La Grecia in crisi
E’ crisi politica in Grecia. Il premier Karamanlis annuncia le elezioni anticipate per il 4 ottobre prossimo. Nonostante i sondaggi diano i socialisti del Pasok in vantaggio di qualche punto, il premier greco è disposto a rischiare il tutto per tutto
"Non mi dimetto, anche in caso di sconfitta". Il premier greco Kostantinos Karamanlis non è nuovo a rischiare tutto chiamando il Paese a elezioni anticipate. L’ha già fatto nel settembre 2007, quando mezza Grecia era devastata dagli incendi e c’erano stati 60 morti e il parco archeologico di Olimpia lambito dalle fiamme. Il suo governo di centro destra, esattamente come lo scorso agosto, non aveva saputo prevenire e gestire la tragedia. Ma poi Karamanlis aveva distribuito 3000 euro pronto cassa a chiunque avesse dichiarato di avere subito danni dal fuoco, e alle urne aveva vinto nonostante tutto.
Ora ci riprova. Stesso scenario: questa volta è stata l’Attica, la regione di Atene, e non il Peloponneso ad andare in fumo. Circa 200mila ettari di bosco in cenere, mentre una recente relazione del WWF rivela che negli ultimi vent’anni più di 80mila ettari boschivi sono stati trasformati in ville e terreni agricoli dopo i ripetuti incendi intorno alla capitale. Dal sobborgo chic di Penteli fino alla baia di Maratona, ogni volta è la stessa storia: incendi dolosi dopo i quali, invece del rimboschimento, avanza la speculazione edilizia.
I piromani hanno devastato il Paese anche prima di Karamanlis, ma il ricordo del 2007 brucia ancora, mentre le alture intorno ad Atene sono nuovamente grigio fumo. Tanto che nei titoli dei giornali Karamanlis è stato soprannominato "il nuovo Nerone". Non solo. Nel corso di questi due anni, sul bilancio del suo governo pesano molti scandali in più rispetto al 2007: tanto per citarne due fra tanti, la vendita alla Chiesa di terreno pubblico dietro compenso di bustarelle a pezzi grossi del partito governativo e l’arresto, lo scorso giugno, del direttore esecutivo della Siemens greca, Dionisio Dendrinos, accusato dai magistrati di avere pagato per anni tangenti ai politici in cambio di appalti. Aggiungiamoci la crisi economica che all’ombra del Partenone si sente da più di un anno, con i prezzi dei beni di prima necessità alle stelle e la disoccupazione che avanza, il deficit statale che galoppa verso il 6-7% del Pil, l’afflusso di vacanzieri diminuito del 20% in un Paese a grande vocazione turistica, e il mix è fatto.
Si rischia nuovamente una "bomba sociale", come quella scoppiata lo scorso dicembre in seguito all’uccisione di un quindicenne nel quartiere ateniese di Exarchia, e che ha messo i centri delle maggiori città greche a ferro e fuoco negli scontri fra manifestanti e polizia. Gli attentati da parte di sedicenti gruppi anarchici e rivoluzionari negli ultimi mesi si sono moltiplicati: l’ultimo ordigno è scoppiato la settimana scorsa fuori dalla Borsa di Atene, simbolo del capitalismo e dell’alta finanza, e un altro a Salonicco, per fortuna senza vittime.
La Grecia, insomma, nell’ultimo biennio è andata a fuoco tre volte: due volte d’estate per gli incendi dolosi fra boschi e campagne, una volta d’inverno per le bombe molotov lanciate nelle città. Il tutto sotto lo sguardo di un governo che pare incapace di gestire le emergenze nazionali: non per niente i giornali hanno additato un’immagine a simbolo della decadenza del potere, quella di Karamanlis che sorvola in elicottero le periferie di Atene in fiamme, paragonandola a quella dell’ex presidente americano George W. Bush che guardava dall’alto di un aereo New Orleans sommersa dalle acque.
Ma Karamanlis vuole ugualmente ritentare l’azzardo. Approfittare del fatto che in fondo i sondaggi danno sì dai 6 ai 7 punti in percentuale di vantaggio ai socialisti del Pasok, ma il divario non è grandissimo se si pensa al cumulo di problemi vissuti dai greci sotto la guida di Nuova democrazia, al potere dal 2004 ed eternamente traballante in Parlamento con un margine di uno o due deputati a suo vantaggio.
Un divario che non si discosta troppo dal verdetto delle elezioni europee dello scorso giugno (dove i socialisti hanno vinto con il 4,3% di scarto), anche se di mezzo c’è stata l’ennesima dimostrazione che la macchina dello Stato non sa impedire al fuoco di divorare il Paese, per non parlare degli scandali incessanti che vedono regolarmente implicati ministri corrotti. Un divario, insomma, che forse può ridimensionarsi di qui a ottobre. Se rimanesse a livelli superiori anche di poco al 6 per cento consegnerebbe il Paese al Pasok addirittura con la maggioranza assoluta in Parlamento, in base alla legge elettorale ellenica che prevede un premio al partito più forte.
Il quotidiano riformista "Ta nea", il più diffuso in Grecia, alla notizia che il premier ha indetto elezioni anticipate per il 4 ottobre, ha commentato con una vignetta sardonica che mostra Karamanlis sullo sfondo delle fiamme "L’Ellade di nuovo è illuminata, la fortuna mi chiama: vincerò".
In realtà, il primo ministro ha messo in conto di poter perdere, ma ha già chiarito che in ogni caso non si dimetterà dalla guida del suo partito. Anche se, all’interno di Nuova democrazia, già si profilano lotte per l’eventuale successione. Senza contare che, nel caso in cui lo scenario politico uscito dalle urne dovesse condannare la Grecia all’ingovernabilità, ossia se non ci fosse una netta vittoria del Pasok, all’orizzonte si profila a marzo 2010 l’elezione del presidente della Repubblica, e quindi la possibilità di un ennesimo ritorno al voto anche per le elezioni politiche.
Karamanlis coraggioso e lungimirante "rischiatutto", che conosce bene i greci, o Karamanlis incosciente kamikaze? Il suo avversario George Papandreu si proclama certo di avere già la vittoria in tasca e nei comizi elettorali si atteggia a "Obama greco" indicando la via dell’energia verde, alternativa al petrolio, come la strada per creare nuovi posti di lavoro e uscire dalla crisi. Una crisi che ovviamente addebita a Nuova democrazia: "La Grecia era già in crisi prima della bolla finanziaria globale. Nuova democrazia ha sperperato per interessi propri tutto quello che i precedenti governi socialisti avevano conquistato a suon di sacrifici, chiesti ai greci per fare entrare il Paese nella zona euro" ha detto Papandreu l’8 settembre in un comizio in Tracia, al confine con la Turchia.
La partita si preannuncia dura. I socialisti per 30 anni hanno praticato politiche clientelari esattamente come Nuova democrazia, e questo i greci lo sanno e non ne sono certo entusiasti. Ma un elemento imprevisto, questa settimana, può spostare la partita politica a favore di Papandreu. L’uscita dalla sfida elettorale dello schieramento riformista "Syriza", in grossa crisi interna. Avrebbe potuto raccogliere i consensi dei giovani e di coloro che vogliono votare a sinistra ma non per i socialisti e neppure per i comunisti del KKE (che pure alle ultime elezioni europee sono risultati il terzo partito del Paese). Chi raccoglierà i voti di Syriza? Non certo Nuova democrazia.