Brucia la favela degli “zingari del Kosovo”

Incendio in un campo profughi nel sud della Serbia. Seppur non sia con tutta probabilità d’origine dolosa non è certo da ascrivere tra le "casualità". 100 persone sono rimaste in pochi minuti senza tetto. Un articolo dall’ufficio ICS in Serbia.

04/11/2002, Redazione -

La sera del 29 ottobre, nella cittadina serba di Bujanovac, un incendio ha distrutto 24 baracche in un insediamento semi-clandestino di rom sfollati dal Kosovo, lasciando oltre 100 persone senza tetto, documenti, vestiti. Tragedie come questa non sono che la punta dell’iceberg in un paese in cui decine di migliaia di sfollati subiscono gli "effetti collaterali" della nostra ultima "guerra umanitaria".
Bujanovac si trova nella valle di Preševo, a meno di 20 kilometri dal Kosovo, e gli sfollati hanno cominciato ad arrivare nell’estate ’99. Su 50.000 abitanti, il 10% sono rom, accanto a serbi (30%) e albanesi (oltre 50%). Nel 2001 ribelli albanesi hanno costituito l’UCPMB, un esercito di liberazione analogo al più famoso UCK. L’elezione, nel luglio 2002, di governi locali albanesi, sembra avere risolto pacificamente le tensioni etniche. Ma le condizioni di vita, soprattutto dei rom, rimangono drammatiche.
Già prima dell’incendio, il campo Salvatore era una realtà più africana che europea: fogne a cielo aperto, terra e polvere ovunque, soltanto una fontanella e due rudimentali servizi igienici per centinaia di persone. Durante gli scontri tra albanesi ed esercito serbo, la linea del fronte si trovava a soli 200 metri dal campo.

Seppur l’incendio non sembra aver origine dolosa la tragedia ha radici che affondano profonde nella seconda metà degli anni ’90. La guerra in Kosovo nel 1999, dopo la prima ondata di profughi di etnia albanese rientrati nell’arco di pochi mesi, ha infatti prodotto 230.000 sfollati che si sono riversati nella Repubblica Federale Jugoslava, ignorati dai media internazionali.
Gli sfollati dal Kosovo si aggiungono ai 380.000 rifugiati, arrivati in Serbia in seguito ai conflitti di Bosnia Erzegovina e Croazia, in un paese con una situazione socio-economica disastrosa dopo dieci anni di guerre, sanzioni internazionali e regime autoritario.
Campo Salvatore è uno dei 456 Centri Collettivi esistenti in Serbia, nei quali sono sistemate più di 30.000 persone (ma il numero, a cui vanno aggiunti i dati relativi ai centri non ufficiali è indubbiamente sottostimato). I Centri, che avrebbero dovuto essere soluzioni provvisorie, sono scuole, container, alberghi, camping. Sono spesso sovraffollati, senza adeguata elettricità, riscaldamento e servizi igienici, in luoghi isolati.
Campo Salvatore sorge nel luglio 1999, quando arrivano le prime famiglie in fuga dalla "pace armata" ottenuta dalla Nato in Kosovo; lasciano le loro case date alle fiamme dall’UCK e si sistemano in un accampamento di fortuna, alla periferia di Bujanovac, che dista meno di 20 km dalle zone da loro abbandonate.
Dopo un anno l’accampamento diventa Centro Collettivo ufficale riconosciuto da ACNUR e le ormai centinaia di persone vengono sistemate in container di metallo, ma sempre senza riscaldamento e acqua corrente. Nel corso degli anni l’afflusso non si è fermato (la municipalità di Bujanovac ospita al momento 1.500 sfollati dal Kosovo su una popolazione di 50.000 abitanti), e di nuovo vicino ai container sono sorte altre baracche, costruite nel fango in assi di legno e naylon, con fogne a cielo aperto. Fino al momento dell’incendio, né la municipalità, né le organizzazioni internazionali presenti nella zona hanno saputo trovare una soluzione.
Questa regione della Serbia attira l’attenzione delle organizzazioni internazionali in quanto "laboratorio" di pacificazione interetnica: è stata teatro di scontri nel maggio 2001 tra l’esercito serbo e la UCPMB (Esercito di Liberazione di Presevo, Medvedja e Bujanovac), una formazione collaterale all’UCK.
La popolazione albanese costituisce l’ampia maggioranza in questa regione, anche se ha sempre vissuto come "minoranza": nella municipalità di Bujanovac gli albanesi sono più del 50%, a Presevo sono il 90%. Le elezioni amministrative del 29 luglio scorso (monitorate dalla missione OSCE) hanno visto la vittoria dei partiti albanesi e lo stupore della popolazione serba, che si trova ad essere per la prima volta ad essere governata da sindaci albanesi.
In questo contesto la popolazione Rom non ha trovato spazio per migliorare la propria situazione: a Bujanovac rappresenta più del 10%, ma vive, come nel resto della Serbia, in una posizione di forte marginalizzazione, senza una adeguata rappresentanza istituzionale.
La posizione dei Rom provenienti dal Kosovo è ancora più difficile: spesso, non possedendo documenti di identificazione, non sono registrati come sfollati e perdono il diritto all’assistenza umanitaria. Per questo motivo è anche difficile stabilirne esattamente il numero in Serbia: nelle statistiche variano da 30.000 a 80.000. Sono spesso accampati alla periferie delle grandi città in baracche fatiscenti e il loro accesso al welfare è quasi nullo: gli standard dell’assisenza sanitaria e dell’educazione sono molto bassi ("Humanitarian Risk Analysis" No.18, April 2002, Ufficio OCHA a Belgrado).
In questo contesto è chiaro come la tragedia che ha coinvolto più di cento persone a Bujanovac non sia un caso isolato, o un evento imprevedibile.
L’incendio del 29 ottobre, probabilmente provocato dai cavi elettrici di fortuna, ha distrutto in venti minuti tutto ciò che queste persone possedevano: coperte, materassi, vestiti, documenti e risparmi. I vigili del fuoco sono arrivati dopo più di due ore.
L’unica soluzione loro prospettata dalle autorità di Bujanovac è provvisoria: una ex-scuola, poi trasformata in caserma. La struttura è abbandonata da tempo, senza vetri alle finestre, allagata e piena di macerie. Mancano elettricità, acqua corrente, servizi igienici. Gli sfollati non pensano che sia una soluzione accettabile.
Rappresentanti del Campo e della popolazione Rom locale, supportati dal Consorzio Italiano di Solidarietà, hanno costituito un comitato per cercare di ottenere una soluzione duratura e più dignitosa, e richiedere il sostegno della comunità internazionale.É difficile però pensare realisticamente a quale sistemazione potranno trovare, più probabile è che ricevano qualche aiuto immediato, per poi tornare nel dimenticatoio delle ex-emergenze umanitarie.
La loro storia è una delle tante, di profughi sospesi in uno stato di attesa congelata, tra la volontà di integrazione nella comunità ospitante e la speranza del ritorno al paese di origine. Un’attesa che non lascia spazio alla libertà individuale di movimento, ma dipende dalle incerte strategie del governo serbo e della geopolitica internazionale.

Giulia Bondi, Rocco Busi, Maria Chiara Patuelli – ICS Yugoslavia

Chi desiderasse offrire un contributo può utilizzare il c/c 509090 intestato a ICS – Consorzio Italiano di Solidarietá. Banca Etica Cab 1401 Abi 05018. Causale: Campo Salvatore.

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