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La spartizione crea tensione
Le voci sulla possibile spartizione del Kosovo non sono passate inosservate in Macedonia, dove crescono segnali di preoccupazione per la stabilità del paese e si assiste a nuovi indizi di possibile tensione, anche se le autorità di Skopje affermano che tutto sia sotto controllo
Il presidente macedone Branko Crvenkovski, nelle scorse settimane, ha convocato il Consiglio per la Sicurezza dello Stato, al fine di analizzare gli ultimi sviluppi nella regione, soprattutto dopo le reazioni suscitate dallo “scenario spartizione” venuto alla luce recentemente riguardo lo status finale del Kosovo.
Dalla riunione sono emerse due considerazioni: al momento non esiste una seria minaccia alla sicurezza nazionale della Macedonia, al tempo stesso, però, il paese si oppone alla divisione della provincia confinante.
Abituati a dire sempre di sì all’Occidente, i politici macedoni hanno avuto bisogno di un po’ di tempo per riuscire a elaborare una propria posizione al riguardo. Gli analisti politici sono stati invece più pronti.
Vlado Popovski, professore nella facoltà di Giurisprudenza di Skopje, e attualmente consigliere del primo ministro, ha dichiarato immediatamente che la divisione del Kosovo rappresenterebbe un serio pericolo per la Macedonia, potendo portare ad una sospensione degli accordi di Ohrid e a nuove richieste di federalizzazione.
Secondo Denko Malevski, ex ambasciatore all’Onu, dividere il Kosovo significherebbe “far rovinare secoli di storia balcanica sulle nostre teste”.
“Non esiste al momento nessun serio pericolo per il nostro paese”, ha dichiarato il ministro degli Interni Gordana Jankulovska. “Dati gli sviluppi nella regione, continiuamo a monitorare la situazione, ed agiremo se necessario”.
La tendenza ad archiviare tutto come “normale amministrazione” questa volta pare però eccessiva. Non è necessario fare speculazioni per comprendere l’effetto che la parola “spartizione” può avere nella regione.
Chiaramente, poi, c’è chi pensa di avere tutto da guadagnare da un riaccendersi delle tensioni.
Il 18 agosto scorso un gruppo di sette detenuti è fuggito dalla prigione di massima sicurezza di Dubrava, in Kosovo. A guidare la fuga c’era Lirim Jakupi, noto col soprannome “Nazi”, uno degli ex leader del movimento armato per la liberazione di Presevo, Medvedja e Bujanovac, nella Serbia meridionale.
Jakupi è ricercato anche in Macedonia, insieme al suo compagno di fuga Ramadan Shiti per il ferimento di tre poliziotti nel 2004, l’uccisione di un tassista e l’esplosione di una bomba nel quartiere di Bitpazar, a Skopje.
Jakupi è stato anche uno dei leader del gruppo armato che occupò il villaggio di Kondovo, nei pressi della capitale macedone, nel 2004. A fuggire da Dubrava è stato anche un altro ricercato dalle autorità macedoni, Dzavid Morina, soprannominato “comandante Drenica”, altro comandante della guerriglia albanese accusato dell’uccisione di due poliziotti a Gostivar, nel 2002.
Le autorità kosovare hanno chiesto l’aiuto di quelle macedoni per la cattura dei fuggitivi. Anche la polizia di Serbia e Albania è nello stato di massima allerta.
Allo stesso tempo, questa volta in Macedonia, un altro leader militare della guerriglia è riuscito ad evadere. Si tratta di Dzemail Iseni, “comandante Jamey Shay”, a cui era stata concessa una licenza speciale per poter partecipare ai funerali della madre. Iseni è stato condannato a sette anni, nel 2005, per aver piazzato bombe nella piazza di Kumanovo e lungo la linea ferroviaria Skopje-Belgrado. Dopo la cerimonia funebre, il “comandante Shay” si è fatto scudo dei propri amici e parenti riuscendo ad eludere il controllo della polizia.
Entrambe le fughe sembrano essere avvenute grazie a supporto logistico pervenuto da fuori e dentro gli istituti penitenziari. Le autorità del Kosovo hanno arrestato alcune guardie carcerarie, ed anche quelle macedoni stanno considerando l’opportunità di un simile intervento.
Intanto si registrano numerosi altri incidenti: un deposito di esplosivi scoperto in Kosovo, gruppi armati avvistati in Serbia meridionale, colpi d’arma da fuoco esplosi contro una sentinella sul confine albano-macedone, una casa nel villaggio di Brnjarci (sulla strada di Aracinovo, uno dei principali luoghi di scontro nel conflitto del 2001) crivellata di colpi.
Per gli analisti queste non sono coincidenze, ma parte di uno scenario che ha lo scopo di aumentare la tensione nel contesto della fase risolutiva dei negoziati per il Kosovo. La possibilità che almeno parte di questi eventi sia collegata con lo “scenario spartizione” deve essere considerata con attenzione.
E’ possibile però dire che dietro a questi eventi ci sia un unico regista?
Un altro leader albanese, Xhezair Sakiri, “comandante Hoxha”, è salito in questi giorni alla ribalta dopo aver lanciato la sua agenda politica, e aver annunciato che nel villaggio di Tanusevci (dove il conflitto del 2001 ebbe inizio), verrà tenuto un referendum sulla secessione dalla Macedonia e l’annessione al Kosovo, visto che, a quanto sostiene Sakiri, i suoi abitanti si sentono discriminati dalle autorità macedoni.
Si dice che il villaggio non sia controllato dalle forze di polizia macedoni, e che proprio qui si nascondano i latitanti evasi recentemente. Sakiri rigetta le accuse: “non sono qui, e se venissero, non li lasceremmo entrare”.
Al tempo stesso, però, lo stesso “Hoxha” ha dichiarato che il villaggio ha a disposizione una propria forza armata, e che nemmeno la polizia verrà autorizzata ad entrarvi.
Il ministro Jankulovska ha replicato dicendo che “la polizia ha già dimostrato di potersi recare ovunque ci sia bisogno del proprio operato”.
Negli stessi giorni, nella regione di Tetovo, sono apparsi numerosi graffiti inneggianti alla “Repubblica di Ilirida”.
Chiaramente molte cose stanno accadendo, nonostante il tono dimesso del Consiglio per la Sicurezza dello Stato, che sostiene che non ci sia nulla di cui preoccuparsi.
“Tutti gli stati nell’area devono essere pronti ad affrontare diversi possibili scenari”, è il commento di Ibrahim Mehmeti, analista politico.
L’ex ministro della Difesa Trajan Gocevski, ha poi aggiunto che “la dimensione temporale della soluzione dello status del Kosovo non può essere ignorata. Se la Nato non si allagherà entro il prossimo Aprile, accogliendo i paesi della regione, questi potrebbero subire una nuova destabilizzazione”.
Anche da parte dell’International Crisis Group (ICG) sono arrivate recentemente grida d’allarme, che definiscono la questione kosovara come “una bomba ad orologeria” nelle mani dell’Ue.
E’ logico aspettarsi un’ulteriore aumento della tensione e, considerati paventati referendum di secessione e comandanti della guerriglia a piede libero, l’autunno che viene potrebbe rivelarsi molto caldo.
Quanto succede oggi è, almeno in parte, conseguenza dell’apertura di uno “scenario spartizione”. Da parte della comunità internazionale, questa dovrebbe essere una lezione da non sottovalutare.