L’automobile è libertà
In Serbia arriva il primo libro che descrive la storia dell’automobilismo nel paese e quindi anche il rapporto del tutto particolare tra Fiat e Zastava. Abbiamo intervistato l’autore, Marko Miljković, storico e curatore presso il Museo delle automobili di Belgrado
Presto pubblicherà il primo libro accademico sulla storia delle automobili in Serbia e Jugoslavia. Di che si tratta?
Nel libro L’automobile è libertà ho analizzato la storia dello sviluppo dell’automobilismo dall’arrivo della prima automobile a Belgrado nel 1903 fino ad oggi. Ho preso in considerazione il fenomeno da diversi punti di vista: dalla produzione delle automobili alla maturazione di una cultura automobilistica, dalla costruzione delle infrastrutture all’automobilismo sportivo.
Partendo dall’idea base del libro, ovvero che l’automobile ha dato alla gente maggiori libertà di quante ne avessero potute fino ad allora sognare, desideravo prendere in considerazione attraverso la storia dell’automobilismo anche lo sviluppo della libertà nella società serba/jugoslava.
Paradossale o no, si è dimostrato come da tale punto di vista la società jugoslava era "più libera" nel periodo tra la seconda metà degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, anche se oggi tra i revisionisti si parla della Jugoslavia come di una "prigione di popoli".
Negli ultimi tempi l’opinione pubblica italiana ha cominciato a collegare la Serbia alla Fiat. La percezione comune è che si tratti di qualcosa di nuovo, connesso esclusivamente alla ricerca di forza lavoro a buon prezzo. Tuttavia tali relazioni sono di più lungo periodo…
Nella loro storia di relazioni reciproche l’Italia e la Jugoslavia sono sempre state vicini partner economici, in questo senso la Fiat, uno degli assi portanti dell’industria italiana, ha certamente avuto un ruolo importante.
La prima collaborazione è cominciata nel 1954, quando la fabbrica Crvena Zastava di Kragujevac ha comprato la licenza per la produzione di automobili Fiat. L’accordo venne firmato il 12 agosto 1954 a Torino e fu uno dei primi grandi accordi di collaborazione con i partner occidentali. Da un punto di vista simbolico rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo dell’economia jugoslava; conseguenza, ma in qualche modo anche equivalente economico della rottura politica con l’Unione sovietica del 1948.
L’anno chiave fu il 1955, quando alla Crvena Zastava si cominciò a montare il modello Fiat 600. A questa automobile venne affibbiato il soprannome Fića, che si può leggere anche come piccola Fiat. Il quasi milione di "Fića" prodotto, tante ne sono uscite dalle linee di fabbrica della Crvena Zastava fino al 1985, ha letteralmente messo gli jugoslavi sulle quattro ruote.
La "Fića" rappresentava il simbolo della modernizzazione e del successo dell’individuo nella nuova società socialista, è servita come auto di famiglia e della polizia, adatta anche ai lunghi viaggi. Oggi questa vettura risveglia forti emozioni ed è uno dei principali oggetti della "jugonostalgia".
Anche altri modelli "FIAT" prodotti dalla Crvena Zastava hanno goduto di grande popolarità. La famosa "milletrecento", conosciuta in Jugoslavia come "tristać", grazie al comfort che offriva, era il veicolo preferito dall’élite socialista jugoslava negli anni Sessanta. Talvolta veniva chiamata perfino la "Mercedes jugoslava".
Quanto la collaborazione con la Fiat è stata significativa per lo sviluppo dell’economia jugoslava?
La collaborazione con la Fiat è stata fin dall’inizio uno dei più importanti progetti governativi in quanto l’industria automobilistica rappresentava negli anni dopo la Seconda guerra mondiale il più importante settore di industrializzazione in Jugoslavia. In tali ambiziosi piani l’unico problema era che gli jugoslavi non avevano mai prodotto automobili fino ad allora e non sapevano come realmente si facesse.
La produzione di massa di automobili comporta il coordinamento e il coinvolgimento di tutta l’industria e, anche se la Crvena Zastava era il più antico stabilimento industriale in Serbia – fondata già nel 1853 – fino a quel momento aveva prodotto unicamente armi.
In questo senso la FIAT ha rappresentato per gli jugoslavi contemporaneamente sia la scuola che il modello di sviluppo industriale. La Crvena Zastava è quindi diventata uno delle più grandi industrie in Jugoslavia e immediatamente prima della disgregazione del paese impiegava circa 56.000 lavoratori. Per la Crvena Zastava lavoravano anche circa 200 aziende dell’indotto distribuite in tutto il paese e la fabbrica realmente rappresentava il "motore" dell’economia jugoslava. Per questi motivi la Crvena Zastava, così come la Fiat in Italia, ha sempre goduto di un trattamento speciale, ottenendo prestiti governativi favorevoli e cancellazioni di debiti in tempi di crisi .
Come guardavano Tito e gli altri dirigenti della Lega dei comunisti della Jugoslavia a una delle famiglie più importanti e longeve del capitalismo italiano come gli Agnelli?
Quando all’inizio degli anni 1950 i diplomatici statunitensi chiesero a Tito perché non rinunciasse al modello sovietico di sviluppo dell’industria pesante, egli rispose che si trattava di una necessaria strategia politica, in modo che non fosse possibile per i sostenitori di Stalin in Jugoslavia accusarlo di tradimento dell’idea socialista. Tito e il suo cerchio più ristretto erano persone molto capaci e pragmatiche, prima di tutto impegnate a garantire per sé e per tutto il paese la più ampia indipendenza possibile.
La cooperazione con rappresentanti del grande capitale come la famiglia Agnelli era difficile da giustificare in termini ideologici, ma da un punto di vista politico, economico e propagandistico era molto utile e importante. La Fiat nel 1962 cofinanziò a Kragujevac la costruzione di una delle più moderne fabbriche di auto in Europa, progettata sul modello di Mirafiori, nella quale si produceva la Fića, la prima auto popolare nei paesi socialisti.
Tutto ciò "dimostrava" quanto la Jugoslavia fosse aperta alla cooperazione economica, politica e culturale con l’Occidente e in tale processo l’Italia rappresentava uno specifico "ponte" di collaborazione a diversi livelli. Tito e la Jugoslavia ottennero gradualmente l’adeguato prestigio internazionale, grazie al quale venne raggiunta l’ambita indipendenza. Non è quindi sorprendente che Tito nel 1969 abbia addirittura rifiutato di ricevere Agnelli, commentando: "Perché dovrei ricevere chiunque venga in questo paese?" Tuttavia, pochi giorni dopo, lo stesso Tito dovette cedere e ricevere Agnelli, non senza sottolineare ai responsabili del protocollo che da quel momento in poi sarebbe stato lui a decidere chi e quando ricevere. D’altra parte, non ci sono dati che riportino che Tito abbia mai esitato di fronte ad una visita di Sofia Loren o Gina Lollobrigida…
Oltre alle questioni tecnologico-industriali, l’influenza italiana è stata significativa in qualche altro ambito di lavoro? Sappiamo ad esempio che la Crvena Zastava ha avuto un marketing interessante…
La Fiat è stata in tutti i sensi una "scuola" per i lavoratori della Crvena Zastava, per coloro che erano impegnati alle catene di montaggio come per dirigenti e ingegneri, quindi anche rispetto al marketing è difficile parlare di uno sviluppo indipendente. Ciò non significa che non ci fossero anche soluzioni jugoslave originali.
La mia campagna pubblicitaria preferita della Crvena Zastava è la spedizione di cinque Zastava 101 (un derivato della Fiat 128), che all’inizio del 1975 da Kragujevac raggiungono il Kilimangiaro, seguite da un team di giornalisti, fotografi e cameramen.
Ci sono stati anche tentativi di minor successo, come nel caso di una pubblicità fotografica realizzata in una giornata piovosa, con una ragazza in mini-gonna sul cofano dell’auto. La ragazza inzuppata e sorridente può certamente apparire interessante, ma non so quante auto possano vendere le nuvole grigie sullo sfondo. Come in ogni economia pianificata, sembra che il fotografo abbia avuto una scadenza a breve termine e sia stato costretto a fotografare nonostante il maltempo.
D’altra parte, il più grande successo della Crvena Zastava fu l’ esportazione del modello jugoslavo originale Yugo negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni Ottanta, anche se gli esperti della Fiat avevano suggerito alla direzione della fabbrica jugoslava di abbandonare il progetto. Grazie ad una campagna aggressiva ideata da ricercatori statunitensi la Yugo è stata per un certo tempo la vettura europea più venduta nella storia degli Stati Uniti.
Però, per via dell’iniziale successo, la direzione della Crvena Zastava ignorò gli avvertimenti degli esperti della Fiat, ciò ebbe conseguenze disastrose per l’industria automobilistica jugoslava che non poteva gestire né dal punto di vista tecnico né finanziario la competizione sul mercato statunitense. Oggi la Yugo è ricordata come la peggior automobile mai circolata negli Usa e come tale viene ridicolizzata in molti film hollywoodiani, tra gli altri Die Hard 3.
In quale misura le relazioni industriali ed economiche hanno portato ad una maggiore conoscenza tra le società ed i cittadini italiani e jugoslavi?
I lavoratori della Crvena Zastava hanno studiato italiano nei corsi in fabbrica già dal 1962, così da poter essere addestrati alla Fiat. Ciò era particolarmente importante perché nel periodo precedente si erano verificate delle scene comiche. Ad esempio accadeva che la Crvena Zastava riceveva film di aggiornamento professionale e di promozione che finivano riconsegnati alla FIAT senza essere visti, in quanto non vi era nessuno in grado di tradurli.
Allo stesso modo in Italia andavano soprattutto lavoratori membri della Lega dei comunisti della Jugoslavia, che molto spesso non parlavano italiano. Nelle fabbriche della Fiat potevano imparare solo operazioni di base, ma dai viaggi rientravano con nuovi televisori a colori e altre apparecchiature, un nuovo guardaroba e diverse paia di scarpe. Non so quanto tutto questo abbia aiutato la Crvena Zastava a migliorare la produzione, ma certamente ha avuto una forte influenza sulla società jugoslava rispetto allo sviluppo della società dei consumi e alla modernizzazione in senso più ampio. Ovviamente con il tempo questi problemi sono stati superati e la comunicazione è diventata più intensa e articolata.
Cosa è avvenuto dopo la disgregazione della Jugoslavia e come si è arrivati alle nuove odierne relazioni?
Il collasso della produzione della Crvena Zastava è iniziato a fine anni Ottanta e in questo senso può essere considerato uno dei sintomi del collasso dell’intero paese. La "rottura" dei rapporti con l’Italia e con gli altri partner occidentali all’inizio del decennio successivo, il venire meno di un mercato jugoslavo unificato, ma anche della collaborazione con le aziende delle altre repubbliche jugoslave, l’introduzione delle sanzioni nel 1992 ed infine il bombardamento degli stabilimenti nel 1999 hanno completamente mandato in rovina la fabbrica. Anche se la Crvena Zastava è riuscita negli ultimi due decenni a produrre alcune migliaia di automobili all’anno, si è trattato solo di un vano tentativo da parte del governo di evitare il licenziamento di decine di migliaia di lavoratori.
Un problema altrettanto grosso erano i debiti che la Crvena Zastava aveva verso la Fiat. Dopo la revoca delle sanzioni e i cambiamenti politici degli anni duemila, era necessario trovare un modo per saldarli. La Fiat nel 2005 ha condonato alla Crvena Zastava la maggior parte dei debiti, nello stesso anno, come parte del pacchetto di aiuti, ha ottenuto la licenza per la produzione della Fiat Punto (Zastava 10).
Tutto questo non è bastato a salvare la fabbrica, cosicché il 29 settembre 2008 la Fiat ha firmato con il governo della Repubblica di Serbia un contratto per l’acquisto della Crvena Zastava. Il valore del contratto ammontava a 950 milioni di euro, di cui 700 milioni investiti da Fiat, mentre la Serbia ha mantenuto il 33 per cento della proprietà della nuova fabbrica Fiat Automobili Srbija – FAS.
Qual è l’odierna posizione di Fiat in Serbia e quanto conta per l’economia serba?
“Fiat automobili Srbija” è uno dei più grandi industrie nel paese, e per quanto suoni incredibile le automobili sono uno dei più importanti prodotti di esportazione della Serbia. La „Fiat 500L“ – proudly made in Serbia – viene esportata con successo anche sul mercato americano anche se, se mi è concesso scherzare, non ha conosciuto un successo immediato come la Yugo degli anni Ottanta.
L’esistenza di una moderna fabbrica di automobili è sicuramente molto importante per la ripresa economica della Serbia, che negli ultimi due decenni si è di fatto de-industrializzata ed è ritornata agli anni Sessanta per quando riguarda il livello della produzione industriale. D’altra parte questa circostanza mette Fiat in una posizione di monopolio in Serbia. Oggi non conosciamo tutti i dettagli del contratto che l’azienda ha firmato con il governo serbo perché alcune parti sono protette dal segreto commerciale.
Anche se i politici serbi lodano l’andamento delle esportazioni Fiat, si evita ogni riferimento al fatto che Fiat è anche uno dei maggiori importatori – le parti più complesse come i motori e le trasmissioni sono importati dall’Italia e da altri paesi. Un ulteriore rischio è rappresentato dalla possibilità che in un prossimo futuro Fiat cambi la sua politica di sviluppo e chiuda la fabbrica di Kragujevac: l’economia serba in tal modo sarebbe duramente colpita.
Ci sono inoltre le proteste dei lavoratori che, per quanto ne so, lavorano per salari che si aggirano attorno alla media nazionale di circa 350 euro. Ci sono stati casi in cui vetture appena ultimate sulla linea di produzione sono state graffiate con i cacciaviti in segno di protesta.
Naturalmente, questi sono problemi e dilemmi che affliggono tutte le società in transizione, per i quali sono responsabili i politici locali che, si ha l’impressione, tutt’ora non hanno una strategia realmente chiara per la ripresa economica del paese. In ultima analisi, tuttavia, il fatto che Fiat operi in Serbia rappresenta una buona base per il futuro sviluppo economico del paese. A condizione che tale cooperazione sia attentamente controllata e guidata da parte del governo serbo.