Croazia: serve una commissione sulla verità?
Le recenti discussioni in Bosnia Erzegovina sulla necessità di fondare una commissione per la verità e la riconciliazione hanno riattualizzato la questione anche nella vicina Croazia. Una rassegna di posizioni pro e contro raccolte dal nostro corrispondente Drago Hedl
Le recenti discussioni che si stanno tenendo in Bosnia ed Erzegovina in merito alla necessità di creare una Commissione per la verità e la riconciliazione e il fatto che un tale organismo esista già in Serbia e Montenegro, hanno stimolato simili pensieri anche in Croazia. Perché anche la Croazia, nella sua recente storia, ha passato un simile periodo turbolento che ha lasciato profonde conseguenze sulla sua società, innanzitutto nei rapporti tra la maggioranza croata e la minoranza serba. Un’ipotesi però mai fatta propria dal governo e circolata esclusivamente fra le organizzazioni non governative e nei media, e nemmeno in quei luoghi si è mai trovato un consenso unanime.
Sul fatto che in Croazia esistano problemi che potrebbero essere oggetto del lavoro di una tale commissione, più o meno sono d’accordo tutti, ma lo scetticismo verte sulla questione se una commissione possa essere effettivamente in grado di risolvere tali problemi. In Croazia, per esempio, nemmeno oggi esiste un’unica visione sulle molte domande legate alla storia recente. Così i serbi in Croazia non negano il carattere di "lotta per la libertà" dell’azione militare "Oluja" (Tempesta), con la quale nel 1995 fu liberata Knin e il territorio circostante, ma desiderano che nella valutazione di quest’azione venga detto che durante la stessa sono stati anche commessi crimini di guerra contro i serbi. Solo durante l’anniversario di questa azione dell’anno scorso, benché in modo timido, per la prima volta è stato nominato anche questo fatto, perché fino ad allora quando si parlava di Oluja ci si riferiva esclusivamente ad una "brillante vittoria militare".
In modo simile si parla anche del ruolo della Croazia nella guerra in Bosnia ed Erzegovina. Mentre nel periodo di Tudjman ufficialmente si diceva che la Croazia non ha partecipato alla guerra in BiH, in seguito questo atteggiamento si è evoluto, fino alla valutazione di alcuni politici dell’opposizione secondo i quali "in Bosnia la Croazia è stata un aggressore". In modo simile si manifesta anche la percezione del Tribunale dell’Aja, che da molti in Croazia ancora oggi viene vissuto come "anti croato", e infatti osno in molti ad affermare che al TPI vengono processati solo i croati. Oppure emblematico è l’esempio del generale Ante Gotovina, che per la maggior parte dei croati è un eroe, e non un possibile criminale di guerra. E di questi esempi ce ne sono parecchi.
La pacifista di Zagabria Vesna Terselic, direttrice del centro Documenta che si occupa della rilaborazione del apssato recente, afferma che queste commissioni hanno un senso soltanto là dove prima è stata fatta un’ampia discussione pubblica. È particolarmente importante, rammenta lei, che in essa vengano incluse le vittime e i sopravvissuti, che dovrebbero dire se considerano una tale commissione adeguata. "È importante parlare delle sofferenze, cosa è successo veramente e tutto ciò che la gente ha vissuto", dice Vesna Terselic. "Ma queste decisioni non possono essere prese alle spalle delle organizzazioni delle vittime e dei sopravvissuti e prima di tutto bisognerebbe domandare loro cosa ne pensano, e solo allora discutere in pubblico sui possibili vantaggi e svantaggi di tali commissioni".
Andjelko Miloradovic, direttore del Centro per le ricerche politologiche di Zagabria, è molto scettico in merito ai risultati che una commissione per la verità e la riconciliazione potrebbe ottenere: "Una commissione non può risolvere nulla, la cosa importante è indurre un clima politico di riconciliazione, che si basi sulla tolleranza e il rispetto. Se si tratta soltanto di un atto simbolico, ciò potrebbe essere accettato, ma quanto possa essere efficace, è tutta un’altra storia. Non credo nella forza di questo atto, ma credo che sarebbe un bene mostrarlo. Ma, allora si pone la domanda: se quell’atto non ha la forza, allora a cosa serve?".
Anche il commentatore del settimanale Ferale Tribune, Marinko Culic, non vede il senso dell’introduzione di una Commissione per la verità e la riconciliazione, in particolare non se essa sarà imposta dalla politica ufficiale o dalla storiografia ufficiale. "Se questo ciò accadesse sotto il cappello dello Stato o della storiografia ufficiale, allora avremmo ricevuto solo il riciclaggio delle uniformi e già esistenti verità storiche. In Bosnia ed Erzegovina ciò sarebbe terribile, perché in quel modo avremmo ricevuto la somma meccanica delle tre verità: quella bosgnacca, quella serba e quella croata. Ma nemmeno in Croazia ciò non sarebbe molto diverso, perché avremmo ricevuto due verità, quella croata e quella serba". Culic crede che questo lavoro dovrebbero essere svolto dalle organizzazioni non governative e dai media, perché soltanto così potrebbe avere senso.
Culic è stato anche uno dei critici più forti delle idee del defunto presidente Franjo Tudjman, il quale verso la metà degli anni novanta se ne era uscito fuori con l’idea della riconciliazione. Ma a modo suo. Tudjman era a favore di una riconciliazione "tra tutti i croati" e si era impegnato persino a fare un monumento unico a tutti i croati che nella storia hanno combattuto sotto bandiere diverse. Con ciò certamente intendeva anche i partigiani e gli ustascia, che durante la Seconda guerra mondiale combatterono nella coalizione antifascista, cioè nella struttura dell’alleanza nazista di Hitler. Culic condannò fortemente quest’idea, definendola un "miscuglio di ossa" dei criminali e delle vittime, motivo per cui Tudjman gli fece causa. Fu minacciato col carcere, ma il processo andò per le lunghe fino alla morte di Tudjman, quando fu poi sospeso.
L’idea di introdurre una commissione per la verità e la riconciliazione, come è stato il caso in alcuni stati che hanno attraversato periodi traumatici di scontri armati o di guerre civili – come il Sud Africa o la Sierra Leone – avrebbe senso, credono alcuni pacifisti in Croazia, come Vesna Terselic, solo se essa venisse introdotta su base regionale. "Quattro anni fa abbiamo parlato dell’idea di fondare una commissione per la verità e la riconciliazione anche in Croazia", dice Vesna Terselic, "ma allora eravamo d’accordo che in quel momento, essa non fosse ancora adeguata per la Croazia. Ma, ciò non significa che non lo sarebbe stata dopo qualche anno. Credo che valga la pena pensare ad un organismo che permetta a livello regionale di parlare di alcuni avvenimenti bellici. Perché nemmeno oggi si può sapere la piena verità – sia sulla base dei fatti che sulla base dei racconti – dell’azione Oluja soltanto dalla Croazia. È molto importante ascoltare anche le voci dell’altra parte della guerra e le voci della gente che oggi vive in Serbia. E ciò potrebbe essere possibile solo se esiste un organismo regionale".