Serbia: detenuti affermano di essere stati torturati
Secondo le testimonianze raccolte da IWPR le persone sospette detenute durante l’azione di polizia organizzata dopo l’uccisione di Djindjic sarebbero state soggette ad abusi. Traduzione a cura di Notizie Est.
di Dragana Nikolic-Solomon e Gordana Igric ("IWPR" Londra, 4 giugno 2003)
Quella che segue è la traduzione del rapporto investigativo redatto dai giornalisti di IWPR curata da Andrea Ferrario e pubblicata su Notizie Est l’11 giugno 2003, la nota che precede il testo è firmata dal traduttore.
Nota: Questo dettagliato articolo di IWPR conferma le denunce già formulate in precedenza da Human Rights Watch e dal Fondo per il Diritto Umanitario (FHP) di Belgrado. Testimonianze dettagliate sulle torture e i maltrattamenti sistematici, nonché sugli arresti del tutto arbitrari, erano state raccolte anche dai media serbi (si veda per es. la testimonianza dell’attivista anarchico Ratibor Trivunac in "NIN" del 29 aprile 2003). Richiamiamo l’attenzione sul ruolo delle unità speciali SAJ che, come i "berretti rossi", si sono macchiate di numerosi eccidi in Kosovo; è presso loro basi in Serbia che sono state trovate le fosse comuni contenenti centinaia di cadaveri di albanesi. Il fatto che le SAJ abbiano "gestito" gran parte delle operazioni durante lo stato di emergenza è un’ulteriore conferma di come in Serbia ben poco sia cambiato – a.f.
In seguito all’operazione su vasta scala organizzata dalla polizia dopo l’assassinio del primo ministro Zoran Djindjic, IWPR ha raccolto testimonianze che indicano l’uso della tortura e di altre forme di maltrattamento contro persone detenute perché sospettate.
Le prove indicano che il maltrattamento dei detenuti è stato molto più diffuso di quanto suggeriscono le dichiarazioni del governo serbo, delle Nazioni Unite e dell’OSCE.
Un esperto internazionale di diritti umani che opera a Belgrado e ha chiesto che il suo nome non venga citato, ha affermato che circa il 30% di coloro che sono stati arrestati è stato sottoposto a qualche forma di maltrattamento.
Condotta durante lo stato di emergenza in vigore a partire dal 12 marzo, il giorno in cui Djindjic è stato ucciso, fino al 22 aprile, la "Operazione Sciabola" messa in atto dalla polizia serba ha portato all’arresto di almeno 10.000 persone.
Le indagini mirano a trovare gli assassini e a sconfiggere la criminalità organizzata. Sono state emesse incriminazioni contro almeno 3.400 persone. Il 29 aprile le autorità hanno accusato 45 persone, per la maggior parte membri del famigerato clan di Zemun, di avere pianificato ed eseguito l’assassinio di Djindjic.
1.000 persone rimangono in custodia ai sensi delle controverse nuove normative, secondo le quali i sospetti possono essere tenuti in prigione per due mesi o più senza avere contatti con gli avvocati e i parenti, e senza la possibilità di un’udienza in tribunale. Le rimanenti persone sono state liberate.
TESTIMONIANZE SULLE TORTURE
Le principali forme di maltrattamento segnalate sono violenti percosse e soffocamento. Sono stati segnalati anche casi di scosse elettriche. Alcuni detenuti sono stati forzati a firmare confessioni sotto tortura. Gli abusi segnalati sono stati messi in atto in diverse sedi.
Milan Vukovic, proprietario di un ristorante a Belgrado, è stato arrestato il 13 marzo, il giorno dopo l’introduzione dello stato di emergenza. Accusato di fare parte del gruppo ritenuto responsabile dell’uccisione del primo ministro, è stato in prigione per un mese. Successivamente è stato rilasciato senza che alcuna accusa fosse stata emessa contro di lui.
Vukovic ha descritto il trattamento che gli è stato riservato dalla polizia a Makis, nei pressi di Belgrado, dove hanno sede le unità speciali del Ministero degli Interni incaricate della lotta contro il crimine.
"Un gruppo di cinque o sei poliziotti mascherati mi ha legato le mani a una sedia fissata al pavimento e mi ha infilato un sacchetto di plastica sulla testa", ha raccontato a IWPR. "Dopo un attimo avevo consumato tutta l’aria. Il sacchetto mi aderiva alla faccia e ho cominciato a dimenarmi per cercare di respirare. Quando era diventato evidente che stavo soffocando, hanno effettuato dei fori nel sacchetto. Hanno fatto questo gioco due volte".
"Mi hanno chiesto di ammettere che sono un narcotrafficante, un membro del racket e un contrabbandiere di armi. Dovevo confessare anche di avere commerciato illegalmente in petrolio, sigarette e valuta estera. Non mi hanno picchiato. Ma quando mi sono trovato nella prigione centrale di Belgrado, ho visto decine di persone picchiate negli atrii e nei corridoi".
Vukovic è uno dei pochi che non hanno paura di parlare delle torture delle quali sono stati oggetto senza chiedere che i loro veri nomi non venissero citati.
Un uomo che ha parlato a IWPR con la condizione che il suo nome restasse anonimo, ha detto di essere stato arrestato e di avere passato 30 giorni in custodia prima di essere rilasciato senza spiegazioni. Preoccupato per se stesso e per la propria famiglia, in un primo momento ha esistato a parlare, ma alla fine ha raccontato di essere stato percosso mentre si trovava in custodia. "Non si trattava di gente di qui, venivano da qualche altro posto e indossavano passamontagna", ha raccontato.
E’ stata raccolta una serie di testimonianze anche riguardo a un gruppo di persone della città di Krusevac, tutte accusate di essere coinvolte nella criminalità organizzata. La maggior parte di esse si trova ancora in prigione e quindi IWPR ha potuto parlare solo con gli avvocati e i parenti di coloro ai quali è stato permesso un contatto con l’esterno. Altri non hanno mai avuto la possibilità di ricorrere a un avvocato da quando si trovano in prigione.
Goran, marito di Sandra Petrovic, e suo fratello Igor Gajic sono stati arrestati a Krusevac il 14 marzo. Sandra Petrovic ha raccontato a IWPR che entrambi gli uomini sono scomparsi senza lasciare traccia e che la famiglia non è stata in grado di entrare in contatto con loro per più di un mese. Ha potuto vedere suo marito il 13 maggio, quando è stato portato di fronte a un giudice per le indagini.
"Non riuscivo quasi a riconoscerlo. Aveva difficoltà a camminare ed era dimagrito di sette-otto chili", ha raccontato a IWPR.
Suo marito le ha detto che la polizia lo aveva portato in una foresta dopo avere messo sulla sua testa un sacco con una fessura per respirare, e poi aveva fissato il sacco con del nastro adesivo. Lo hanno picchiato fino a fargli perdere la conoscenza due volte.
Parlando il 26 maggio, l’avvocato Dejan Jovanovic ha detto che Goran Petrovic gli ha raccontato la stessa storia e che lui e altri carcerati hanno detto di essere stati "picchiati in maniera molto brutale". L’avvocato ha raccontato che hanno tutti subito "visibili conseguenze mentali e fisiche". L’avvocato ha inoltre detto che Petrovic ha riportato una frattura della colonna vertebrale.
Quando Sandra Petrovic ha visto suo fratello Igor, quest’ultimo aveva perso più di 10 chili. La donna ha raccontato che anche lui è stato portato in un bosco dopo che gli avevano messo un sacco sulla testa, fissandolo poi con del nastro adesivo. Suo fratello le ha raccontato che gli hanno versato dell’acqua addosso e gli hanno dato delle scosse elettriche con dei cavi. Ha chiesto al giudice per le indagini di mettere a rapporto le sue dichiarazioni.
Secondo Sandra, dopo essere stati picchiati, i due uomini sono stati portati alla stazione di polizia di Krusevac, dove sono state raccolte le loro dichiarazioni. I due sono poi stati trasferiti dalla prigione di Cuprija a Belgrado, su istruzione del procuratore speciale per la criminalità organizzata. Sono spariti senza lasciare traccia, fino a quando la famiglia infine li ha rintracciati con l’aiuto di due avvocati.
Violeta Kojic, il cui marito Vladan è anch’esso stato arrestato a Krusevac il 14 marzo, ha raccontato a IWPR che suo marito è stato fortemente percosso e ora ha difficoltà a camminare. Violeta Kojic ha raccontato che le sue condizioni fisiche e mentali sono cattive, che ha cercato di tagliarsi le vene dei polsi due volte, e che è stato portato all’Ospedale Militare di Belgrado.
L’avvocato di Kojic, Momir Vuckovic, ha confermato il suo racconto. "Non ho mai visto nella mia vita un uomo picchiato in maniera così forte", ha detto in un’intervista rilasciata a IWPR il 25 maggio. "Non c’è punto del suo corpo che non sia coperto da ematomi".
Egli ha confermato a IWPR che il suo cliente ha cercato di suicidarsi e che Kojic gli ha detto: "Preferisco uccidermi da solo piuttosto che lasciarmi uccidere da loro".
Dopo essere stati detenuti per 60 giorni, Kojic e altri sono stati traferiti a Belgrado su ordine del procuratore speciale che si occupa di criminalità organizzata. I loro avvocati non ne sono stati informati.
A un terzo uomo, Slavoljub Markovic, arrestato contemporaneamente a Kojic e Petrovic, è stato consentito di vedere il proprio avvocato solo una volta.
"Il mio cliente non sembra più la persona che conoscevo prima dell’arresto. Soffre di disturbi mentali e ha cercato di suicidarsi", ha raccontato a IWPR il 26 maggio l’avvocato, che ha chiesto di non essere nominato.
"Mi ha raccontato di essere stato portato in un bosco", ha spiegato Emina, moglie di Markovic. "Gli avevano infilato un sacco sulla testa. E’ lì che lo hanno picchiato".
"Ho visto mio marito venerdì scorso nella prigione di Krusevac", continua il suo racconto. "Ho avuto difficoltà a riconoscerlo. Aveva perso 12 chili e aveva il naso rotto. Ci sono tracce di sangue sugli indumenti che ho portato indietro dalla prigione. Le ginocchia dei pantaloni erano strappate, probabilmente perché lo hanno fatto strisciare sulle ginocchia".
"Mio marito mi ha raccontato di essere stato picchiato quattro volte – due delle quali dopo che lo stato di emergenza è stato revocato. Mi ha detto che hanno cercato di estorcergli con la tortura l’ammissione di cose che non ha mai fatto, perché volevano incastrarlo".
Almeno Markovic ha potuto vedere il suo avvocato. Quest’ultimo ha raccontato a IWPR del caso di Zivorad Zivkovic, che è stato nella prigione di Krusevac per tre mesi senza potere avere accesso a un avvocato. Dopo avere passato 30 giorni sotto arresto, gli sono stati comminati altri 60 giorni di dentenzione ai sensi della legge approvata dal parlamento in aprile.
Sono stati registrati casi di abuso anche tra le 45 persone accusate di complicità nell’omicidio di Djindjic. IWPR ha ottenuto informazioni su due di questi da un esperto internazionale di diritti umani. Uno di tali casi riguarda un uomo di Belgrado che stava dormendo in casa sua quando ha fatto irruzione l’Unità Speciale Antiterroristica (SAJ) del Ministero degli Interni.
Né lui, né altre due persone che si trovavano lì le hanno sentite entrare. La polizia lo ha svegliato e, racconta l’uomo, "ha cominciato a prendermi a calci e a picchiarmi con i manganelli. E’ durato circa 15-20 minuti. Hanno fatto lo stesso agli altri due – uno di loro se la è fatta nei pantaloni in conseguenza delle botte". Il testimone è stato quindi portato alla stazione di polizia e successivamente incriminato.
ALTRE FORME DI MALTRATTAMENTO
Altre testimonianze raccolte da IWPR riguardano forme di abuso e di trattamento umiliante diverse dalla violenza fisica.
La privazione del sonno è stata applicata, secondo quanto è stato riportato, a Svetlana Raznatovic, una famosa cantante e vedova del leader paramilitare Zeljko "Arkan" Raznatovic. Meglio nota con il nome pubblico di Ceca, ha raccontato agli esperti internazionali che la polizia le ha impedito di dormire per 35 ore di seguito, sottoponendola a interrogatori continui da parte di poliziotti che si davano il turno. Slobodan Pazin, un importante ex poliziotto che si occupava di casi di crimine violento a Belgrado, ha raccontato alla stessa fonte di essere stato privato del sonno per almeno 40 ore con le stesse modalità. I due sono stati arrestati durante l’Operazione Sciabola e sono ancora detenuti.
Un noto avvocato di Belgrado, che ha parlato a condizione di restare anonimo, ha raccontato a IWPR che a suo parere l’intera procedura di detenzione equivale a un maltrattamento deliberato.
"Non si tratta forse di tortura quando un uomo viene gettato in un sotterraneo e lasciato senza contatti con la propria famiglia e il mondo esterno per interi giorni? Alla gente non è stato consentito di lavarsi o cambiarsi i vestiti per 30 giorni", ha detto.
"Molti di loro sono stati rilasciati dopo avere passato settimane in arresto, senza che nessuno facesse loro domande o li interrogasse durante l’intero periodo".
"La cosa che si sentivano dire più spesso dalla polizia e che faceva parte delle torture psicologiche era: ‘Voi siete dei criminali e non avete nessun diritto’".
L’avvocato continua: "Ho parlato a un uomo che ha passato 22 giorni nello scantinato della stazione di polizia a Zemun. Durante i primi tre giorni non gli hanno mai dato da mangiare e non aveva nulla per coprirsi mentre dormiva su una panca in una cella con i vetri rotti. E’ stato rilasciato senza che nessuno lo avesse interrogato e contro di lui non è stata mossa alcuna accusa".
Molte altre persone hanno rifiutato di parlare a IWPR. In alcuni casi sui quali IWPR ha raccolto informazioni, la presunta vittima si trovava ancora in carcere. In tali casi, le testimonianze sono state raccolte presso gli avvocati e le mogli. Le persone già rilasciate si sono dimostrate riluttanti a parlare, per il timore di essere soggette a un nuovo arresto o ad altre forme di persecuzione. Molti di coloro che hanno parlato hanno chiesto di rimanere anonimi.
Oltre a raccogliere le dichiarazioni dei testimoni, IWPR ha parlato a svariati esperti locali e internazionali che lavorano nel sistema legale della Serbia o sono impegnati nel monitoraggio delle violazioni dei diritti umani. A differenza del rapporto pubblicato dall’OSCE e dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNHCHR), sul quale ci diffonderemo più sotto, queste fonti indicano che si è trattato di problemi diffusi.
I POTERI DI ARRESTO E DETENZIONE DELLA POLIZIA
Gli asseriti abusi sono avvenuti nel contesto di un ingente numero di arresti effettuati ai sensi delle nuove norme, che consentono di tenere in segregazione le persone sospette per un periodo fino a due mesi. Tale normativa fa sì che i detenuti non possano difendersi nel periodo cruciale prima che venga formulata un’accusa penale.
La maggior parte degli abusi rilevati riguarda questa fase iniziale. Una volta che i sospetti vengono accusati e trasferiti dalla detenzione presso la polizia in una prigione possono essere visitati da un dottore che è tenuto a documentare le lesioni.
In un caso di cui IWPR ha avuto segnalazione, un documento di questo tipo è stato mostrato ai membri di un’organizzazione internazionale quando hanno chiesto di un particolare prigioniero (che non è stato consentito loro di vedere). Il documento diceva che l’uomo aveva un occhio nero ed ematomi sulla pianta dei piedi, segni che lasciavano intendere come egli fosse stato picchiato.
Svariate fonti degli ambienti giudiziari, della professione legale e delle organizzazioni internazionali hanno detto a IWPR che la maggior parte dei maltrattamenti fisici ha avuto luogo durante l’arresto o la detenzione preliminare. Queste fonti sostengono che tra gli abusi peggiori vanno annoverati quelli compiuti dalle unità speciali SAJ.
"Praticamente tutti coloro che sono finiti nelle mani delle SAJ sono stati sottoposti a torture", racconta una di queste fonti.
I poteri estesi di detenzione concessi alla polizia hanno trovato origine nell’ordinanza di emergenza firmata dalla facente funzione di presidente della Serbia, Natasa Micic, quando è iniziato lo stato di emergenza. E’ stato così dato alla polizia il diritto di detenere chiunque fosse considerato un "pericolo per la sicurezza di altri cittadini della repubblica" e di tenerlo in custodia per 30 giorni. Durante tale periodo di tempo i sospetti non hanno il diritto di vedere un avvocato, di comparire di fronte a un giudice o di contattare la propria famiglia.
L’ordinanza è scaduta con la fine dello stato di emergenza, ma l’11 aprile il parlamento della Serbia ha emendato la legislazione sulla criminalità organizzata per dare alla polizia poteri ancora più draconiani. Ora i poliziotti possono tenere in segregazione i sospetti fino a 60 giorni e per farlo devono ottenere unicamente l’approvazione dei loro superiori nel Ministero degli Interni. Il giudice per le indagini può inoltre ordinare la detenzione per altri 90 giorni in casi speciali.
In alcuni casi, i sospetti sono stati inizialmente detenuti in conformità all’ordinanza riguardante lo stato di emergenza, ma sono rimasti in detenzione ai sensi della nuova legge e pertanto potrebbero non vedere un avvocato per tre mesi.
Human Rights Watch ha detto che tenere i sospetti in isolamento prolungato è una violazione degli standard internazionali. "La giurisprudenza del Tribunale Europeo per i Diritti Umani ha stabilito che anche una detenzione in segregazione per un periodo di tempo significativamente più breve di quello consentito in Serbia viola la Convenzione Europea sui Diritti Umani", dice una dichiarazione emessa il 10 maggio dall’organizzazione.
Ai sospetti viene consentito l’accesso ad avvocati solo quando vengono portati di fronte a un giudice per le indagini. I sospetti con i quali IWPR ha parlato hanno detto di avere avuto solo un accesso limitato ad avvocati e alcuni di questi ultimi hanno detto che i loro clienti sono stati trasferiti in un secondo tempo in diversi centri di detenzione senza notifica. Le autorità hanno esercitato pressioni su un certo numero di avvocati affinché firmassero impegni a mantenere riservati i materiali riguardanti il caso.
Le indicazioni secondo cui dietro l’omicidio vi sarebbero importanti gangster comportano che vi sia poca compassione per i sospetti detenuti in Serbia. Questa mancanza di interesse si riflette all’estero, dove lo shock per l’assassinio, l’approvazione per il giro di vite contro la criminalità e il desiderio di dare sostegno a una democrazia ancora fragile sembrano avere messo in secondo piano le preoccupazioni per la sorte di coloro che sono stati arrestati.
Ma la Convenzione Internazionale per i Diritti Civili e Politici, che vieta la tortura e il "trattamento crudele, inumano o umiliante" non fa distinzione tra i sospetti che vengono infine dichiarati colpevoli e quelli che sono innocenti.
Il codice penale jugoslavo che viene attualmente applicato in Serbia e Montenegro non proibisce esplicitamente la tortura. Ma l’Articolo 190 afferma che "i funzionari i quali, nell’adempimento dei loro doveri, impiegano la froza, minacce o altri mezzi o metodi non consentiti, con l’intenzione di ottenere una confessione o altre dichiarazioni da una persona accusata, da un testimone, da una fonte o da un’altra persona, devono essere puniti con con l’incarcerazione da tre mesi a cinque anni". E l’Articolo 191 fissa le medesime pene detentive per i funzionari che "causano a qualcuno gravi sofferenze fisiche o mentali, minacciano o insultano qualcuno, oppure si comportano in qualsivoglia altro modo che svilisca la sua dignità umana".
SMENTITA UFFICIALE
Le autorità serbe hanno asserito risolutamente di non avere compiuto alcuna violazione significativa dei diritti umani.
Rasim Ljajic, ministro per i diritti umani e le minoranze della Serbia e Montenegro, ha detto a IWPR che vi sono stati alcuni casi di persone picchiate mentre erano agli arresti – ma che ciò non è accaduto in misura massiccia, né costituisce una violazione sistematica dei diritti umani.
Il ministro ha respinto le affermazioni secondo cui vi è stato un ricorso alla tortura. Anche se alcune persone sono state picchiate al momento dell’arresto, nessuno è stato sottoposto a percosse mentre era in custodia, ha detto.
Facendo riferimento alla visita che OSCE-UNHCHR hanno effettuato in aprile presso una prigione, Ljajic ha detto: "Se fossimo stati colpevoli, come prima cosa non avremmo consentito loro di effettuare la visita".
Ljajic ha detto che il suo ministero ha aperto una hot line alla quale chiunque può telefonare per segnalare violazioni dei diritti umani.
Quando IWPR ha chiamato il Ministero degli Interni serbo il 3 giugno dopo non avere ricevuto alcuna risposta alle domande inviate via fax sulle asserzioni relative a maltrattamenti, il portavoce Colonnello Vladan Colic ha detto: "Le organizzazioni internazionali che hanno visitato i detenuti hanno fornito la loro valutazione. Il ministero non ha nulla da aggiungere".
Sebbene i primi resoconti sul maltrattamento di detenuti siano trapelati solo alcuni giorni dopo il 12 marzo, le autorità hanno reagito alle affermazioni solo in seguito a una lettera scritta il 7 aprile al governo serbo dall’organizzazione statunitense Human Rights Watch, con la quale si chiedeva di non tenere più i sospetti in isolamento.
Il ministro della giustizia Vladan Batic ha risposto con una semplice negazione. "Nessuna misura come la forza, la coercizione o atti contrari alla legge è stata applicata contro coloro che sono in custodia", ha detto.
Il giorno dopo quello in cui la lettera di Human Rights Watch è stata resa pubblica, il vice primo ministro Cedomir Jovanovic ha raccontato ai giornalisti che non vi era "alcun motivo di preoccuparsi" e che "la polizia, i pubblici ministeri e i tribunali stanno lavorando in conformità alle proprie facoltà".
Al fine di sottolineare la sua affermazione secondo cui le preoccupazioni di Human Rights Watch erano prive di fondamento, Jovanovic ha fatto una curiosa affermazione: "La settimana scorsa rappresentanti dell’OSCE, del Consiglio d’Europa e dell’UE hanno visitato la prigione centrale di Belgrado e hanno visto in prima persona in quale misura i diritti umani vi sono salvaguardati".
Questa affermazione si è successivamente rivelata interamente falsa. Fino a quel momento, a nessun rappresentante di organizzazioni estere era stato consentito di visitare le prigioni. Almeno una importante organizzazione aveva effettivamente chiesto il permesso di farlo, ma non aveva ricevuto alcuna risposta nelle tre settimane dopo l’inizio dello stato di emergenza.
"Sono rimasto sorpreso del fatto che il vice primo ministro Jovanovic abbia ricevuto tali informazioni. A una verifica, abbiamo riscontrato che nessuna organizzazione internazionale aveva effettuato visite", ha detto un funzionario dell’organizzazione.
"Perfino due o tre giorni dopo l’affermazione di Jovanovic abbiamo ricevuto una dichiarazione ufficiale nella quale si diceva che non ci poteva essere consentito effettuare una visita alle condizioni che noi chiedevamo", ha detto, aggiungendo che la sua organizzazione aveva avuto libero accesso alle prigioni serbe quando Slobodan Milosevic era ancora in carica.
IL TEAM INTERNAZIONALE VISITA LE CARCERI
Messe di fronte a forti pressioni esterne, le autorità hanno dovuto cedere. Il 14 e il 15 aprile, più di un mese dopo l’imposizione dello stato di emergenza, rappresentanti di UNHCHR, della missione OSCE a Belgrado e della missione OSCE per le Istituzioni Democratice e i Diritti Umani (ODIHR), hanno visitato la prigione centrale e la principale stazione di polizia di Belgrado. In un rapporto congiunto sui loro rilevamenti preliminari, pubblicato il 13 maggio, queste organizzazioni hanno segnalato due casi di possibile tortura e una serie di altri problemi.
"Durante la visita la delegazione ha raccolto affermazioni e ha visto segni che facevano pensare a tortura e maltrattamenti di almeno due detenuti. E’ stato impossibile verificare appieno la veridicità di tali asserzioni, ma la delegazione ritiene sia importante per i detenuti potere presentare i loro reclami e attendersi che vengano presi in considerazione nel più breve tempo possibile", diceva il rapporto.
Il team ha anche scritto che "i periodi di detenzione estesi, uniti alle condizioni di detenzione inferiori agli standard per molti detenuti, costituiscono una punizione e un trattamento degradante".
Le affermazioni pubbliche fatte dall’OSCE indicano il desiderio di limitare le critiche nei confronti del governo serbo. Il 17 aprile, immediatamente dopo la visita alla prigione, il capo della missione OSCE in Serbia e Montenegro, Maurizio Massari, ha detto ai media serbi che gli esperti OSCE non hanno registrato nemmeno una "significativa violazione di diritti" o fatti "particolarmente sfavorevoli" riguardanti la condizione dei prigionieri. Massari non aveva preso parte alla visita.
Il portavoce dell’OSCE, Rory Keane, ha raccontato a IWPR che la sua organizzazione ha avuto un accesso illimitato ai detenuti e che essa non ha raccolto lamentele individuali dirette durante o dopo lo stato di emergenza.
IL RAPPORTO E’ STATO ANNACQUATO?
Il rapporto congiunto UNCHR-OSCE condannava le procedure di detenzione, ma le prove da esso raccolte non equivalevano ad abusi fisici sistematici. Tuttavia, un membro della delegazione ha raccontato IWPR che il rapporto rappresentava un compromesso raggiunto tra UNHCHR, OSCE e ODIHR e che sminuiva le condizioni reali che erano state riscontrate.
"Quel che abbiamo visto era davvero orribile. A nessuno dovrebbe essere consentito picchiare la gente", ha raccontato la fonte. "Le condizioni di isolamento erano così disastrose che costituivano di per se stesse una tortura. Non riuscivamo a respirare in quelle stanze e così abbiamo parlato con i detenuti in altri luoghi".
La stessa fonte conferma che sono stati rilevati casi di tortura fisica dei detenuti e ha detto che alcuni di essi erano quasi irriconoscibili.
"Uno dei detenuti, con segni di maltrattamenti fisici visibili ancora 20 giorni dopo il suo arresto, ha detto alla delegazione che dopo il primo picchiaggio sembrava ‘l’uomo elefante’", ha detto la fonte.
ACCESSO NEGATO A HUMAN RIGHTS WATCH
Le porte della prigione, tuttavia, sono state aperte solo all’OSCE e all’ONU. Il Centro per i Diritti Umani (non governativo) e il Comitato Helsinki per i Diritti Umani non vi hanno avuto accesso. E nemmeno Human Rights Watch. In una dichiarazione rilasciata il 14 maggio da quest’ultima si dice: "Dopo avere promesso per un mese a Human Rights Watch che le sarebbe stato consentito pieno accesso ai detenuti, sembra ora evidente che le autorità hanno in realtà fatto tutto il possibile per impedire lo svolgimento di una tale visita".
Bogdan Invanisevic, un rappresentante di Human Rights Watch a Belgrado, ha raccontato a IWPR che alla sua organizzazione non è stato consentito entrare nella prigione centrale per parlare ai detenuti, anche se ne aveva ottenuto il permesso dal Ministero della Giustizia.
"E’ comprensibile che il governo serbo stia impedendo a Human Rights Watch di intervistare i detenuti, specialmente alla luce di un rapporto (UNHCHR-OSCE) che parla di accesso limitato ai detenuti e riporta gravi critiche riguardo alle cattive condizioni delle prigioni e alle lesioni causate a detenuti", ha detto Ivanisevic.
L’IMPUNITA’ DELLA POLIZIA E I TRIBUNALI
Anche se ha ammesso che vi sono stati casi isolati di percosse nelle prime fasi delle procedure di detenzione, il governo, a quanto è noto a IWPR, non ha intrapreso alcuna misura per indagare sulle azioni delle sue forze di polizia regolari e speciali. Secondo l’Articolo 2 della Convenzione contro la Tortura, i paesi firmatari sono tenuti a "intraprendere efficaci misure legislative, amministrative, giudiziarie o di altro tipo per prevenire gli atti di tortura".
Gli accusati che dovranno comparire in futuro nei processi, citeranno probabilmente l’uso della tortura e svariati casi potrebbero subire un capovolgimento alla prima udienza o in appello. Ciò provocherà imbarazzo al governo, sia nei suoi sforzi per sopprimere la criminalità organizzata, sia nel suo tentativo di convincere le istituzioni europee dell’impegno nel mettere il proprio contesto e le proprie pratiche legali in linea con gli standard UE prima dell’accesso a quest’ultima.
"Molte cose non sono ancora venute alla luce. Prima o poi, quello che è accaduto alle persone detenute durante lo stato di emergenza finirà di fronte al tribunale di Strasburgo. Questo paese dovrà pagare molti risarcimenti", ha detto a IWPR la fonte che faceva parte del team internazionale che ha visitato la prigione di Belgrado.
Un uomo arrestato durante l’Operazione Sciabola, Mihajlo Colovic, sta già pensando di muovere accuse contro Dejan Joksimovic, capo della polizia nella città di Arandjelovac, nella Serbia Centrale. La documentazione del tribunale include la dichiarazione di Colovic secondo cui Joksimovic lo ha frustato con un cavo del telefono, lo ha picchiato, lo ha preso a calci e lo ha colpito con una mazza da baseball, nel tentativo di costringerlo a confermare l’accusa nei confronti di un altro uomo. Colovic ha detto a IWPR che il timpano del suo orecchio si è rotto durante le percosse subite e di avere dovuto ricorrere alle cure di un medico.
Con ogni probabilità Belgrado sarà sottoposta a pressioni per rivedere le leggi che danno poteri eccessivi alla polizia.
"Il nostro paese potrebbe avere dei problemi di fronte alle istituzioni internazionali a causa della norma sui 60 giorni di detenzione", ha detto il prof. Momcilo Grubac, un’autorità in fatto di diritto penale. "Poiché siamo membri del Consiglio d’Europa, ogni cittadino soggetto a questo tipo di cose potrebbe rivolgersi al tribunale di Strasburgo".
(Dragana Nikolic-Solomon è assistente redattore e Gordana Igric è Balkans Project Manager presso IWPR a Londra)
Vedi anche: