Bulgaria-Turchia. Ricominciare dalle soap-opera

La Turchia cambia in fretta, diventando un fattore sempre più importante nei Balcani. L’opinione pubblica e le élite in Bulgaria, però, continuano a guardare al proprio dinamico vicino in modo stereotipato e legato al passato. Le prime crepe nei vecchi schemi, sorprendentemente arrivano da soap-opera e turismo di massa. Un’intervista al professor Plamen Ralchev

11/08/2011, Francesco Martino - Sofia

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Yaprak Dökümü (La caduta delle foglie), soap opera turca di grande successo in Bulgaria

La Turchia sta diventando sempre di più un fattore importante nei Balcani. Come guardano i bulgari e la loro élite a questa nuova Turchia?

In Bulgaria c’è la necessità urgente di rivedere l’immagine della Turchia, sia a livello popolare che nell’élite politica. Gli stereotipi del passato pesano ancora. In Bulgaria il nuovo ruolo della Turchia, e il suo supposto “neo-ottomanesimo” vengono percepiti soprattutto come latente minaccia, anche a causa di strumentalizzazione politica da parte di alcuni partiti. In Bulgaria, per motivi storici ma anche politici, da generazioni soffriamo di un forte gap cognitivo nei confronti della Turchia. Nell’opinione pubblica si continua a confondere e sovrapporre continuamente l’Impero ottomano con la moderna Repubblica di Turchia. Un ostacolo decisivo che impedisce di rompere vecchi schemi di lettura.

Quali elementi del passato pesano sull’attuale percezione della Turchia in Bulgaria?

Naturalmente il fattore principale è rappresentato dai circa cinquecento anni in cui la Bulgaria, con i suoi abitanti, è stata parte dell’Impero ottomano. Qui si presenta una delicata questione interpretativa: come definire questo periodo? A lungo, nella letteratura, così come nella storiografia bulgara, si è utilizzato il termine “giogo turco”, con riferimento alla “schiavitù” dei bulgari sotto il governo del sultano. Questo tipo di narrativa, dominante anche oggi, anche se messa in discussione da non pochi storici, è l’architrave su cui si regge il deficit di comprensione verso la Turchia. Superarla è il primo e decisivo passo per guardare ai nostri vicini con gli occhi del presente, e non quelli del passato.

Qual è il ruolo del sistema educativo in questo processo?

L’istruzione non fa altro che rafforzare e rinnovare le tendenze presenti nella società. Se il nazionalismo bulgaro nasce e si identifica, almeno in parte, con un discorso anti-ottomano, nessuno nella scuola spiega agli studenti che la Turchia e l’impero ottomano sono due realtà e due identità distinte. Il programma di storia non contempla la Turchia moderna, ma si ferma all’impero ottomano. I nostri figli imparano a vedere la Turchia così come l’hanno spiegata a noi e ai nostri genitori prima di noi. Il tempo passa, ma restiamo prigionieri di un’immagine ormai invecchiata.

Nonostante le difficoltà a cambiare i paradigmi, esistono due grandi finestre aperte all’opinione pubblica bulgara sulla Turchia contemporanea: le numerose soap-opera turche trasmesse in Bulgaria e il forte flusso turistico verso la Turchia. Questi due fattori contribuiscono ad una visione rinnovata?

Sorprendentemente o meno, sono proprio questi i due elementi che hanno cominciato a rompere vecchi e consunti stereotipi. Le soap-opera turche, trasmesse da quasi tutti i canali tv in Bulgaria, rappresentano il primo prodotto della cultura di massa turca che arriva ai telespettatori bulgari. E proprio grazie alle soap-opera i bulgari hanno scoperto cose nuove e inaspettate. Ad esempio che la società turca non è affatto monolitica, ma estremamente diversificata. Che i turchi, in altre parole, non sono tutti uguali. Al tempo stesso vengono riscoperti molti fattori di vicinanza culturale, “dimenticati” con la chiusura reciproca tra i due paesi. Anche il turismo è un fattore importante: oggi la Turchia è la destinazione preferita dai bulgari per le vacanze. Questo non significa che tutti i bulgari che viaggiano in Turchia tornino indietro invaghiti del Paese e sostenitori della sua inclusione europea. Ma hanno almeno la possibilità di vedere con i propri occhi la Turchia di oggi.

Nell’arena politica bulgara, l’argomento Turchia viene affrontato quasi sempre in termini essenzialmente emotivi, soprattutto da partiti nazionalisti e populisti come Ataka e VMRO. Pensa che ci sia spazio per un approccio politico di tipo razionale?

Credo che qui bisogna fare una distinzione importante tra il discorso politico ad uso interno e l’effettiva politica estera bulgara nei confronti della Turchia. Dopo il governo del socialista Zhan Videnov, che aveva mostrato un forte approccio pro-greco (e quindi di conseguenza, piuttosto riservato nei confronti di Ankara) e a partire dal successivo esecutivo guidato dal conservatore Ivan Kostov, la politica estera di Sofia ha tentato sempre di seguire un approccio moderato e razionale. Tra l’altro, la Turchia vede nella Bulgaria un vicino sostanzialmente amichevole e ragionevole e, a livello governativo, direi che le relazioni bilaterali non sono mai state migliori di oggi. E’ la retorica “ad uso interno” sulla Turchia che continua ad essere problematica.

La Turchia è un Paese candidato all’ingresso nell’Ue. Come spiega il paradosso per cui in Bulgaria, Paese europeo in cui le ricadute di un’eventuale integrazione turca sarebbero particolarmente forti, a parte poche eccezioni non ci sono posizione politiche chiare a riguardo?

Effettivamente si tratta di un paradosso, ma solo uno dei tanti a cui ci siamo abituati in questi anni. La capacità di non prendere posizione ufficiale non è riservata ai rapporti con la Turchia. Ad esempio, anche il rapporto con la Russia rimane sempre in termini piuttosto indefiniti. Se parliamo di ingresso della Turchia nell’Ue, i governi bulgari tentano in qualche modo di nascondersi dietro al paravento della posizione ufficiale dell’Unione. Prima o poi, però, questo atteggiamento diventerà sempre meno sostenibile.

Durante una recente conferenza a Sofia, che lei ha contribuito ad organizzare, uno dei relatori ha lanciato un’idea provocatoria: vista la tumultuosa crescita economica di Ankara, la Bulgaria dovrebbe cominciare a vedersi come "satellite economico” della Turchia per cogliere le opportunità che questo scenario apre. Come crede che una proposta di questo tipo verrebbe accolta fuori dai circoli accademici, nello spazio pubblico?

Non molto favorevolmente, direi. In Bulgaria non esiste un approccio pro-attivo, ma piuttosto reattivo. Rompere gli schemi e proporre nuove cornici di lettura è l’eccezione più che la regola, un’operazione non scevra di qualche rischio. Di certo lo sviluppo di relazioni economiche più solide rappresenta una delle opportunità perse dalla Bulgaria nei confronti della Turchia. Ma qui torniamo alla sindrome di chiusura. Fino agli anni ’20 del novecento, circoli importanti dell’élite bulgara parlavano il turco. Oggi quell’eredità culturale, che sarebbe estremamente utile nella creazione di rapporti economici, è del tutto perduta, e va ricostruita da zero.

In Bulgaria vive un’importante comunità turca. Come influisce questo segmento della società nel definire l’immagine della Turchia?

La minoranza turca in Bulgaria è un tema delicato. Per decenni, e di sicuro fino alla fine degli anni ’80, con il “processo di rinascita” sfociato nella “grande escursione”, questa comunità è stata percepita innanzitutto come un potenziale fattore di minaccia. E’ difficile definire in modo univoco la posizione della comunità turca nel processo di comunicazione tra i due paesi e tra le due opinioni pubbliche. Si tratta di una comunità molto variegata, sia in termini di integrazione sociale che culturale ed economica. Sicuramente pesa il fatto che, nella sua natura profonda, l’identità nazionale bulgara viene definita in termini etnici. Per la grande maggioranza dei bulgari, quindi un turco di Bulgaria è innanzitutto un turco. Questo ha favorito nel tempo il nascere di timori e paure.

Ma il “fattore paura” è ancora presente nella società bulgara?

Sì, soprattutto nelle sue componenti culturalmente ed economicamente più marginali. Ma si tratta di una paura che viaggia su binari paralleli. Da una parte c’è la paura suscitata tra i bulgari dalla lettura della comunità turca come “quinta colonna” della Turchia. Dall’altra parte c’è la paura dei turchi di Bulgaria verso l’apparato repressivo dello stato, che soprattutto nelle aree rurali ha portato alla progressiva chiusura ed estraniamento della comunità dalle istituzioni. Un processo determinante nella creazione di un monopolio politico, quello del DPS (Movimento per i Diritti e le Libertà), come rappresentante unico degli interessi dei turchi di Bulgaria.

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