Pochi ma buoni, Balcani e dintorni a Cannes

In concorso a Cannes, "Iklimer" del turco Ceylan; nella sezione "Un certain regard", "Taxidermia" dell’ungherese Palfi. Due opere di qualità che hanno in comune un tentativo, nascosto dietro a storie intime e personali, di fare i conti con il passato e il presente dei due paesi

25/05/2006, Nicola Falcinella - Cannes

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Una scena di "Iklimler"

Pochi ma buoni, i film di Balcani e dintorni che stanno passando al Festival di Cannes. A cominciare dall’unico in concorso, il turco "Iklimler – Climi", presentato a Cannes domenica e con le carte in regola per vincere un premio. L’Antonioni turco non ammette vie di mezzo, prendere o lasciare, o lo si ama o non lo si sopporta. Nel nostro caso si ama Nuri Bilge Ceylan, regista nato a Istanbul nel 1959 (l’anno delle riprese de "L’avventura"), autore finora di quattro lungometraggi, tra i quali "Uzak – Lontano", Gran premio della giuria a Cannes nel 2003 e premiato in molti festival. Ma purtroppo non distribuito in Italia.

"Iklimler", è "L’avventura" in due stagioni, estate al mare, inverno in montagna. Una coppia in crisi: lei affascinante scenografa che lavora nelle serie televisive, lui ricercatore universitario con la passione per la fotografia. Basta ricordare che il protagonista di "Uzak" era un fotografo e quello di "Nuvole di maggio" un regista che tornava al villaggio dei genitori in cerca di ispirazione, per capire che Bilge Ceylan si muove dentro coordinate precise con la forza della convinzione delle proprie idee e del proprio sguardo. È uno dei casi in cui forma e contenuto diventano inscindibili, con inquadrature lunghe fisse e dialoghi ridotti. L’inizio con i due, Isa (lo stesso regista) e Bahar (interpretato dalla moglie Ebru Ceylan), in visita a un’area archeologica, ricorda sequenze del taiwanese Tsai Ming-Liang, non a caso l’altro più vicino ad Antonioni del cinema contemporaneo. L’autore turco ha, al contrario di Antonioni, l’ironia: non cerca la risata ma dissemina qua e là elementi (come il gioco con il pistacchio nella scena d’amore del tradimento) che accorciano la distanza fra lo schermo e la platea e creano la partecipazione dello spettatore.

Dopo la vacanza al mare, la crisi emerge dirompente. La donna lascia l’uomo per lavorare su un set all’estremo est, non lontano dal monte Ararat. Il paesaggio innevato (e i fiocchi che cadono quasi in continuazione) diventano parti in causa della relazione fra i due quando Isa cerca il riavvicinamento: come le isole di Lisca Bianca e Panarea e la città di Noto nel film di Antonioni. Le immagini (girate con un digitale in alta definizione di qualità sorprendente) sono molto curate e belle, ma sempre necessarie per la storia: sono presenze imprescindibili per gli stati d’animo dei protagonisti. Un film in apparenza intimo e privato (lui, lei e l’altra) ma ben contestualizzato. Come gran parte dei film turchi degli ultimi anni, è come se avesse due cuori, come se il Paese stesso avesse due cuori. Uno è quello moderno, razionale che batte a Istanbul e a volte fa star male. L’altro è quello troppe volte dimenticato o rimosso delle regioni orientali. Che ricordano la questione kurda e il massacro degli armeni, conti non conclusi che i registi continuano a riproporre al pubblico affinché i politici sentano.

Su corde estetiche del tutto diverse si muove l’ungherese Gyorgy Palfi in "Taxidermia", opera seconda di un trentunenne che si è proposto con uno dei "film scandalo" del Festival (nella sezione "Un certain regard"). Membri maschili a profusione (che si trasformano addirittura in lanciafiamme che illuminano delle baracche isolate), autoerotismo, necrofilia, vomito, sono solo alcune delle cose che riempiono una pellicola barocca e ipertrofica. Tre storie, tre uomini, tre generazioni, tre epoche diverse dell’Ungheria. Anche qui l’intento di fare i conti con il passato non è esplicito e dichiarato ma forte, esplode dall’inconscio e non dal razionale. Il nonno cerca disperatamente l’amore in epoca precomumista e quando lo trova muore. Il padre cerca il successo partecipando alle Spartachiadi (le competizioni sportive tra i Paesi del vecchio blocco sovietico) potendo mangiare chili di cibo prima di vomitare. Il figlio, al giorno d’oggi, cerca l’immortalità con il suo laboratorio di tassidermia. Conserva le sembianze degli animali morti attraverso le loro pelli, ma a lui preme di più l’umano. Tre epoche diversissime, nessuna felice.

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