La Serbia non ritorna a Milošević
Nonostante il candidato ultranazionalista abbia ottenuto il maggior numero di voti alle presidenziali e nonostante sia atteso il suo buon risultato anche nelle elezioni politiche di dicembre, non c’è pericolo di un ritorno al regime di Milošević.
Nonostante la coalizione di governo DOS, sia giunta alla fine della debacle alle elezioni presidenziali, dove il maggior numero di voti è stato ottenuto dal candidato ultranazionalista, non significa che la Serbia ritorni al tempo di Slobodan Milošević.
A dispetto del trionfo del candidato del Partito Radicale serbo SRS, Tomislav Nikolić (il partito di Vojislav Šešelj che ora è in carcere all’Aia accusato di crimini di guerra), non otterrà il potere.
La Serbia per la terza volta in un anno non è riuscita a eleggere il presidente perché alle elezioni del 16 novembre non è stato raggiunto il 50% degli elettori, quanto è previsto per legge per fare sì che le elezioni siano valide.
Tuttavia, ciò non diminuisce la riuscita del candidato del blocco dei partiti pro Milošević, che tra la sorpresa generale, ha ottenuto il 46.2% di voti sul totale dei votanti (la percentuale complessiva di chi ha votato è stata del 38.8%).
Lontano da Nikolić si è trovato Dragoljub Mićunović, il candidato favorito della DOS, che ha ottenuto il 35.4% di voti.
Il risultato degli ultranazionalisti è spiegato dalla maggior parte degli analisti col fatto che, con la richiesta di elezioni politiche anticipate, le presidenziali sono state boicottate dai popolari Vojislav Koštunica e Miroljub Labus, rispettivamente i leader del Partito Democrati della Serbia (DSS) e del partito G17 Plus, i quali raggruppano attorno a sé i consensi degli elettori nazionalisti moderati e di orientamento riformista.
"Dato il fattore della inerzia politica, dell’aumento dell’apatia e della rassegnazione del corpo elettorale, e degli effetti dei continui scandali che scuotono la scena politica serba, la domanda è come sia stato possibile che qualcuno pensasse ad una qualche possibilità di riuscita di queste elezioni" – afferma l’analista politico Ðorđe Vukadinović.
Senza la rappresentanza dell’intero ventaglio politico, il candidato ultranazionalista ha potuto contare su un’ampia riserva di elettori che si sono espressi contro Mićunović, il quale a dispetto della sua forte legittimità democratica non è riuscito a scrollarsi di dosso l’ipoteca di candidato dell’impopolare governo.
"Mićunović non si è distanziato dalla coalizione che lo ha sostenuto" adduce Vukadinović come motivo del fallimento del candidato della DOS.
Pertanto il governo serbo non ha corrisposto al background delle intenzioni di Mićunović, dal momento che, sotto la pressione dei numerosi scandali per corruzione e i controversi risultati della transizione, di fatto è caduta la metà del mese in corso, quando sono state indette le elezioni politiche anticipate per il 28 dicembre.
Così che la DOS – la vittoriosa coalizione che alla fine del dicembre 2000 era entrata in parlamento con la forza dei due terzi della maggioranza – sgretolata dagli scandali e dalla distruttiva lotta interna per il potere, in tre anni dall’essere il motore delle riforme è divenuta il loro principale freno.
Ecco perché il risultato delle elezioni presidenziali, che gli analisti definiscono "un voto di protesta" contro il governo, è difficile che venga preso come l’evidenza della contrarietà dei cittadini alle riforme.
È del tutto sicuro che questo trend si mostrerà già alla fine di dicembre alle elezioni politiche anticipate, dopo che la parola sulla formazione del governo potrebbe passare di nuovo ai partiti di orientamento riformista come il DSS e il G17 Plus, che nel 2000 erano nella DOS, ma a causa dell’insoddisfazione per la politica di governo sono usciti dalla coalizione.
Con ciò il blocco riformista in Serbia è diviso in tre forti raggruppamenti: la DOS, guidata dal partito del defunto premier Zoran Ðinđić, poi dal DSS e dal G17 Plus.
Sgretolata dagli scandali, con una drammatica caduta di popolarità, con la continuazione dei conflitti interni e, infine, con la debacle delle elezioni presidenziali, la DOS martedì scorso si è definitivamente e formalmente disciolta.
Ecco perché è una grande questione sapere dove si fermerà, nelle prossime settimane, la caduta di popolarità dei partiti di governo, che di sicuro verranno sconfitti anche alle elezioni per il parlamento.
Le dimensioni di tale erosione vengono descritte dall’analista politico Slobodan Antonić come un travaso delle leve del potere serbo.
"Da qui alle elezioni parlamentari assisteremo a ciò che è accaduto alla fine del governo di Milošević: una graduale ristrutturazione dell’élite di governo, non solo politiche ma anche economiche" spiega Antonić.
Così è stato messo in questione l’originario piano dei leader di tale coalizione di formare per le elezioni politiche una qualche sorta di "piccola DOS", alla cui guida ci sarebbe stato l’incorruttibile Mićunović.
Tuttavia la caduta di Mićunović ha rinforzato una corrente del tuttora forte DS, che invece desidera che questo partito si presenti da solo alle politiche.
Se ciò dovesse accadere, esiste la possibilità che un certo numero di piccoli partiti di questa coalizione possa formare un’alleanza pre-elettorale, così da oltrepassare l’alto sbarramento del 5%.
È difficile dire quanti voti guadagneranno il DS e la DOS, ma si pensa che questo partito, che ora al posto di Ðinđić è guidato dal premier Zoran Živković, non avrà meno del 10% degli elettori.
Allo stesso tempo, ci si attende che un certo numero di piccoli partiti incorrotti partiti della DOS si uniscano per entrare in parlamento, mentre gli altri partiti della coalizione di 16 membri usciranno di scena.
Ci si aspetta inoltre che il maggior numero di voti vada al DSS, il partito dell’ex presidente jugoslavo Vojislav Koštunica, capo della lista che alle elezioni del 2000 ha sconfitto Milošević.
Come una qualche sorta di partito popolare pro europeo, il partito di Koštunica si relazionerà, all’insegna delle riforme, anche ad una parte dell’elettorato nazionalista.
In questo modo Koštunica, che a causa del suo nazionalismo non ha goduto delle simpatie della UE e degli USA nella lotta politica con la DOS, si impone come il maggior ostacolo politico all’ascesa degli ultranazionalisti e al ritorno del sistema di Milošević.
Gli analisti credono che come gruppo forte in parlamento entrerà anche il partito riformista G17 Plus, che sin da questa estate si è legittimato come consistente forza antigovernativa, portando alla luce senza interruzione gli scandali che hanno visto coinvolti i funzionari del governo.
Ora, è pressoché certo che secondo il peso politico, subito dietro il partito di Koštunica in parlamento ci saranno i coraggiosi radicali, che però non rinnoveranno la vittoria del proprio candidato presidente e dovranno accontentarsi di circa il 15% dei voti.
Tuttavia è altrettanto certo che nessuno dei partiti elencati, che non temono l’ingresso in parlamento, formerà un’unione con gli ultranazionalisti, i quali seguiranno il destino del partito di Jorge Haider in Austria e di quello di Jean-Marie Le Pen in Francia, ossia saranno forti ma lontani dal potere.
Questo è il motivo per cui i funzionari del favorito DSS in questi giorni credono che dopo le elezioni formeranno il governo insieme al G17 Plus.
Se, tuttavia, questi partiti non dovessero riuscire insieme a raggiungere il 50% dei posti in parlamento, offriranno l’alleanza ai piccoli partiti del blocco riformista che riusciranno ad entrare in parlamento.
Ad ogni modo sia gli uni che gli altri cercheranno di evitare i radicali e il DS, che, sembra, non sia in grado per le elezioni di ripulire le sue file e di dare un taglio netto alla eredità delle corruzioni.
Ma, se il DSS e il G17 Plus dovessero essere costretti a scegliere tra il DS e i radicali non ci sono dubbi che la loro scelta cadrà sul partito di Živković, nonostante l’inimicizia che continuano a dimostrare nei confronti del maggior partito di governo.
Tutto ciò indica che gli ultranazionalisti in Serbia, tre anni dopo la caduta di Milošević, rimarranno ai margini del potere e che la Serbia continuerà con le riforme interrotte.
Vedi anche:
–Elezioni in Serbia: questione di giorni
–Serbia: L’Aia abbatte il governo