Nagorno Karabakh, si torna a parlare di pace
Lo scorso 6 aprile a Bruxelles si è tenuto un incontro con il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, il primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev. Tra i vari punti toccati anche l’avvio dei lavori per arrivare ad un accordo di pace
Non è incoraggiante guardare il quadro del conflitto in Nagorno Karabakh: la crisi di Parukh non è finita, intorno alle alture del Daşbaşı vi sono ancora i soldati azeri, la cui comparsa ha innescato la crisi e le polemiche nei confronti dei peacekeeper russi. L’esercito azero sostiene che ha subito fuoco nemico ad Ağdam, con colpi provenienti quindi dal Karabakh ma anche che vi sarebbero stati colpi provenienti da Tavush, quindi lungo i confini di stato azero-armeni. Le controparti, quella armena e i secessionisti karabakhi smentiscono e parlano di provocazioni.
I canali diplomatici incaricati di risolvere la questione del Karabakh risentono della crisi intenzionale che ha il proprio epicentro nell’area post sovietica. Il gruppo di Minsk, a co-presidenza russa, francese e statunitense non si sta riunendo, e non ne è chiara la sorte. L’Azerbaijan l’ha già più volte etichettato come ormai inutile, mentre per l’Armenia e il Karabakh rimane lo strumento negoziale che dovrebbe portare a una soluzione politica.
Il protagonismo russo, in solitaria, non viene meno, ma è chiaro che Mosca è in altre faccende affaccendata, con viva apprensione dei secessionisti karabakhi.
In un momento in cui sembrerebbe impossibile portare avanti una qualche negoziazione intorno al Nagorno Karabakh, in cui i venti di guerra si fanno sempre più minacciosi, qualcosa si muove però in senso contrario, verso la pace.
Eppur si muove
Pace è una parola che suona veramente grossa: le distanze sulla possibile soluzione del conflitto che ha ormai più di 30 anni sembrano incolmabili. Per l’Azerbaijan il Karabakh non esiste, per gli armeni non può esistere sotto la sovranità di Baku. Ma forse lo stato di guerra che permea l’area post sovietica ha messo una nuova urgenza. Sono suonati tutti gli allarmi: in un’area di grande instabilità e imprevedibilità come è adesso quella dell’ex URSS bisogna fare presto, non si può più perdere una sola occasione.
E l’occasione l’ha offerta Bruxelles con il seguito del primo incontro trilaterale del dicembre 2021. C’era stato poi un incontro con le parti in video conferenza con il presidente Emmanuel Macron e il 6 aprile Charles Michel ha di nuovo ospitato il presidente azero Ilham Aliyev e quello armeno Nikol Pashinyan. L’incontro è stato lungamente e approfonditamente preparato e si è poi articolato in due momenti: prima i bilaterali fra il Presidente del Consiglio europeo Michel e le due controparti, poi il trilaterale che è durato più di 4 ore.
Prima dell’incontro, ormai definito Formato Bruxelles o Piattaforma Bruxelles, tra le varie speculazioni qualche voce aveva menzionato l’ipotesi che si sarebbe parlato di accordo di pace, ma serpeggiava un certo scetticismo. L’ultimo scontro a fuoco è recente, gli ostacoli molti, i nodi irrisolti di più.
Invece è prevalso un atteggiamento costruttivo, e il bilancio dell’incontro è stato alla fine positivo. Baku e Yerevan non hanno sempre avuto la stessa percezione del ruolo di Bruxelles rispetto al Karabakh, ma – appunto – sono tempi difficili e si cerca un mediatore percepito come disinteressato e che fornisca delle garanzie sul trattamento degli interessi nazionali delle parti. E Bruxelles pare aver conquistato questa fiducia.
Il comunicato stampa di Michel a conclusione dell’incontro segnala passi avanti in 4 aspetti fondamentali: le questioni umanitarie, la delimitazione dei confini, la riapertura di tutte le forme di comunicazione, l’avvio dei lavori per un accordo di pace.
Per quanto riguarda la questione umanitaria, rimangono sospese le sorti di prigionieri armeni, e delle salme dei caduti, inclusi quelli della prima guerra del Karabakh, con un totale di quasi 4000 combattenti e civili azeri mai tornati a casa, e di circa 1000 armeni. C’è poi la questione delle mine, che ancora infestano i territori e per cui occorre collaborare, con trasparenza sulle mappe dei campi minati.
Entro fine mese dovrebbe nascere la commissione bilaterale per la delimitazione e la demarcazione del confine azero-armeno, che è stata causa di tensioni e scontri nell’ultimo anno e mezzo. Un nuovo impeto è stato dato anche ai punti delle dichiarazioni precedenti sulla riapertura delle vie di comunicazione via gomma e rotaia che dovrebbero sbloccare tutta la regione caucasica.
Ma soprattutto: i ministeri degli Esteri di Armenia e Azerbaijan hanno ricevuto l’incarico di cominciare a elaborare un Trattato di Pace che dovrebbe essere in grado di ricomprendere e risolvere tutte le questioni che hanno ammorbato le relazioni fra i due stati e i territori contesi per decenni. Uno sforzo diplomatico non indifferente e su cui non grava una data precisa, ma già il fatto che il processo sia stato messo in moto è un cambio di marcia rispetto a quello che si è visto negli ultimi anni.
Altrove, nel negoziato
Russia è la parola assente. Sono state nominate dalle parti le dichiarazioni congiunte che su iniziativa di Mosca hanno portato al cessate il fuoco, all’impegno di riaprire le comunicazioni, a risolvere le questioni transfrontaliere, ma il nome di Vladimir Putin non è mai stato fatto.
Che la Russia non sia disposta a essere accantonata è ben chiaro. Il Cremlino ha commentato positivamente l’esito dell’incontro, sottolineando di aspettarsi un processo estremamente lento per arrivare a una pace. Inoltre il ministro degli Esteri armeno Ararat Mirzoyan l’8 aprile era già a Mosca a incontrare il suo omologo Sergey Lavrov, il quale ha sottolineato il ruolo della Russia nella soluzione del conflitto ed ha chiesto che venga chiarito lo scontro a fuoco del 24 marzo.
Mentre Mirzoyan era a Mosca, Aliyev e il suo ministro degli Esteri Jeyhun Bayramov sentivano i loro omologhi turchi. C’è infatti un altro grande capitolo da sbloccare, e non è certo indifferente alle sorti delle relazioni azero-armene. Se si stabilizzano i rapporti Baku-Yerevan, anche le relazioni bilaterali armeno-turche possono entrare in una nuova fase distensiva.
Insomma vi sono molte aspettative rispetto a quello che può succedere di positivo nel decorso di questo complicato conflitto, ma anche paure e strumentalizzazioni. Nikol Pashinyan arriva al tavolo negoziale da sconfitto e con una opposizione interna che cerca di usare la negoziazione per il Karabakh contro di lui: ogni concessione è pesante come un macigno. I karabakhi sono in trepidazione: si sentono minacciati da quanto succede nel mondo dei secessionisti ex sovietici, fra guerre, annessioni, e scelte russe su cui non si ha il controllo.
Sono tanti i punti nevralgici di questa negoziazione, e molti sono altrove rispetto a Bruxelles. Ma almeno qualcosa si è mosso e si è tornato a parlare concretamente di pace.