Elezioni in Bosnia Erzegovina: instabilità senza cambiamento
Per ora dai risultati sulle presidenziali, gli unici di cui si dispone, non emergono segnali di cambiamento. In Republika Srpska Milorad Dodik vince con un risultato superiore addirittura alle aspettative. Un’analisi
I risultati sono ancora provvisori, ma è chiaro che dalle elezioni di ieri in Bosnia Erzegovina non emergono segnali di cambiamento. L’esito del voto presidenziale (l’unico di cui disponiamo di dati, nella notte tra domenica e lunedì) indica che si consolidano i blocchi di potere esistenti in due terzi del sistema politico – quello bosgnacco e serbo -, e per un terzo – quello croato – avviene un avvicendamento che potrebbe portare a un nuovo stallo istituzionale e ad altra instabilità.
Alla mezzanotte di domenica, cinque ore dopo dalla chiusura dei seggi, la Commissione elettorale statale ha comunicato i risultati preliminari delle elezioni presidenziali statali su un 43% di voti scrutinati. Non è molto, e la lentezza dello spoglio è uno dei – tanti, come vedremo – motivi di insofferenza dei cittadini verso il processo elettorale. Ma vista la distanza tra i candidati e le proiezioni, pare abbastanza per dichiarare i vincitori.
Per il seggio bosgnacco della presidenza tripartita, Šefik Džaferović, candidato dell’SDA (destra conservatrice) e delfino di Bakir Izetbegović, è in testa con il 37.97% dei voci. Lo segue Denis Bečirović, dei socialdemocratici dell’SDP, con un 33.4% che va oltre le aspettative della vigilia. Dall’SDP non hanno ancora riconosciuto la vittoria di Džaferović, anche se il gap di 12.000 voti sembra incolmabile. Molto staccato il leader dell’SBB (centro-destra), l’editore Fahrudin Radončić che correva per la terza volta per la presidenza, con un 12% che dimezza i risultati dei sondaggi e che potrebbe segnare la fine della sua carriera politica. Risibili i risultati dei candidati indipendenti. Dalle presidenziali, l’SDA e la leadership filo-erdoganiana di Izetbegović escono dunque rinsaldati, nonostante le recenti scissioni, le divisioni tra i clan territoriali e i dubbi sulla tenuta della rete clientelare del partito. Resta però da vedere il risultato dei parlamenti ai vari livelli – stato, entità, cantoni, che dovrebbero delinearsi oggi -, dove la dispersione di voti tra i fuoriusciti ex-SDA potrebbe ancora ridimensionare il potere del partito.
Uno dei più grandi motivi di interesse era la lotta per il seggio serbo. Milorad Dodik (SNSD, destra nazionalista) dopo dodici anni di potere incontrastato in Republika Srpska, si presentava per la prima volta alla presidenza statale. Lo sfidava il rappresentante serbo uscente, Mladen Ivanić del PDP (centro moderato). Il vantaggio di Dodik, che ha il 55% dei voti contro il 41% del rivale, è molto superiore alle aspettative. La domanda più ricorrente alla vigilia era se il movimento di Pravda za Davida sarebbe riuscito a fare da catalizzatore contro la deriva autoritaria e clientelare dell’SNSD. La risposta è una doccia gelata per chi aveva sperato in un cambiamento.
Rimane però in gioco la presidenza della Republika Srpska e la composizione del parlamento per i quali, di nuovo, bisogna aspettare i risultati di oggi. Questi ultimi risultati sono persino più importanti, dato che il potere fattuale su finanze, imprese pubbliche, controllo sui media, ecc., è in mano alle entità. Ma a questo punto la candidata presidente alla RS Željika Cvijanović, fedelissima di Dodik parte favorita rispetto all’esponente dell’opposizione Vukota Govedarica, e i dati che filtrano nella notte sembrano confermare questo trend.
Altro nodo cruciale era la corsa per il seggio croato. Anche qui è arrivata una vittoria molto più netta delle previsioni. Željko Komšić, leader del DF (centrosinistra civico) si impone con il 49% dei voti secondo la commissione elettorale, anche se secondo le proiezioni dell’agenzia di osservatori Pod Lupom potrebbe arrivare persino al 54%. Čović (HDZ, destra conservatrice) si fermerebbe tra il 34 e il 38%. Komšić, eletto per la terza volta dopo i successi del 2006 e del 2010, si conferma come il riferimento dell’opzione pro-bosniaca civica. Ma la sua elezione potrebbe aprire la strada a nuovi stalli istituzionali, anche più gravi della paralisi del 2010-12. Ricordiamo che l’HDZ contesta Komšić come “candidato illegittimo” perché votato principalmente con i voti dei bosgnacchi e dei pro-bosniaci. Da mesi si parla dell’eventualità che l’HDZ arrivi a bloccare le istituzioni in caso di vittoria di Komšić, disertando la formazione delle assemblee e quindi bloccandone il funzionamento finché non si cambi la legge elettorale in un senso etnico-territoriale e, dunque, favorevole allo stesso HDZ. Anche qui bisogna aspettare i risultati delle assemblee parlamentari per avere un quadro più preciso e ipotizzare strategie e composizioni di maggioranze. Ieri sera Čović ha affermato che “i bosgnacchi hanno scelto due presidenti” e che il popolo croato-bosniaco, che “pensa in modo pro-europeo”, è impossibilitato a eleggere “i propri rappresentanti, questa non è la strada dell’UE”. Nella lingua dell’etnocrazia, queste espressioni suggeriscono che un ostruzionismo potrebbe davvero accadere.
Riguardo l’affluenza, il dato a livello statale – anche questo provvisori: mancano alcune municipalità che potrebbero far salire di qualche decimale – mostra un 53.36% di partecipazione. E’ un dato in leggero calo rispetto al 54.5% del 2014, e che presenta una significativa forbice tra Federazione di BiH (51,2%, in calo rispetto al 53% del 2014) e la Republika Srpska (57,3%, in aumento rispetto al 56,9% di quattro anni fa). Queste cifre suggeriscono la differenza di significato delle elezioni. La forte polarizzazione tra maggioranza e opposizione nella RS ha probabilmente mobilitato di più a votare, rispetto alla maggiore fluidità della FBiH. Per tutto il giorno si erano rincorse supposizioni che il generale aumento dell’affluenza in RS, con punte acute proprio nella Banja Luka epicentro del movimento Pravda za Davida, segnalasse un voto di protesta contro Dodik. Sembra invece che questo aumento abbia incluso una mobilitazione pro-SNSD. La forte infrastruttura del partito, l’implicito messaggio di essere un tutt’uno con la Republika Srpska (“se cado io, cade anche lei“) e le velate minacce – sotto forma di battute di pessimo gusto – sul fatto che i votanti dell’opposizione avrebbero perso il lavoro, sono stati fattori decisivi.
Quanto alla regolarità del voto, la giornata elettorale si era svolta in un clima di relativa tranquillità, senza particolari incidenti ma con un susseguirsi di segnalazioni su brogli. Secondo gli osservatori indipendenti di Pod Lupom, circa il 25% dei seggi ha aperto in ritardo e più di 200 “situazioni critiche”, tra cui un paio di interruzioni di voto per atti di violenza, compravendita di voti, quello che in Bosnia Erzegovina si chiama “treno bulgaro” (fare uscire una scheda dal seggio e precompilarla, lanciando così una catena di voto di scambio) pressioni contro votanti e osservatori. Sono ampiamente circolati nei media episodi preoccupanti e un po’ grotteschi, come quello di Darko Marković, un cittadino di Banja Luka che nel registro elettorale ha trovato la firma falsificata con cura del figlio – assente, emigrato in Germania – e il voto effettuato a suo nome. O quella di Fadil Ćerimagić, un sarajevese che ieri sera si è inserito nella conferenza stampa della Commissione elettorale sostenendo che la madre, scomparsa 11 anni fa, si trovava ancora nella lista votanti. Il problema delle liste non aggiornate da decessi ed emigrazione è stato oggetto di dibattito nella campagna elettorale, alimentando la disaffezione dei cittadini verso il processo. Secondo diversi analisti il problema è di generale disorganizzazione più che di intento esplicito di frode. Ma anche per fare piena luce su questo, occorrono i risultati completi. E dopo questi, ci sarà da fare i conti con l’instabilità senza cambio che pare delinearsi, ancora una volta per il paese.
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Articoli, analisi, infografiche e gallerie fotografiche sulle elezioni in Bosnia Erzegovina dell’ottobre 2018. Un nostro dossier