Serbia: il fattore K
Nonostante le sconfitte incassate dal suo governo, dalla secessione del Montenegro all’interruzione del percorso di integrazione europea, l’attuale Primo ministro Vojislav Kostunica resta al centro degli scenari politici post elettorali. L’editoriale di Vreme
Di Dragoljub Zarkovic, per Vreme, 11 gennaio 2007
Traduzione di Jasna Andjelic per Le Courrier des Balkans, e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani
Quando avevo dato una buona valutazione del governo Kostunica, in occasione del suo primo anniversario, poco è mancato che venissi espulso dalle case editrici più prestigiose di Belgrado, tanto più che le mie dichiarazioni erano state ampiamente riprese e citate da tutti coloro i quali, all’epoca, ancora non osavano confessare le loro simpatie per Kostunica.
Viceversa oggi, in occasione dei mille giorni del governo Kostunica (un governo minoritario sotto ogni punto di vista), sento dei commenti positivi, non solo di carattere tecnico, che provengono dai suoi principali avversari politici, ad esclusione di quelli che non pensano ad altro che ad essi stessi, obnubilati dalla speranza di raggiungere quel famoso 5% che qui permette di entrare in Parlamento, come se ciò fosse sufficiente a pagare il prezzo dei cambiamenti della società serba, della politica e del corso della storia.
Montenegro e Ratko Mladic, sconfitte silenziose
Vojislav Kostunica ha dovuto superare, evidentemente, delle pesanti sconfitte, ma è riuscito a passarle sotto silenzio collettivo. Saranno sufficienti due esempi: il primo, il suo fervente impegno a salvaguardare ad ogni costo la comunità, politicamente composita, di Serbia e Montenegro, un impegno così strano per uno spirito pragmatico come il suo. Nessuno glielo rinfaccia nella campagna elettorale attualmente in corso. D’altra parte, egli non ha nemmeno mantenuto la promessa di consegnare Mladic al TPI, ma Mladic non rappresenta un soggetto interessante per i partiti politici che pretendono di ritrovarsi in Parlamento, dato che essi dovranno, a loro volta, farsi carico di questo caso.
Attualmente, tutti sostengono che Kostunica abbia fatto più di quanto si sperava. A dire la verità, non si è ottenuto nulla di particolarmente prezioso, salvo che le mie valutazioni su Kostunica si sono rivelate corrette: quest’uomo che si diceva pigro, addormentato, inattivo, non lo era del tutto. Egli ha passato notti in bianco a preparare le risposte alle critiche dei suoi oppositori politici. Se mi è permesso dirlo, egli è un grande tecnico del potere, a somiglianza di Kule Acimovic, il numero dieci della Stella rossa, che difendeva la palla per servirla a Dragan Dzajic, che la faceva poi partire verso la testa di Lazarevic.
I populisti restano in gioco
È facile notare che Kostunica è onnipresente in tutte le combinazioni post-elettorali sulla costituzione del nuovo governo. Per restare nell’ambito dei paragoni calcistici, egli mantiene la sua posizione a centrocampo, il che gli permette di sorvegliare il gioco e di scegliere a chi dare la palla. Il nuovo dizionario politico descrive questa abilità come «un grande potenziale di coalizione», e io oso predire che Kostunica non uscirà perdente da queste elezioni.
Al contrario questo rischio lo corrono tutti gli altri. Il sostegno degli elettori ai radicali potrebbe scendere al di sotto del 30%. Gli ambiziosi democratici di Boris Tadic hanno paura di essere sorpassati da Kostunica. Gli altri hanno paura di non raggiungere la soglia del 5%.
Solo la coalizione dei partiti popolari, a cui nessuno accordava la minima possibilità di restare al potere più di 200 giorni, non corre il rischio di essere scossa. Ad essa sembra assicurato, da un minimo del 17, fino al 25% dei suffragi che saranno espressi il 21 gennaio. La sola cosa certa è che nessuno potrà costituire il nuovo governo senza Kostunica e i suoi.
Questi ultimi senza alcun dubbio apprezzano tale idea, ma questa soddisfazione non è necessariamente da noi condivisa. Personalmente io avrei preferito che questo governo avesse dato prova di una maggiore determinazione nelle riforme delle strutture economiche e sociali, che avesse avviato la privatizzazione del settore pubblico, che avesse ripulito il sistema giudiziario con più efficacia, assicurato i meccanismi di controllo civile sui servizi di sicurezza, reso la Serbia più civile, anche senza un accesso formale all’Accordo di stabilizzazione e associazione (SAA) con l’UE, che il dialogo politico interno sul Kosovo fosse stato più aperto, che il governo avesse lavorato sull’apertura delle frontiere ai cittadini e alle merci da noi prodotte… La lista potrebbe dilungarsi, ma non cambierebbe la valutazione che gli avevo accordato all’epoca.
Dribbling in spazi stretti: la costituzione del nuovo governo
Si avvicina la fine della campagna elettorale. Già avevo previsto che si sarebbero nuovamente cercati gli assassini di Zoran Djindjic (vedi Nebojsa Covic, intervista a Blic, 9 gennaio), che si sarebbero fatte uscire delle prove, inconsistenti o poco affidabili, sui ladrocini, sulle relazioni amorose, sugli storni di fondi pubblici, e su tutto ciò che si racconta per difendere o conquistare delle cariche politiche.
Stando ai pronostici di Jelica Minic, collaboratrice scientifica presso l’Istituto di scienze economiche di Belgrado, si tratta in realtà dell’ultima tornata di grandi trasferimenti di proprietà pubbliche e di grandi, lucrosi affari. Quelli che ne rimarranno al di fuori non potranno più approfittarne, e le prossime elezioni serbe saranno noiose.
Le campagne elettorali troppo lunghe confondono il pubblico, e i media, i resoconti e i commenti si ripetono, come se tutti non aspettassero che la pubblicazione dei risultati, nella notte tra il 21 e il 22 gennaio. In effetti, i problemi inizieranno solo allora, dato che la formazione del governo, all’ombra delle proposte di Martti Ahtisaari sullo status del Kosovo, ricorda il celebre cubo di Rubik, sempre a un passo dalla soluzione.
Avevo già detto da qualche parte che la Serbia avrebbe potuto vedere altre nuove elezioni piuttosto che un nuovo governo. Tanto più che il termine per la costituzione di quest’ultimo è stabilito dalla Costituzione. La formazione di un governo di minoranza da parte di Kostunica non sarebbe sorprendente, ma la media dei suoi voti sarebbe sicuramente più bassa di quella attuale. Questo governo sarebbe limitato e condizionato da troppi compromessi per permettere una vita politica sana. La Serbia di Kostunica aveva da principio garantito una pausa e una certa stabilità dopo l’assassinio del Primo ministro Djindjic, ma ciò non basta più per l’avvenire. La Serbia ha bisogno di fare un passo in avanti, ha bisogno di persone che passino la palla in avanti, e non di giocatori che non fanno altro che difenderla, senza passarla a nessuno.