Slovenia: il ritorno di Janša
Il nuovo primo ministro della Slovenia sarà Janez Janša. Pronosticato quale favorito alla vigilia delle recenti politiche ne era però uscito sconfitto, ciononostante è l’unico ad essere riuscito a raccogliere attorno a sé una maggioranza parlamentare. Il nostro approfondimento
Alla fine tutto è andato come doveva andare. Il nuovo pentapartito, composto da Democratici, Lista Virant, Popolari Pensionati e Nuova Slovenia, a cui si sono aggiunti anche i deputati delle minoranze italiana ed ungherese, ha garantito a Janez Janša un’ampia maggioranza. Il nuovo premier ha ottenuto un voto in meno rispetto a quelli che gli erano stati promessi: 51 sì e 39 no. Adesso avrà 15 giorni di tempo per presentare alla camera la lista dei ministri.
Per Janša la strada verso la nomina non è stata facile. La sua candidatura è stata presentata alla camera dai 50 deputati della coalizione e non dal capo dello Stato, Danilo Türk, che infatti ha deciso di non proporre alcun nome al parlamento, anche se era chiaro che Janša avrebbe avuto la maggioranza.
Deficit di legittimità
Il presidente ha motivato la decisione parlando di un “deficit di legittimità” per Janša, in quanto alla sbarra nel procedimento penale per le tangenti che gli sarebbero state corrisposte nell’affare della fornitura dei blindati finlandesi Patria all’esercito sloveno. Tra i due uomini politici, del resto, è guerra aperta oramai da anni: dal momento del conferimento di un’alta onorificenza all’ultimo ministro degli Interni sloveno dell’epoca comunista. La polemica che ne è seguita ha portato persino il partito di Janša ad accusare il capo dello Stato di essere coinvolto in una operazione di t[]ismo internazionale negli anni Settanta, addebiti questi che poi si sono rivelati infondati.
Janša in questi giorni ha cercato di essere, per quanto ha potuto, conciliante. Alla Camera non ha fatto duri discorsi, ma piuttosto si è detto pronto a collaborare anche con l’opposizione. Persino i suoi battaglieri deputati hanno tentato di limitare l’infuocata retorica che li contraddistingue.
Non sarà una legislatura semplice
Per lui comunque non sarà facile. E’ temuto e visto come una sorta di principe delle tenebre da una parte dell’opinione pubblica. Nei suoi confronti piovono accuse di aver alimentato ad arte il conflitto con la Croazia, di aver diffuso il seme dell’intolleranza etnica nei confronti degli immigrati e dei rom, nonché di aver tentato, nel periodo del suo primo governo, di mettere le mani sui mass media e di aver tagliato indiscriminatamente teste nell’amministrazione pubblica e nelle aziende controllate dallo stato per piazzare al loro posto suoi fedelissimi.
Janša, idolatrato dai suoi sostenitori pronti a seguirlo acriticamente in ogni battaglia, questa volta più che sulle sue indiscusse doti di condottiero dal pugno di ferro, dovrà fare affidamento sulle sue capacità di mediazione, un terreno che per ora non ha mai percorso nella sua lunga carriera politica.
Si troverà a gestire una variopinta coalizione che si reggerà su precari equilibri e che alla prima forzatura potrebbe andare in crisi. Si va dai liberisti di Virant, che vorrebbero imporre privatizzazioni e libero mercato, al Partito dei pensionati, che vuole pensioni decenti, armonizzate con i salari e l’inflazione, ma anche scuola e sanità pubblica.
Non si sta meglio nemmeno in altri campi, visto che i valori della società tradizionale difesi del Partito popolare e ancor più dei democristiani di Nuova Slovenia, cozzano con quelli molto liberali della Lista Virant, mentre se il Partito dei pensionati si richiama ai valori della Resistenza, Nuova Slovenia è da sempre stata molto vicina agli sloveni che nella Seconda guerra mondiale stavano dall’altra parte della barricata.
Il ritorno
Forse proprio per questo la coalizione si è impegnata a non aprire questioni di carattere ideologico, un tema questo sempre molto caro alle forze politiche in Slovenia. Era probabilmente il prezzo che Janša ha dovuto pagare per farsi restituire dal parlamento quello che gli elettori avevano “rubato” alle scorse elezioni.
Prima del voto del 4 dicembre, infatti, non sembravano esserci dubbi. Janez Janša pareva destinato a tornare a guidare il governo sloveno. Si era costruito la vittoria passo passo. Dai banchi dell’opposizione non aveva dato tregua al fragile governo di centrosinistra e aveva affossato a colpi di referendum tutti i principali progetti di riforma dell’esecutivo.
I democratici avevano elaborato un accorto programma e potevano contare su una buona squadra, erano talmente convinti di vincere che avevano già pronti i primi provvedimenti anti-crisi e persino un pacchetto di modifiche costituzionali. Ovviamente non avevano fatto i conti con Zoran Janković.
Nessuno ipotizzava seriamente che il sindaco di Lubiana riuscisse a conquistare la maggioranza relativa alle elezioni. Costretto a scendere in campo in fretta e furia, per evitare che la vittoria del centrodestra assumesse dimensioni “ungheresi”, aveva raffazzonato un programma ed una squadra approssimativa.
A Janković è andata bene
A Janković, così, è toccato il primo tentativo di costituire il nuovo governo e le cose per lui sono andate benissimo, visto che non c’è riuscito grazie ai giochi orchestrati dai suoi potenziali alleati. Governare sarebbe stato difficile, la sua coalizione traballante e l’opposizione di Janša e dei suoi uomini sarebbe stata durissima e senza esclusione di colpi.
Nel periodo, forse nemmeno troppo lontano, che ci separa dalle prossime elezioni anticipate, Janković potrà dedicarsi all’organizzazione della sua forza politica "Slovenia positiva", al consolidamento del suo ruolo di leader del centrosinistra e a orchestrare un efficace opposizione al governo Janša.
Cavallerescamente ha affermato che il suo partito non intende “fare dispetti” al nuovo esecutivo, ma nel contempo ha subito annunciato che manderanno al vaglio della Corte costituzionale la nuova Legge sul governo, che accorpa alcuni ministeri, tra cui quello della Cultura e che fa passare il controllo della Procura della repubblica dal ministero della Giustizia a quello dell’Interno. Il viatico, è stato detto da alcuni, per instaurare uno stato di polizia su misura per l’“autoritario” Janša.
Ostaggio dei piccoli
Sta di fatto che sia Janša sia Janković più che protagonisti dei giochi per la formazione del nuovo governo sono stati dei comprimari. A decidere chi dovesse governare sono state due piccole forze di centro, Lista Virant e Partito dei pensionati, che dopo molti tentennamenti hanno scelto di allearsi con Janša. Il cincischiare delle due formazioni non ha mancato di farle sommergere da una valanga di critiche e farle crollare nei sondaggi. I loro vanitosi leader, Gregor Virant e Karl Erjavec del resto avevano subito posto ai potenziali alleati richieste altissime, che li hanno fatti apparire come il gatto e la volpe della politica slovena.
A uscirne peggio alla fine è stato Virant, che si è presentato all’opinione pubblica come un saccente moralizzatore. Chiedeva elevatissimi standard etici ai suoi potenziali alleati, che adesso, con Janša, sembrano essere meno importanti. Il suo proposito di non far guidare agli uomini di Janša né il ministero della Giustizia né quello degli Interni adesso sembra essersi annacquato. Del resto lui sembra voler rimanere a tutti i costi avvinghiato alla comoda poltrona di Presidente della camera, conquistata con un abile stratagemma, grazie ai voti di Janša, mentre negoziava l’alleanza con Janković.