Lo stato sociale nei Balcani: tra riforme di carta, incertezze e lotte sindacali
Un dossier curato dai nostri corrispondenti sulle attuali condizioni dello stato sociale nei Balcani.
In quasi tutti i paesi dell’aerea balcanica non si fa che parlare di autunno caldo e inverno bollente. Ossia di una forte tensione sociale che colpisce i cittadini di quei paesi.
La domanda che più li preoccupa è: cosa ne sarà dello stato sociale, che in un certo qual modo gli era garantito durante il periodo socialista e che invece negli ultimi anni ha subito e subisce tagli profondi, alla disperata ricerca di un aggancio all’Unione Europea attraverso la ristrutturazione delle economie e delle politiche statali?
L’esempio della Croazia, come bene ci informa Lino Veljak, parla da sé. La riforma in atto dello stato sociale lascia aperta la porta ad innumerevoli dubbi ed incertezze. Durante la politica disastrosa del passato governo nazionalista la situazione sociale è andata gradualmente peggiorando: sono cresciute ampie sacche di disoccupazione ed è stato rovinato il sistema di assistenza medica, il tutto nell’ottica di selvagge privatizzazioni e affari sporchi. Oggi, nonostante alcune visioni ottimistiche sul futuro dell’economia croata, occorre notare che i cambiamenti sono tuttora in corso. Tra i vari, il nostro corrispondente segnala l’abolizione di leggi riguardanti la protezione sociale di certe categorie, come quelle sui diritti delle donne in maternità. A questo si aggiungono la diffusa precarietà del posto di lavoro, le spese sanitarie che gravano quasi interamente sui cittadini, la riforma del sistema pensionistico, che gradatamente viene ad essere sostituito dalle assicurazioni private tra cui sono favorite quelle straniere come Allianz e Raiffeisen, ed infine una sorta di impasse nella quale versano i sindacati.
Molto lontana dalla situazione sociale pre-bellica è anche la Bosnia-Erzegovina: in questa repubblica si registra un alto tasso di disoccupazione, sia nella federazione croato-musulmana sia in Republika Srpska. Inoltre la privatizzazione in corso tende a bloccarela produzione, come ci scrive Dario Terzic e di conseguenza a creare una situazione di povertà sempre più profonda. I servizi sociali poi pesano enormemente sullo stipendio dei dipendenti, e Terzic ne dà alcuni esempi. Anche in questo caso i fondi pensione poco sicuri invogliano i lavoratori a rivolgersi presso assicurazioni private straniere. E infine, come se non bastasse, si registrano casi di corruzione nel settore sanitario, laddove le spese mediche – un tempo gratuite e garantite – necessitano di "incentivi" extra per velocizzare il servizio e assicurarne la qualità. Inutile dire che la fascia di popolazione più colpita è quella degli anziani, che dispongono di pensioni minime e alquanto incerte.
Dalla Serbia, così come ce la descrivono Mihailo Antovic e Ada Sostaric, le informazioni non risultano più incoraggianti. Stipendi troppo bassi e per nulla garantiti si uniscono all’alto costo della vita, che nell’ultimo anno ha subito un notevole rialzo specie in confronto all’aumento minimo dei salari.
Un tale clima di incertezze e crisi economica genera così scioperi e manifestazioni. I sindacati lottano con il governo per avere dei salari minimi garantiti, e l’attuale crisi di governo, scoppiata proprio durante la votazione di una nuova legge sul lavoro, è altamente emblematica. In gioco ci sono varie questioni, tra cui la sicurezza del posto di lavoro nell’ottica degli imminenti processi di privatizzazione che vedranno tra gli attori principali ancora una volta gruppi stranieri.
Il presidente del sindacato Nezavisnost della Serbia, Branislav Canak, intervistato da Ada Sostaric, ammette il timore che i problemi di carattere sociale possano sormontare le altre due grandi questioni del paese, quella politica e quella economica. Ma Canak sostiene anche che ogni problema viene sbattuto dentro la sfera sociale, nascondendo in questo modo le deficienze politiche e il lento o assente processo delle riforme.
Dal quadro tutt’altro che felice che i corrispondenti ci offrono, si possono dedurre alcuni semplici interrogativi che meritano, forse più di altri, una corretta e adeguata investigazione.
In generale la situazione sociale di questi paesi è molto sofferente e necessita di una rapida soluzione, pena l’aprirsi di crisi profonde che coinvolgerebbero direttamente la popolazione e potrebbero far vacillare ulteriormente i fragili governi nazionali. Detto questo ci si rende conto che probabilmente lo stato sociale versava in condizioni migliori durante il periodo socialista. Attualmente la situazione si presenta spesso come una commistione tra l’eredità del sistema sociale socialista e la corsa alle privatizzazioni sul modello occidentale. Questo modello tende a prendere definitivamente le distanze dal sistema pesantemente assistenziale precedente, ma al contempo getta nell’incertezza la popolazione, che ora si trova a dover far fronte di tasca propria a dei servizi che in precedenza le erano sempre stati garantiti.
Ci sembra pertanto sensato concludere con quanto scritto lucidamente dal professor Veljak alla fine del suo articolo. "Una rinascita dell’economia non rappresenta certo una garanzia in assoluto, ma è una precondizione sicuramente necessaria per la ricostruzione dello stato sociale, sempre che lo stato sociale possa sopravvivere negli stessi paesi occidentali presi a modello".