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Il grande albergo delle rose
Gioco d’azzardo e geopolitica: un libro ricostruisce le vicende di un grande albergo voluto dall’amministrazione italiana durante l’occupazione di Rodi
Siamo nel 1912, al termine della guerra italo-turca che avrebbe visto il nostro paese impossessarsi della Libia e delle isole egee del Dodecaneso, occupando, per quanto riguarda queste ultime, Rodi, l’isola maggiore, con un corpo di spedizione guidato dal generale Giovanni Ameglio (anche se va detto che ufficialmente l’amministrazione italiana dell’arcipelago sarebbe stata ratificata con il Trattato di Losanna del 1924, e da quel momento il possedimento assunse questa stessa denominazione, cioè Possedimento Italiano del Dodecanneso, perché non lo si voleva definire, come la Libia, una colonia).
A capo del Possedimento Italiano del Dodecanneso venne messo un governatore nella persona di Mario Lago, un liberale legato a Giovanni Giolitti (la sorella di Lago aveva sposato il figlio dello statista), che poi si era avvicinato al fascismo, ma sempre mantenendo – e lo si sarebbe visto nel corso del suo governatorato – un comportamento aperto quel tanto da dare una svolta liberale all’economia delle isole italiane del Dodecanneso.
Emblematica, in questo senso, è la storia del “Grande Albergo delle Rose”, raccontata da Riccardo Mandelli, nel suo libro che porta, appunto, questo titolo e, per sottotitolo, anch’esso emblematico “Rodi, L’Italia, Giocatori e spie: 1912-1949), edito da ETPbooks, una casa editrice di lingua italiana che pubblica ad Atene.
Mandelli, già autore de “L’ultimo sultano. Come l’Impero ottomano morì a Sanremo”, per altro tradotto nel 2015 in Turchia – e altri libri sui giochi d’azzardo e varie faccende politiche legate in qualche modo a questi – ultimo dei quali, prima di questo sull’Albergo delle Rose “Dieci giorni in aprile. La conferenza di Sanremo del 1920 e la spartizione del Medio Oriente”: un interesse, questo dell’autore per Sanremo probabilmente legato alle origini liguri dell’autore e sicuramente per il suo vivere e lavorare in Liguria.
Sanremo entra in qualche modo anche nella storia del Grande Hotel delle Rose. L’idea di costruirlo nacque infatti sulla scia del progetto di Mario Lago di voler fare dell’isola di Rodi un’attrazione turistica, in considerazione delle potenzialità dell’isola, delle sue bellezze naturali, le sue spiagge, le sue acque termali, le antichità, i monumenti storici come quelli di Lindos e del castello dei cavalieri dentro il quale era – ed è – raccolta la città vecchia. In questo ambito entrava un grande albergo, con annesse sale da gioco, stabilimento termale, ed anche un campo da golf. Si consideri che, di strutture alberghiere all’epoca, Rodi ne contava tre, provviste di camere modeste e pochi bagni in comune, meta per lo più dei dodecanesini che erano emigrati in Egitto, ad Alessandria, città anche di studi per i figli della scarsa borghesia locale. Si trattava, pertanto, ai fini dello sviluppo turistico di – come scrive Mandelli – “intercettare le ricche comunità ebraiche, greche, inglesi e francesi stanziate in Medio Oriente”.
Fino ad allora il centro più vicino che maggiormente attirava questa gente in quell’area era Beirut, che poteva contare anche su una legge sul gioco d’azzardo molto permissiva, così da invogliare i ricchi giocatori ad andarci. Mario Lago invece aveva a che fare con le leggi italiane sul gioco d’azzardo molto restrittive, che rischiavano di rendere illegale e poco attraente la meta di Rodi, nonostante i tanti altri pregi. Da qui le sue pressioni su Mussolini affinché creasse per i possedimenti dell’Egeo una legge sul gioco d’azzardo meno restrittiva, analoga a quella già esistente in Francia, che godeva dei suoi tanti casinò, come quelli nell’area di Nizza, del Principato di Monaco, Biarritz, ma anche il Ponente Ligure con Sanremo. Alla fine, ma non subito, una volta terminata la costruzione dell’albergo e delle strutture affiancate come le Terme di Kalitea, il governatore la spunterà. Nel frattempo, per arrivare alla realizzazione dell’opera, Mario Lago si preoccuperà anche di trovare i finanziatori dell’impresa, partendo dalla Banca Commerciale Italiana, il cui “padrone” era Giuseppe Toeplitz “praticamente uno dei tre uomini più potenti d’Italia”, al quale portò, a riguardo, una lettera di Mussolini. “Mi metto in cammino” gli avrebbe risposto il banchiere, la cui banca era già in affari legati al turismo con forti interessi nella Ciga, ovvero la Compagnia Italiana Grandi Alberghi” e nella Compagnie Internazionale des Wagons-lits, con treni come il mitico Orient-Express che spostavano i membri delle classi agiate tra Londra e Costantinopoli. Alla fine i finanziatori (e soci) saranno non pochi: oltre alla Banca Commerciale, maggior azionista, la Società Commerciale d’Oriente, la Ciga stessa, la compagnia di navigazione Lloyd Triestino, un gruppo di rodioti capitanati dalla famiglia Alhadeff, e una quota minima detenuta anche dall’Enit, a cui era stata preposta la promozione di Rodi.
Per il turismo proveniente dall’Italia si poneva il grande problema della distanza, che poteva essere affrontata solo con molti giorni di navigazione. Quando fu inaugurata la linea aerea diretta, i primi voli furono sfortunati con 6 aerei che precipitarono. La nave, con inaugurazione di linee che partivano da Venezia, restava sempre il mezzo più sicuro, ma anche il meno conveniente per la distanza di Rodi dall’Italia.
Tant’è vero che, dopo che la grande avventura cominciò, l’albergo non riuscì però mai a godere del pienone sperato, nonostante Edda Mussolini e Ciano scelsero Rodi e il Grande Albergo delle Rose come meta della loro luna di miele. Sul numero degli ospiti nei primi anni e gli incassi, il libro, scritto per altro con un certo gusto narrativo che rende piacevolissima la lettura, offre significative informazioni. Tant’è che si arrivò al 1937 che le strutture, sia del Grande Albergo delle Rose che le altre, come l’Albergo del Cervo costruito sulle colline all’interno e quello delle Terme ebbero necessità di innovazioni che il nuovo governatore, Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, un uomo opposto per carattere e idee a Mario Lago, ma, seppur aspro, umorale e imbevuto di ideologia fascista, non stupido e neppure ignorante, al punto da capire che “era necessario cambiare, trovare persone capaci di coordinare le diverse strutture ricettive e farle lavorare in sinergia”. In questa direzione furono individuate le persone più giuste, mentre presero il via molti voli aerei.
“Lindbergh era arrivato in aereo da Aleppo” scrive Mandelli “facendo scalo all’aeroporto di Pessi/Parvis di Maritza, che ormai smistava un traffico di una certa consistenza. L’Ala Littoria, assorbita la Aereo espresso più altre compagnie, aveva inaugurato un servizio per Roma con apparecchi terrestri (andavano di moda gli idrovolanti n.d.r). La polacca Lot vi sostava sulla rotta per la Palestina. L’olandese Klm stava per inserire Rodi come tappa per i voli su Alessandria. Più avanti si sarebbero fermati anche quelli diretti a Baghdad e Bassora, in Iraq. Non meno intensa era l’attività dell’idroscalo. Oltre alle linee consolidate per Atene, Istanbul e Brindisi, gli idrovolanti dell’Ala Littoria raggiungevano Haifa, in Palestina. Gli investimenti pubblicitari stavano dando i loro frutti.”
Manifesti, opuscoli e inserzioni finivano, oltre che sulla stampa italiana, su quella tedesca, austriaca, ungherese, egiziana, olandese, palestinese, siriana e libanese. Gli stessi egiziani investivano a Rodi. Le terme di Rodi, grazie ai contatti con medici di Gerusalemme, erano diventate un punto di riferimento per le cure idroterapiche. La promozione interessava anche il gioco d’azzardo, tant’è che De Vecchi si rivolse per rilanciare il Casinò alla SAIT di Sanremo e Campione. Questa presenza, di conseguenza, fece di Rodi “un ganglio strategico dello spionaggio internazionale” come lo era già Sanremo. L’accesso al casinò era per tutti i turisti, mentre i locali dovevano possedere una specie di green pass. Di tutti i residenti lo avevano una settantina di persone. Si trattava di una tessera rilasciata dai carabinieri dopo un esame. I fortunati erano gli italiani, gli esponenti delle principali famiglie ebraiche, alcuni ortodossi e i consoli stranieri, “pochissimi musulmani, forse nessuno”.
Poi arrivò la guerra con il suo tragico epilogo. La bandiera greca prese a sventolare a Rodi il 31 marzo 1957. Da lì sarebbe cominciata un’altra storia, che il libro, tuttavia, non trascura, relativamente al soggetto del titolo. Va detto che grazie alla sua posizione geografica l’isola non sarebbe finita ai margini. Anzi, sarebbe stata un luogo di passaggio per molti ebrei diretti in Palestina, tra i quali Moshe Dayan, che al Grande Albergo delle Rose, “sotto il pannello di Afro che raffigura Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, mette la sua firma sul foglio che chiude la prima guerra di indipendenza israeliana”. Interessanti e rare fotografie in bianco e nero corredano in appendice il libro.