Armenia-Azerbaijan: c’è chi vuole la guerra

Nuovamente drammatica la situazione tra Armenia e Azerbaijan. Se si vuole la pace passi in avanti debbono essere fatti da entrambi i contendenti ma c’è chi trae vantaggio dalla prosecuzione del conflitto

16/09/2022, Bashir Kitachayev -

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Nikol Pashinyan e Ilhan Aliyev in un fotomontaggio di OC Media

(Pubblicato originariamente da OC Media l’11 agosto 2022)

Il 22 maggio, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev si sono incontrati a Bruxelles con la mediazione del presidente dell’UE Charles Michel. Secondo Michel, le parti hanno discusso proficuamente di questioni umanitarie, delimitazione dei confini e sminamento dei territori.

Al loro ritorno, i leader dell’Azerbaijan e dell’Armenia hanno firmato dei decreti per l’istituzione di commissioni per la delimitazione dei confini, che si sono riunite poco dopo per la prima volta.

Dopo 30 anni di conflitto e due guerre, per alcuni media ed esperti la pace sembrava essere all’orizzonte.

Ma non ci è voluto molto prima di scoprire che la realtà era ben diversa.

 

Quasi subito dopo il suo ritorno da Bruxelles, Ilham Aliyev ha annunciato che la questione sull’apertura del "corridoio Zangezur", che collega l’Azerbaijan con la sua exclave di Nakhchivan, era stata risolta a Bruxelles. Tale retorica suscita però indignazione in Armenia, dove il governo ha fermamente negato che l’Azerbaijan possa ricevere un "corridoio" sovrano attraverso il territorio armeno. Commentando le recenti proteste anti-Pashinyan in Armenia, Aliyev ha anche minacciato una nuova guerra.

“Loro [l’opposizione armena] pensano che se andranno al potere potranno ottenere qualcosa. Assolutamente no!", ha dichiarato il presidente azero. “Al contrario, se non vogliono che le loro teste vengano schiacciate di nuovo, dovrebbero starsene seduti e guardare altrove".

Il 28 maggio, un giorno dopo le esternazioni di Aliyev, si è verificato un altro scontro a fuoco al confine tra Armenia e Azerbaijan, durante il quale è stato ucciso un soldato armeno.

Ma perché questa ostilità persiste, anche quando la pace sembra possibile e vicina? La risposta è semplice: Ilham Aliyev non la vuole.

Un presidente popolare

Le autorità armene hanno bisogno della pace quasi a tutti i costi perché sanno che, dopo la cocente sconfitta militare del 2020, l’Azerbaijan è in una posizione di forza.

Ilham Aliyev, invece, non ha bisogno di un vero e proprio accordo di pace, perché non sa cosa farsene. La guerra, e la vittoria, per la prima volta hanno portato ad Aliyev un’immensa popolarità tra i suoi cittadini. In precedenza, il suo potere si basava su un’autorità debole, sulla polizia e sulla repressione dei media indipendenti e dell’opposizione.

Inoltre, non riusciva a liberarsi dell’immagine di "pallida ombra del padre" – il precedente presidente dell’Azerbaijan, il defunto Heydar Aliyev – ancora molto rispettato nel Paese. Con il passare del tempo, l’autorità del giovane Aliyev era andata scemando, poiché il conflitto del Nagorno Karabakh rimaneva congelato mentre gli standard di vita nel paese sono diminuiti costantemente.

Prima della guerra, Aliyev non appariva spesso in pubblico, rilasciava raramente interviste e si poteva vedere spesso solo alle inaugurazioni di una fabbrica, di un museo o persino di un cavalcavia.

Durante e dopo la guerra, invece, il presidente ha assunto con entusiasmo il ruolo di leader vittorioso e portatore di buone notizie sui territori appena liberati. Ha rilasciato interviste ai media stranieri e ha iniziato ad agire con sicurezza, sapendo che il mondo avrebbe fatto ben poco per fermare l’avanzata dell’esercito azero.

Aliyev desidera un trattato di pace sulla carta per consolidare le conquiste territoriali, a patto che in tale trattato l’Armenia riconosca il Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaijan. Ma anche se si arrivasse alla firma di un simile trattato è improbabile che questo porti ad una pace duratura.

Aliyev potrebbe spingersi a violarlo in qualsiasi momento, se il malcontento dovesse ricominciare a crescere nel paese, poiché ha visto che solo attraverso la guerra è in grado di aumentare il suo consenso interno.

In questo senso, Aliyev ha continuato a rafforzare il nazionalismo e militarismo, anche avanzando nuove rivendicazioni territoriali sull’Armenia. Dalla fine della guerra, Aliyev ha spesso affermato che la provincia armena di Syunik, che ora chiama "Zangezur occidentale", e la stessa città di Yerevan sono terre ancestralmente azere.

Non sono mai cessati nemmeno i combattimenti sulla linea di contatto nel Nagorno Karabakh e sul confine interstatale. Solo pochi mesi fa, le truppe azere hanno seppur solo per breve tempo attraversato la linea di contatto e preso il controllo di un villaggio abitato da armeni, abbandonandolo solo dopo l’intervento delle forze di pace russe.

Infine, se si dovesse concludere una pace vera e propria, Ilham Aliyev non avrebbe nulla con cui sostituire la sua ideologia. L’idea nazional-patriottica del paese è interamente basata sulla riconquista del Karabakh e sullo scontro con l’Armenia.

Probabilmente le autorità non sanno ancora come spiegare alla popolazione una possibile pace con l’"eterno nemico", o come distrarre la gente dai problemi del paese in assenza di questo perenne conflitto.

Ostilità verso gli armeni

L’Armenia e gli armeni del Nagorno Karabakh dichiarano che il conflitto è una questione di diritto all’autodeterminazione, alla vita e alla sicurezza. Per l’Azerbaijan, si tratta di una questione di integrità territoriale e di orgoglio nazionale. E anche se l’Azerbaijan promuove pubblicamente la questione degli sfollati interni come motivazione per il conflitto, le autorità hanno nei fatti dimostrato scarso interesse per la loro situazione.

Nonostante le ripetute dichiarazioni, le autorità azere non hanno finora nemmeno fatto nulla per dimostrare agli armeni che i loro diritti verrebbero tutelati. Al contrario, la popolazione armena del Nagorno Karabakh vede che gli stessi azeri sono privi di diritti democratici basilari – con livelli di diritti e democrazia comparabili a paesi come il Myanmar o il Sudan – inoltre sia la società che lo stato azeri sono estremamente ostili nei confronti degli armeni.

Il fatto è che semplicemente l’Armenia e persino il Nagorno Karabakh sono molto più performanti in termini di democrazia e diritti umani rispetto all’Azerbaijan.

Baku non ha nemmeno presentato un piano per l’integrazione degli armeni del Nagorno Karabakh, né ha dato indicazioni sulla possibilità di dare loro una qualche forma di autogoverno. Ciò è in linea con le politiche dell’Azerbaijan nei confronti delle sue altre minoranze etniche, che sono gravemente sottorappresentate nelle istituzioni governative locali e statali.

L’Azerbaijan continua inoltre a negare l’esistenza di qualsiasi patrimonio culturale armeno sul territorio del Karabakh. Chiese e altri siti culturali e religiosi, riconosciuti a livello mondiale come parte del patrimonio culturale armeno, sono invece considerati dall’Azerbaijan come patrimonio dell’antico stato dell’"Albania caucasica".

Non è stata neppure sollevata la questione di come gli armeni del Karabakh potranno accedere al sistema scolastico. In Azerbaijan, le minoranze nazionali, ad eccezione di russi e georgiani, non possono studiare nella loro lingua. Di conseguenza, le lingue delle minoranze etniche che abitano l’Azerbaijan si stanno lentamente estinguendo. E quando i rappresentanti delle minoranze nazionali si lamentano dei loro problemi, vengono bollati come separatisti.

Un futuro possibile

Esiste una possibilità di pace? Per quanto improbabile, credo di sì.

L’Armenia deve continuare il suo percorso attuale, non permettendo all’opposizione nazionalista, che gioca sui traumi della gente provocati dall’ultima guerra, di tornare al potere per costruire la sua legittimità sull’odio verso l’Azerbaijan e gli azeri.

In Azerbaijan, tuttavia, la situazione è molto più difficile. Per una risoluzione pacifica e duratura del conflitto le autorità attuali devono andarsene, perché questo tipo di risoluzione è chiaramente contro i loro interessi.

L’Azerbaijan ha bisogno di un nuovo governo democratico, di riforme nel campo dell’istruzione, dell’economia e dello stato di diritto. Solo se lo stato rinuncerà alla retorica nazionalista e militarista, combattendola e garantendo un’equa rappresentanza delle minoranze nazionali, si creerà lo spazio per una pace adeguata.

L’onere di cambiare la narrazione della memoria storica spetta a entrambi i paesi. Sia l’Armenia che l’Azerbaijan devono riconoscere i crimini di guerra che hanno commesso l’uno contro l’altro e le sofferenze che hanno causato. Se ciò avverrà, la propaganda nazionalista, basata su una narrazione negazionista e unilaterale di vittime e carnefici, e le conseguenti richieste di vendetta, si ridurranno.

Per quanto riguarda l’integrazione degli armeni del Karabakh nell’Azerbaijan, credo che questa sia possibile anche basandosi sul modello emerso dagli Accordi di Dayton che hanno posto fine alla guerra di Bosnia nel 1995.

In Bosnia, dove convivono tre nazionalità precedentemente in conflitto (bosgnacchi, serbi e croati), non c’è un presidente. Il paese è invece governato da un presidio composto da tre persone, una per ogni popolo, ciascuna con potere di veto. Il parlamento è suddiviso in un numero uguale di deputati per ogni nazionalità. Oggi, sebbene il paese abbia ancora i suoi problemi, il conflitto non si è riaperto e la Bosnia prova addirittura ad entrare nell’Unione Europea.

Secondo lo scenario bosniaco, tutti i popoli che vivono in Azerbaijan beneficerebbero allo stesso modo dalla decentralizzazione. Ci sarebbero meno possibilità di concentrare il potere nelle mani di una persona o in un gruppo di persone con interessi comuni, e il potenziale per una nuova dittatura diminuirebbe.

I residenti delle varie regioni potrebbero scegliere i loro rappresentanti a Baku e delle autorità locali che renderanno conto a loro. I popoli che vivono in Azerbaijan potrebbero imparare liberamente la propria lingua insieme a quella di stato e la loro cultura non sarebbe soggetta ad oppressione e assimilazione forzata.

Con la garanzia di diritti alla vita, alla lingua e alla rappresentanza nelle istituzioni statali per gli armeni del Nagorno Karabakh, la conservazione di questo territorio come parte dell’Azerbaijan e il reinsediamento dei rifugiati azeri e armeni che vogliono tornare alle loro case, il conflitto verrebbe finalmente risolto. E a garantire la sicurezza, potrebbe essere dispiegato nella regione un contingente di forze di pace delle Nazioni Unite, per prevenire futuri conflitti tra i due stati, separati da un filo spinato da troppo tempo.

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