si susseguirono le richieste acciocché fosse regolata la questione dell’unione tra persone dello stesso sesso.
Bisognerà attendere il giugno del 2005 per vedere approvata la prima legge in materia, voluta dal governo di centrodestra. Era una risposta a chi chiedeva ben più radicali concessioni. La normativa fu bersagliata dalle critiche della comunità LGBT e dalle frange più liberali della società. A quel punto, però, il dibattito sull’equiparazione tra i diritti delle coppie eterosessuali e quelle omosessuali era oramai aperto.
Nel 2011 sembrava fatta o quasi. La Camera di stato approvò il nuovo Codice di famiglia. Nella legge alle coppie LGTB vennero concessi gli stessi diritti di quelle eterosessuali; l’unica eccezione riguardò l’adozione dei figli, dove, alle coppie omosessuali venne consentita l’adozione solo del figlio biologico del proprio partner. Inizialmente la limitazione non c’era, ma senza quella modifica una disposizione così avanzata avrebbe spaccato anche il centrosinistra. La legge venne approvata per pochi voti e scatenò un putiferio. Si disse che era inammissibile equiparare il matrimonio tra uomo e donna con quello tra due persone dello stesso sesso. Significativamente il dibattito che accompagnò l’approvazione del nuovo Codice di famiglia regalò momenti di raro squallore e di manifesta omofobia.
Alla fine la “società civile” con il sostegno della chiesa e dei partiti di centrodestra promosse un referendum. Con un affluenza del 30% ed in assenza di un quorum per considerare valida la consultazione la legge fu abrogata con il 55% dei voti. Tutto da rifare.
Liberali e europei
Tra crisi economiche, cadute di governo ed elezioni anticipate, si continuò a discutere sotto traccia della riforma del codice di famiglia. Non era una priorità nemmeno dell’attuale governo. Il premier Miro Cerar, con il suo partito, nato dal nulla poco prima delle ultime elezioni anticipate, avrebbe voluto non doversi esprimere in materia. Quando bussò alle porte dell’ALDE, la coalizione dei partiti liberali dell’Unione Europea, fu però messo alle strette. Gli fecero capire che quella era una condizione praticamente imprescindibile per far parte della grande famiglie liberale europea.
In ogni modo, mentre il governo cincischiava, è stata la Sinistra unita – la nova formazione radicale entrata per la prima volta in parlamento lo scorso anno – a battere sul tempo l’esecutivo e a presentare una serie di emendamenti al Codice di famiglia esistente, che equipara in tutto e per tutto le coppie dello eterosessuali a quelle omosessuali. La legge questa volta, è stata approvata, ad ampia maggioranza. 51 i voti a favore, 28 quelli contrari. Il dibattito in parlamento è stato pacato.
La contestazione non è stata tanto sull’equiparazione dei diritti, ma sulla parte che consente l’adozione di bambini. Dai banchi del governo hanno tentato di precisare non c’è nessun diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso, ma semplicemente quello di accedere ad una lunga e difficile pratica. Nel paese vengono dati in adozione circa una decina di bambini ogni anno, mentre in questo momento le richieste sono 572.
Referendum?
Davanti al parlamento migliaia di persone hanno manifestato contro l’approvazione della normativa, al motto: “Ne va dei bambini”. Ad organizzare la protesta gli stessi promotori del referendum di 4 anni fa. In 7 giorni dovevano raccogliere 2500 firme per avviare le pratiche di raccolta delle firme per indire la consultazione. Ne hanno presentate oltre 80.000, superando di fatto di due volte la quota necessaria per chiedere l’indizione di un referendum. Ora la palla passa nuovamente al parlamento.
E’ ipotizzabile che il presidente della Camera chieda alla Corte costituzionale l’ammissibilità del quesito. Anni fa i giudici consentirono un’analoga consultazione, ma ora le regole del gioco sono cambiate. Non sono infatti ammessi referendum che riguardino i diritti umani. Rimane da capire come si comporteranno i giudici. Per ora le opinioni sono spaccate. La comunità LGBT guarda con speranza alla Corte costituzionale ed anche alle nuove normative referendarie che adesso prevedono che per far abrogare la legge non basta vincere la consultazione, ma anche che i voti contrari debbano superare la soglia del 20% di tutti gli aventi diritto. La guerra non è ancora vinta.