L’Europa di frontiera: da Tomizza a Jergovic
Miljenko Jergović, scrittore e giornalista, è stato insignito lo scorso 24 giugno, a Trieste, del Premio Tomizza. Una nostra intervista
Oggi è a Trieste (il 24 giugno scorso, ndr) per ritirare il Premio Tomizza . Cosa significa per lei, tenendo anche conto della ratifica di questi giorni da parte del Consiglio europeo dell’ingresso della Croazia nell’Unione europea nel 2013?
Innanzitutto ho la speranza che la Croazia con l’ingresso in Europa diventi un Paese più civilizzato, dunque più democratico e sopratutto più tollerante verso l “altro”, di quanto non sia oggi. Ritengo che la Croazia non sia ancora un Paese in cui lo standard di difesa e tutela dei diritti umani sia a livello dei Paesi più civilizzati e democratici quali quelli europei.
Per quanto riguarda la giornata di oggi, sono molto contento di essere a Trieste a ritirare questo premio che ritengo molto importante perché oltre ad essere stato Tomizza un grande scrittore, è stato sopratutto uno scrittore “di frontiera” che aveva capito fino in fondo il destino di chi come lui aveva diverse identità: croata, italiana, slovena, istriana. Quindi un uomo che era in grado di comprendere in maniera sottile e completa tutti gli altri uomini.
Come descriverebbe gli sviluppi degli ultimi anni in Croazia e Bosnia?
Devo dire che negli ultimi 5-6 anni, sia in Croazia sia in Bosnia Erzegovina, si sono avviati dei processi decisamente negativi. La Bosnia Erzegovina si è fermata e non sta andando più da nessuna parte. Certo, c’è la pace, ma questa pace non ha creato migliori condizioni di vita e reali processi di comprensione tra persone appartenenti alle diverse comunità del Paese.
In Croazia, negli ultimi due anni, e cioè da quando è diventata premier Branka Kosor, ha preso piede un governo di ultradestra ed estremamente rigido – molto simile al governo di Franjo Tudjman degli anni novanta – che ha provocato un terribile processo regressivo. Per fare un esempio la giornata della lotta antifascista in Croazia, l’anniversario del giorno in cui nel 1941 il popolo croato si è sollevato contro i fascisti tedeschi, è stato celebrato in maniera raccapricciante. I seguaci di quei fascisti del ’41 si sono ribellati in tutte le maniere alle celebrazioni previste. Questo fatto lo ritengo spaventosamente negativo.
A questo proposito ritiene che l’Europa in cui entrerà la Croazia sia in condizioni migliori?
Purtroppo è un dato vero il fatto che anche in Europa è in corso un processo di irrigidimento, per non dire di “fascistizzazione”. Ma mi viene da dire che il problema dei Balcani è che i Balcani copiano dall’Europa gli aspetti più negativi!
E’ vero che in Europa stanno avvenendo processi simili, come ad esempio in Italia dove il premier Berlusconi usa una politica “della paura” verso gli italiani, dove Milano viene rappresentata come una città abitata da t[]isti e ladri, oppure in Olanda dove l’estrema destra siede in Parlamento. In Europa c’è un rafforzamento di queste forze politiche, ma la differenza è che nei Balcani appena questi processi si mostrano diventano immediatamente catastrofici, molto più pericolosi che non in un Paese come l’Olanda o l’Italia.
Lei è nato a Sarajevo ma ha vissuto a lungo in Croazia, e quindi ha uno sguardo ad ampio raggio sull’atmosfera culturale di questi Paesi. Come la valuta, oggi?
La produzione letteraria di tutti i Balcani è strettamente dipendente dalle interazioni con i propri vicini. Come si sa la lingua croata appartiene alla stessa radice di altre lingue dell’area, come il bosniaco e il serbo, e dunque dal punto di vista linguistico fanno parte di un’unica lingua. Le diverse letterature sono molto legate tra loro e quindi nella misura in cui esiste e migliora questa interazione, le singole letterature riescono a sopravvivere e svilupparsi in meglio, essere più attive e propositive. Mentre laddove l’interazione non c’è si vede la totale chiusura di visioni ma anche di sviluppo futuro. Fortunatamente in Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro esistono forme di reciproca collaborazione che poi sono rappresentate da scrittori che producono ottima letteratura.
Ci dà un’anteprima di ciò a cui sta lavorando?
In realtà io scrivo di continuo e posso solo dirvi che la prossima sarà un’opera di finzione, che uscirà a breve.
A vent’anni dall’inizio del conflitto che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia: lei scrisse in passato che la “tradizione multietnica di Sarajevo era nella testa della gente” più che nella struttura della società e della politica. Ritiene che quella tradizione si sia salvata, nonostante tutto?
E’ una domanda difficile per la quale non esiste una unica risposta. Ritengo che nella testa della gente sia rimasta la concorde coscienza che esiste una sola maniera perché la Bosnia Erzegovina possa funzionare ed esistere, cioè in una società multietnica. Esattamente come deve essere per l’Europa.