Dove va l’Europa?
Una disamina di Fuat Keyman, docente presso l’Università Koc, sui rapporti UE-Turchia, con la quale pone l’accento sul fronte anti-turco e populista, in seno all’Unione europea, secondo l’autore vera base dei problemi per l’adesione della Turchia
Di Fuat Keyman, Radikal Iki, Supplemento domenicale di Radikal, 2 ottobre 2005.
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fabio Salomoni
Da una parte la Turchia: un paese che si sta sforzando di risolvere i suoi problemi economici, che rispetta i Criteri di Copenaghen necessari per dare il via ai negoziati di adesione alla UE, che negli ultimi anni ha intrapreso, per quanto ci siano problemi e ritardi nella loro applicazione, una serie di riforme in direzione della democratizzazione. La Turchia, un paese che dopo l’11 Settembre ha la possibilità di diventare nel mondo ed in Europa il luogo dove modernità, democrazia ed identità islamica possono convivere. Un paese che sul piano internazionale cerca di dare vita ad una politica internazionale multilaterale, attiva e propositiva.
Dall’altro la Cipro greca, che ha detto no al Piano Annan che conteneva una potenziale chiave per la soluzione della crisi cipriota, un paese che utilizza nel rapportarsi alle persone che vivono nella parte turca dell’isola un approccio fondato su di un concetto di cittadinanza discriminatorio, razzista, fondato sui concetti di sangue e terra, un paese guidato da un leader, Tasos Papadopoulos, che preferisce trasformare le possibilità di dialogo e di soluzione in una eterna impasse.
Inoltre la Turchia, nel caso riuscisse a completare con successo la fase dei negoziati, in altri termini se riuscisse a portare a termine la sua trasformazione per quanto riguarda democratizzazione, sviluppo economico, istruzione e sicurezza, sarebbe un paese potenzialmente in grado di dare un importante contributo al futuro dell’Europa, sia per quanto riguarda la sua identità, sia per quanto riguarda la ripresa del suo dinamismo economico e le sue possibilità di assumere il ruolo di attore politico globale.
Ed invece ci sono stati gli spiacevoli episodi vissuti durante la elaborazione del documento contro la Dichiarazione di Cipro presentata dalla Turchia, l’atteggiamento politico tenuto da Francia ed Austria, contrario ad tutte le regole etiche e morali, come se non esistesse una società ed uno spazio chiamato Cipro del Nord.
Tutti questi elementi non ci hanno mostrato solamente un approccio iniquo e capace di minare i fondamenti univeralisti delle relazioni tra Turchia ed UE. Ci hanno soprattutto mostrato in modo netto le questioni che attanagliano l’Unione Europea: l’incapacità di produrre soluzioni, un’insufficienza etica, una debolezza identitaria ed una incapacità di produrre una visione politica di ampio respiro.
Gli atteggiamenti inclini al populismo ed al razzismo assunti nei confronti della Turchia, i continui riferimenti ad una adesione alternativa oppure il continuo ricorrere di espressioni quali " I negoziati della Turchia dureranno molto a lungo, conteranno regole molte dure e la loro conclusione sarà indeterminata" non mostrano solamente il rafforzamento di atteggiamenti iniqui e non obbiettivi. Nello stesso tempo simboleggiano la crisi di identità e di visione politica che vive l’Unione.
Sappiamo ormai che il documento di riferimento dei negoziati che si renderà noto alla vigilia del 3 ottobre rifletterà questa situazione.
Sappiamo anche che questo documento conterrà un approccio diverso rispetto a quello mantenuto nei confronti degli altri candidati, che rifletterà il crescente atteggiamento iniquo, non obbiettivo che si sta consolidando in Europa.
Con queste premesse nel documento si troverà un atteggiamento politico populista e privo di una visione di ampio respiro.
Se anche il 3 ottobre cominciassero i negoziati di adesione non è sbagliato e nemmeno eccessivo sostenere che la fase dei negoziati si presenta densa di occasioni di crisi.
Occasioni di crisi che saranno fondate su frequenti riferimenti a nuovi criteri, quali quello del partenariato privilegiato, non contenuti nel documento di adesione.
Non ci possiamo aspettare che la fase dei negoziati si svolga in modo equo, obbiettivo e senza crisi. La Turchia finirà per assumere il ruolo di capro espiatorio, per essere confinata in una alterità culturale radicale.
Questa situazione di crisi emergerà con chiarezza e si inasprirà da un lato con il discorso anti-turco presente nella Unione Europea, mirato a calpestare obbiettività ed equità, dall’altro con la politica antieuropea presente in Turchia, come i recenti casi della chiamata in giudizio di Orhan Pamuk o della decisione degli organi giudiziari di rinviare la conferenza sulla questione armena hanno dimostrato.
In questa prospettiva nel periodo successivo al 3 ottobre con molta probabilità sui due fronti della relazione Turchia-UE assisteremo alla marginalizzazione del discorso centrato sulla democrazia e sullo sviluppo economico a vantaggio di un discorso fondato sul populismo e sull’autenticità culturale. In una situazione simile si vivranno serie difficoltà e la fase di negoziati sarà costellata da una lunga serie di momenti di crisi.
La ragione principale che rende necessario che ci si prepari ad una fase all’insegna dell’incertezza non è la Turchia. Certo, in Turchia esiste una lobby che mira ad azzerare la credibilità del processo di democratizzazione, che non ha nessuna considerazione per il diritto e che trae vantaggio dal perpetuare all’estero l’immagine della Turchia come un paese autoritario e militarista.
Oggi però la principale fonte dei problemi che perturbano le relazioni turco-europee non è il fronte antieuropeo in Turchia. Al contrario, se anche si vivono in Turchia seri problemi per quanto riguarda l’applicazione delle riforme democratiche, la Turchia dopo la storica decisione del 17 dicembre ha raggiunto ottimi risultati nel suo processo di avvicinamento all’Europa. Con queste premesse la conclusione obbligata è che i problemi che riguardano le attuali relazioni turco-europee, quelli che con tutta probabilmente emergeranno durante la fase dei negoziati, per non citare la possibilità che questi negoziati non comincino nemmeno, sono legati all’atteggiamento politico fondato sul populismo e sul discorso dell’autenticità culturale prodotti dal fronte antiturco all’interno della UE.
Le cause di questo atteggiamento sono da un lato la determinazione mostrata dalla Turchia all’indomani della decisione del 17 dicembre scorso e dall’altro la profondità della crisi che attraversa l’Unione al suo interno.
Oggi possiamo vedere in modo netto la profondità della crisi prodotta dalla vittoria dei no nei referendum in Olanda e Francia. Attualmente l’Unione Europea vive una profonda incertezza rispetto al proprio futuro fondata essenzialmente su cinque elementi: il suo futuro istituzionale, il suo posto all’interno della globalizzazione e il futuro economico, il suo ruolo politico globale, la sua capacità di risolvere problemi al suo interno e con i paesi confinanti, la sua identità.
Invece di produrre leadership in grado di trovare una risposta alla crisi l’Europa attualmente sta rafforzando il populismo politico e il discorso sull’autenticità culturale. In questa prospettiva alla base dei problemi che si vivranno nella fase dei negoziati tra la Turchia e l’UE non ci sarà il deficit di democrazia della Turchia ma la profonda crisi che attraversa l’UE.
Per queste ragioni è necessario vedere il periodo successivo al 3 ottobre come una fase di relazioni con una Unione Europea alle prese con una seria crisi di visione politica.
Questo dato di fatto ci porta ad una verità: la migliore strategia della Turchia di fronte ad un futuro segnato dall’incertezza e dalle crisi è il rafforzamento di uno sviluppo economico sostenibile e del processo di democratizzazione. E’ una Turchia democratica e non una nazionalista e rinchiusa in sé il miglior antidoto per il populismo politico dentro l’UE. Nello stesso tempo una Turchia democratica avrà la forza di cercare per se stessa strade alternative alla UE.