Bulgaria e discriminazioni: passi avanti, ma la strada è ancora lunga
Un recente rapporto della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) fa il punto sulla lotta alle discriminazioni in Bulgaria. Negli ultimi anni i passi avanti sono visibili, ma molti problemi rimangono irrisolti
È un quadro a luci ed ombre, con miglioramenti anche significativi, ma anche numerose e persistenti zone d’ombra, quello che emerge dall’ultimo rapporto che la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, organo indipendente creato dal Consiglio d’Europa, ha dedicato alla Bulgaria.
Lo studio, adottato nel giugno 2022, ma reso pubblico ad ottobre, parte con alcune note positive, registrando passi in avanti rispetto al precedente rapporto che risale al 2014. Varie le evoluzioni registrate in Bulgaria negli ultimi anni e lodate dall’ECRI. Innanzitutto il consolidamento delle attività della Commissione per la protezione contro le discriminazioni , istituzione pubblica creata nel 2005, e che nell’ultimo quinquennio ha finalmente ricevuto una dotazione economica più adeguata, consentendo l’apertura di nuovi uffici sul territorio, oggi arrivati ad essere 24.
Tra le azioni contro il linguaggio d’odio (hate speech) la più significativa, anche dal punto di vista simbolico, è stata il divieto di tenere la controversa “Lukov Marsh”, una manifestazione tenuta annualmente il 18 febbraio nella capitale Sofia da gruppi ultra-nazionalisti e neonazisti in ricordo della figura del generale Hristo Lukov, esponente dell’ala filo-nazista dell’esercito bulgaro, ucciso da partigiani comunisti nel 1943. Dopo anni di accese polemiche, nel 2020 il Tribunale amministrativo supremo ha definitivamente vietato la fiaccolata notturna che attraversava le strade del centro cittadino, con evidente riferimento alle coreografie del Terzo Reich.
Alcune novità si sono viste anche nel campo della lotta alla discriminazione della comunità LGBTI, con lo sforzo di creare una sinergia tra attori della società civile e istituzioni: uno sforzo culminato nel 2019 nell’inclusione di Ong attive nella difesa dei diritti LGBTI in attività di formazione degli organi di polizia volte al riconoscimento e alla repressione di reati d’odio (hate crimes).
Di centrale importanza per la Bulgaria, dove vive una delle popolazioni rom più numerose nell’UE, è certamente la lotta alle discriminazioni su base etnica e razziale. Sforzi volti all’integrazione della comunità rom, che rimane fortemente discriminata e marginalizzata, sono stati fatti nel campo dell’istruzione: nella scuola d’infanzia, ad esempio, sono state introdotte ore di lingua bulgara dedicate ai bambini portatori di un’altra lingua madre.
Sempre più frequente ed estesa è poi la pratica di impegnare la figura del mediatore nelle aree della salute, dell’istruzione e della ricerca dell’occupazione: un approccio che ha mostrato risultati positivi soprattutto durante i periodi più duri della pandemia da Covid-19, quando è stato fondamentale superare il muro della diffusa sfiducia della comunità nei confronti delle istituzioni pubbliche.
Dopo le note positive, però, arrivano anche numerose e forti critiche da parte dell’ECRI nei confronti del governo di Sofia. Nonostante le reiterate richieste della commissione, ad esempio, nessun meccanismo di monitoraggio è stato creato dalle istituzioni bulgare per monitorare o contrastare gli episodi di discriminazione razziale o anti-LGBTI. Mancano inoltre studi approfonditi in grado fare un quadro completo della situazione rispetto alle minoranze sessuali nel paese.
Che la comunità LGBTI rimane soggetta a numerosi episodi di discriminazione, anche violenta, è dimostrato dai numerosi attacchi subiti a Sofia dal centro LGBTI “Rainbow Hub”. L’ultimo ha visto come protagonista Boyan Rasate, leader dell’organizzazione politica di estrema destra “Unione nazionale bulgara”, che nell’ottobre 2021 ha devastato il centro insieme ad un gruppo di suoi militanti.
Dopo l’aggressione, 11 ambasciate straniere presenti a Sofia – tra cui quelle di Stati Uniti, Francia e Regno Unito – hanno sottoscritto una lettera congiunta di protesta. Alcuni mesi più tardi, lo stesso Rasate è stato riconosciuto colpevole di “violazione dell’ordine pubblico” e condannato ad una pena pecuniaria .
Anche nel campo delle discriminazioni su base etnica e razziale, il rapporto dell’ECRI non può che constatare il permanere di una situazione di strutturale marginalizzazione della comunità rom in Bulgaria, che secondo le stime rappresenta oggi circa il 10% della popolazione nel paese. Negli ultimi anni continuano ad essere registrati attacchi ed aggressioni nei confronti della comunità.
Nonostante passi in avanti nel campo dell’istruzione, il tasso di abbandono scolastico tra i giovani rom resta molto alto, soprattutto se confrontato al resto della popolazione, mentre la percentuale di rom con istruzione secondaria ed universitaria (rispettivamente il 9 e lo 0,5%) resta molto inferiore alla media. Anche le percentuali di occupazione registrano valori a dir poco preoccupanti: se nel 2021 il tasso di disoccupazione generale si è attestato intorno al 5.4%, in aree a forte presenza rom, come ad esempio il quartiere di Stolipinovo a Plovdiv, ha superato ampiamente l’80%.
Negli ultimi anni la situazione è stata resa ancora più pesante dalla pandemia da Covid-19, e dalle successive misure di prevenzione e contenimento portate avanti dalle autorità di Sofia, che hanno colpito in modo particolare i lavoratori della comunità rom, spesso impiegati in occupazioni precarie e nel settore informale dell’economia.
Proprio sull’asse delle discriminazioni etniche, rispetto all’appartenenza a minoranze sessuali e sul lavoro, sono iniziate in questi anni in Bulgaria le prime riflessioni sull’intersezionalità, limitate per ora più ad un discorso dei settori più consapevoli della società civile, ma ancora non recepite da parte delle istituzioni e del discorso pubblico di massa.
Tra i pionieri, da questo punto di vista, c’è l’organizzazione non governativa bulgara Amalipe, che nel settembre 2022 ha organizzato uno dei primi seminari sul tema con l’intento di introdurre a giovani rom nozioni di base sulla discriminazione intersezionale, con particolare riferimento alle donne e ai membri della comunità LGBTI rom.
Tra le realtà che hanno contribuito ad avviare una discussione sull’intersezionalità in Bulgaria ci sono anche i sindacati. In particolare, nel 2021, la Confederazione dei sindacati indipendenti di Bulgaria (KNSB), una delle principali sigle sindacali del paese, ha partecipato attivamente a una campagna guidata dalla European Trade Union Confederation per chiedere una più forte direttiva sulla trasparenza delle retribuzioni a livello europeo , e a spingere per un graduale allineamento delle retribuzioni delle donne – soprattutto quelle parte di gruppi o comunità già discriminate o marginalizzate – a quelle degli uomini a livello europeo.
Questo materiale è pubblicato nell’ambito del progetto “INGRID. Intersecting Grounds of Discrimination in Italy", cofinanziato dalla Commissione Europea nel quadro del programma REC (Rights, Equality, Citizenship) 2014-2020. Il contenuto di questo articolo rappresenta esclusivamente il punto di vista degli autori ed è di loro esclusiva responsabilità. La CE non si assume alcuna responsabilità per l’uso che potrebbe essere fatto delle informazioni in esso contenuto. Vai alla pagina del progetto INGRID