Decisioni difficili
Mentre all’Onu si definisce il destino politico del Kosovo, c’è chi, come i rifugiati serbi di Srpski Babuš/Babush i Serbëve deve decidere se rientrare o meno nel proprio villaggio ricostruito. Ancora una volta, però, i destini in Kosovo sembrano ostaggio di giochi politici.
Mentre il Kosovo aspetta che venga risolta la complessa questione del suo status, che la comunità internazionale si appresta a discutere attraverso un percorso che si preannuncia tutt’altro che facile, lontano dalla luce dei riflettori della scena politica molti dei suoi cittadini affrontano decisioni altrettanto importanti per il proprio futuro, e dubbi certo non meno difficili da sciogliere.
Per gli IDP (Internally Displaced Person, rifugiati stabiliti in altre località entro i confini del Kosovo) di Srpski Babuš/Babush i Serbëve, villaggio situato nella municipalità di Ferizaj/Uroševac la decisione di tornare nelle proprie case, accettando di vivere in Kosovo, è stata certamente una delle più importanti.
Il 20 dicembre 2006, durante una cerimonia carica di emozione ed orgoglio, ai "vecchi-nuovi" abitanti del villaggio sono state consegnate le chiavi di 75 case e della nuova scuola, ricostruite dopo esser state distrutte nel 1999. Alla consegna hanno partecipato i vari attori coinvolti nel progetto di ritorno, tra cui il presidente della municipalità di Ferizaj/Uroševac, l’ormai ex ministro per le Comunità e i Rientri Slaviša Petković e i rappresentanti di UNHCR, UNDP e dell’Ong European Perspective, che ha curato sul campo la realizzazione del progetto.
La cerimonia ha segnato il punto culminante di molti mesi di lavoro e di intensi incontri tra gli IDP di Srpski Babuš/Babush i Serbëve sia con le autorità locali e centrali che con i vari donatori che hanno reso il progetto possibile. Un processo, però, che si è rivelato tutt’altro che facile.
Tutti i passi intrapresi, a partire dal piano di rientri della municipalità di Ferizaj/Uroševac del 2004, per passare poi al coinvolgimento degli attori istituzionali, sia locali che a livello del ministero per le Comunità e i Rientri, per passare infine al finanziamento dell’UNDP e al lavoro sul campo di European Perspective, avrebbero dovuto essere sincronizzate alle reali possibilità di un ritorno sostenibile degli IDP, che doveva essere, naturalmente, l’obiettivo finale di tutte le attività.
A quanto pare, però, le cose non sono andate così.
Con la consegna delle chiavi, gli IDP hanno preso l’impegno di prendere possesso delle case ricostruite entro novanta giorni, insieme a quello di conservarle in buono stato durante questo periodo. La qualità dei materiali usati a Srpski Babuš/Babush i Serbëve, porte, infissi, pavimenti, è probabilmente la migliore fino ad oggi riscontrata nei vari progetti di rientro in Kosovo, ma nonostante ciò, i rappresentanti degli IDP hanno deciso di posticipare la data del proprio rientro.
La decisione, hanno dichiarato, dipende da una serie di fattori: l’attuale non sostenibilità economica, problemi irrisolti col sistema fognario, alcuni piccoli incidenti legati alla sicurezza. Così che, mentre scade il termine previsto di novanta giorni le case di Srpski Babuš/Babush i Serbëve rimangono ancora vuote e in attesa dei loro futuri abitanti.
"Abbiamo deciso di tornare agli inizi di aprile, forse il primo, forse il 2, forse l’8", ha dichiarato Novica Novaković, leader degli IDP. "Per allora speriamo che nelle case ci saranno anche i mobili e gli elettrodomestici che ci hanno promesso. Ci hanno anche assicurato che riceveremo un supporto finanziari di duemila euro a famiglia, ma durante alcuni incontri con l’UNDP e col ministro Petković abbiamo fatto presente che, con questa cifra, non possiamo fare molto, e abbiamo chiesto che la cifra venga portata ad almeno 2400 euro".
Ad aumentare l’insoddisfazione dei rientranti ci sono state anche alcuni malintesi su regole e impegni legati all’accordo firmato col ministero delle Comunità e i Rientri e con European Perspectives all’atto di consegna delle chiavi. Alla fine, i rientranti di Srpski Babuš/Babush i Serbëve hanno deciso quindi di non rispettare gli accordi, facendo un passo indietro nella speranza di attirare maggiore attenzione verso i propri bisogni e di ottenere maggiori fondi.
"C’è un sacco di politica dietro questa decisione", ci ha detto Michael Dixon, coordinatore per il progetto di rientri per l’UNDP. "Hanno già ottenuto molta attenzione e supporto politico, soprattutto dall’ex ministro Petković. Anche se l’ho incontrato solo una volta prima che fosse invitato da Ceku a rassegnare le dimissioni (diventando così il primo dei ministri accusati di corruzione a uscire dall’esecutivo, anche grazie ad un’intensa campagna mediatica N.d.R), parlando di Srpski Babuš/Babush i Serbëve mi disse chiaramente "Questo è il mio villaggio, questa è la mia gente, e nessuno può dirgli che cosa devono fare oppure no".
Quando Petković ha perso il ministero, gli IDP di Srpski Babuš/Babush i Serbëve hanno deciso di esprimere a chiare lettere la propria insoddisfazione sui limiti finanziari imposti dal "Sustainable Return Manual" del governo kosovaro (che prevedono un sostegno di 680 euro in mobilio e 1000 euro in denaro), abbandonando gli incontri del "Return Task Force" tenuti periodicamente nel villaggio.
Inoltre, il 6 marzo, 74 capifamiglia hanno deciso di riconsegnare le chiavi ricevute a dicembre, e hanno ribadito la richiesta di un maggiore supporto finanziario, sottolineando come questo sia indispensabile, a parer loro, per far ripartire la vita economica del villaggio, e far sì che il loro rientro sia effettivamente sostenibile.
Sebbene le cifre richieste non siano poi molto più alte di quelle già stanziate, Dixon ritiene che la protesta sia in realtà un tentativo di fare pressione per ottenere condizioni più vantaggiose. Gli amministratori internazionali, però, nonostante molte pressioni politiche non sembrano essere molto propensi a lasciarsi convincere e a concedere una revisione degli accordi già presi.
Nel frattempo una serie di polemiche politiche ha reso la situazione ancora più complicata. Lo scorso novembre l’allora ministro Petković criticò duramente l’UNDP e European Perspective, accusati di "ricattare i beneficiari del progetto di Srpski Babuš/Babush i Serbëve. Anche il nuovo ministro, Branislav Grbić, insiste ora perché venga realizzata la parte relativa alla creazione autonoma di reddito in loco come parte fondamentale del progetto di rientro.
A febbraio la stessa European Perspective ha inviato una lettera agli IDP, invitandoli a rientrare nel villaggio entro i termini previsti, "altrimenti esiste il rischio concreto di perdere le loro case, insieme ad ogni opportunità di assistenza socio-economica". L’accordo firmato, infatti, prevede che nel caso le abitazioni non vengano occupate entro novanta giorni, la loro proprietà passi alla Kosovo Property Agency.
Nelle ultime due settimane i rappresentati dei rientranti hanno insisitito nel loro boicottaggio. "Gli IDP di Srpski Babuš/Babush i Serbëve non si sono fatti vivi negli ultimi incontri, insieme ai rappresentati di European Perspectives", ha dichiarato Xhevahire Dervishi responsabile per i rientri della municipalità di Ferizaj/Uroševac. Nel frattempo gli IDP chiedono di poter parlare direttamente al ministro per le Comunità e i Rientri e all’UNDP per spiegare le cause che hanno impedito le condizioni per il proprio rientro entro i previsti novanta giorni.
Visto che l’inizio di aprile si avvicina, UNDP ha riprogrammato la consegna di mobili e elettrodomestici, che, insieme agli aiuti destinati a creare piccole attività economiche nel villaggio, dovrebbero essere disponibili entro la fine di marzo. Anche la municipalità di Ferizaj/Uroševac ha investito sul terreno, creando a Srpski Babuš/Babush i Serbëve le strutture per un allevamento di polli.
Mentre le case aspettano il ritorno dei loro "nuovi-vecchi" abitanti, una considerazione nasce spontanea: sembra che l’ex ministro Petković stia tentando di ostacolare il rientro degli abitanti di Srpski Babuš/Babush i Serbëve, probabilmente per utilizzare politicamente l’attenzione suscitata dalle polemiche che si addensano intorno a questo progetto. Ancora una volta, il destino di una comunità, in Kosovo, sembra essere nelle mani dei giochi politici dei propri rappresentanti.