Albania-Italia: cervelli in mare
I cervelli possono fuggire, i cervelli possono ritornare, i cervelli possono circolare. Ma i cervelli possono anche andare sprecati. Un’analisi sul tema migrazioni e capitale di conoscenze, con un focus particolare su Albania e Italia
A tavolino la questione sembra semplice. L’Albania soffre da tempo della fuga di cervelli. È noto infatti che l’emigrazione, ormai da più di due decenni, è stata la scelta preferita di molti albanesi qualificati nei propri settori. E’ inoltre accettato da tutti che la fuoruscita di cervelli è negativa per il Paese, perché lo lascia senza una classe dirigente e in sostanza senza prospettive.
La diagnosi è esatta: soffriamo di brain drain (fuoruscita, fuga dei cervelli). Anche la terapia scelta dagli studiosi, la cosiddetta brain gain (il ritorno dei cervelli), non pare inadeguata a livello teorico. Tanto più che in inglese suona benissimo. Si tratta di quelle misure volte a far ritornare il capitale umano nel Paese.
Brain drain e brain gain
C’è qualcosa di idraulico nella terminologia precedente, più per la caratteristica meccanica della definizione che per il campo semantico che lo collega in un certo modo con i liquidi. Qualcosa che assomiglia al funzionamento dei vasi comunicanti. Esiste un altro termine che circola nelle tubature degli enti di ricerca: brain waste, in italiano spreco, perdita di cervelli. Ci si riferisce alle conoscenze delle persone qualificate, che si perdono senza essere usate come quell’acqua potabile che finisce nel mare inutilmente.
Dei tre termini suddetti, ormai inflazionati tra slide e seminari internazionali, solo il primo non lascia spazio a malintesi. Vari studi e ricerche scientifiche hanno confermato quello che il buon senso dice da tempo: la fuga di cervelli danneggia la società. L’Africa offre sfortunatamente casi negativi, ad esempio con le drammatiche conseguenze della fuga di personale medico autoctono. Bisogna però chiarire che il caso della mancanza di personale medico africano è facile da verificare. Un po’ più difficile si presenta la verifica dei danni causati dalla fuga di cervelli da Paesi come l’Albania, dove i cervelli non possono essere misurati tramite i diplomi ottenuti, ma per mezzo della loro qualità. Se si dovessero considerare solo gli emigranti muniti di laurea, quindi semplicemente dal punto di vista quantitativo, il numero non darebbe infatti esattamente l’entità del danno, visto che le università albanesi producono ogni anno migliaia di laureati.
A differenza della fuga classica di cervelli, il ritorno di cervelli richiede necessariamente ulteriori spiegazioni, poiché possiede un campo più vasto di azione. Il Brain gain è un insieme di provvedimenti che può essere realizzato da Paesi che non hanno conosciuto la fuga di cervelli, così come da Paesi che ne soffrono drammaticamente. In altre parole, il Canada e gli Stati Uniti d’America seguono politiche che mirano all’acquisizione di cervelli di tutto il mondo, ma non possono essere paragonati all’Albania, la quale sta cercando di realizzare alcuni progetti per fare ritornare propri cervelli, ma contemporaneamente si sta inaridendo di conoscenze, perché l’emigrazione continua a trascinare con sé capacità umane preziose. Bisogna inoltre dire che attirare i cervelli ha qualcosa di egoistico. Se l’Albania cerca di attirare i propri cervelli e il Canada tenta di attirare i cervelli albanesi, è evidente che si crea un’innegabile contraddizione, che si risolve principalmente per mezzo delle leggi del mercato.
Sebbene senza risultati tangibili, in Albania le iniziative di brain gain non sono mancate. Sono stati realizzati alcuni progetti in collaborazione con istituzioni internazionali, con l’obiettivo di far ritornare i cervelli in Albania. Chi legge le finalità di questi progetti concorda immediatamente con esse. I progetti sono davvero di buona volontà, come ad esempio quello dell’OIM dal titolo Migration for Development in the Western Balkans oppure quello delle Acli intitolato Sportello Lavoro Albania. La loro attuazione però deve fare i conti con la situazione attuale del Paese, che in realtà non crea le condizioni opportune né per trattenere né per attirare veramente forza lavoro qualificata.
Brain waste
Anche il Brain waste richiede spiegazioni ulteriori. A prima vista lo spreco di cervelli avviene soltanto nei Paesi in via di sviluppo, da dove si allontanano persone preparate. L’Albania può essere emblematica da questo punto di vista, dato che subisce la perdita di cervelli da tanti anni. Basta prendere la categoria degli studenti e si vedrà che la maggior parte di loro che studiano all’estero rimangono là dove hanno sostenuto gli esami, indipendentemente dalla loro voglia di tornare nel Paese di provenienza. Tendenzialmente la stessa cosa si può dire di quelli che studiano nel Paese e che poi se ne vanno. Come dire, la fuga di cervelli sembra essere a senso unico.
Ma non si tratta solo di questo. Lo spreco di cervelli si nota infatti tanto nei bar dell’Albania (dove a servirti arriva spesso un cameriere laureato) così come nei bar dell’Italia (dove incontri ugualmente qualche cameriere albanese laureato). Non ha molto senso confrontare per gravità le due perdite. Ambedue i Paesi, fatto un bilancio, ne escono malissimo. L’Albania forse viene danneggiata un po’ di più visto che dopo aver preparato i cervelli ad un certo punto li usa nei bar di altri Paesi e non; ma anche l’Italia non appare parsimoniosa, visto che i cervelli andrebbero usati secondo le loro capacità, per il bene della comunità, e indipendentemente dal passaporto.
E l’Italia costituisce uno dei casi più significativi della cattiva gestione dell’immigrazione. Secondo i dati di European Migration Network Italia (2010), circa il 54% degli stranieri che lavorano in Italia possiedono un diploma di maturità oppure una laurea. La percentuale risulta indubbiamente alta, ma sembra davvero scandalosa quando si viene a sapere che il 73,4% degli stranieri in Italia svolgono lavori di bassa manovalanza e non qualificati. Qui più di una perdita si tratta di uno spreco inutile di risorse umane. Un vero peccato, da tutti i punti di vista.
La perdita di cervelli è quindi bilaterale. Anche se questa fuga si può spiegare con le caratteristiche dei mercati del lavoro, è chiaro che per le economie dei Paesi summenzionati la cattiva gestione di cervelli costituisce un lusso inaccettabile. L’Albania non può permettersi di utilizzare i cervelli per lavori manuali, l’Italia non si può permettere di usare il capitale umano come una moneta senza valore. Tranne alcuni provvedimenti sporadici, dalla parte albanese dell’Adriatico una strategia generale sull’emigrazione e qualche progetto specifico per il ritorno di cervelli e sull’altra riva permessi di soggiorno per quelli che si laureano e qualche programma universitario per il ritorno di cervelli, in realtà non si registra alcun progresso visibile. Non bisogna dimenticare, inoltre, che l’Italia sta conoscendo in questi anni di crisi una nuova emigrazione: migliaia di giovani italiani preparati che cercano il proprio futuro all’estero, in Europa o in America.
Brain circulation
Se cervelli dei due Paesi si versano inutilmente nel mare, allora bisogna trovare un modo per bloccare la loro fuoruscita. Sebbene si tratti nuovamente di una metafora idraulica, la soluzione della circolazione dei cervelli, la cosiddetta brain circulation, teoricamente sembra attuabile.
La circolazione dei cervelli si studia da tempo dai ricercatori, i quali hanno notato che la globalizzazione, lo sviluppo economico-tecnologico, l’interdipendenza economica, la libera circolazione, la doppia cittadinanza, l’organizzazione delle diaspore, la diffusione della cultura, ed altri fattori, hanno aumentato lo scambio di persone qualificate. Tuttavia, bisogna ricordare che quando è iniziata l’emigrazione albanese alcune di queste condizioni non erano all’ordine del giorno. La globalizzazione era ai propri inizi, l’economia albanese ereditava le caratteristiche dell’autarchia totalitaria, il muro di Berlino veniva sostituito da altri confini, le doppie cittadinanze si contavano, come dire, sulle dita di una mano. Nel primo periodo dell’immigrazione albanese non si poteva parlare di circolazione dei cervelli. Questa era parte del flusso generale dell’immigrazione verso altri Paesi e in realtà si trattava esclusivamente di una perdita dei cervelli.
Esistono attualmente le condizioni per la circolazione dei cervelli tra l’Albania e gli altri Paesi? Ovviamente, qualcosa è cambiato dagli inizi di anni ‘90. Molti ostacoli di una volta non ci sono più. Lo scambio con l’Occidente è cresciuto progressivamente, in tutti i settori, ed alcune condizioni possono favorire la circolazione di cervelli. Ciò che manca però, a parte la cultura della meritocrazia, è proprio lo sviluppo economico-tecnologico, una conditio sine qua non per la circolazione di cervelli. In questo contesto, le persone qualificate possono muoversi solo in alcuni campi, principalmente in quelli umanistici, laddove non si richiedono grandi investimenti di carattere tecnologico e industriale. Ma in questi settori la stessa circolazione è piuttosto limitata con scambi brevi tra centri di studio e universitari, senza prendere le sembianze di una vera circolazione.
La circolazione dei cervelli richiede inoltre l’armonizzazione dell’economia, del mercato del lavoro, della legislazione e dei sistemi di previdenza con i Paesi sviluppati. Si possono prendere altri provvedimenti per favorire la circolazione di cervelli, che può essere considerata come la più moderna tra le formule in campo, visto che non considera i cervelli strettamente dal punto di vista nazionalistico. Infatti, la circolazione dei cervelli sembra tener conto un po’ di più della volontà delle persone qualificate, poiché offre loro la libertà di scelta e non li considera come una proprietà statale.
Ciononostante, il fatto che la circolazione di cervelli sia stata inventata come modello dopo gli sforzi fallimentari per bloccare la fuga di cervelli, mette un punto interrogativo sulla stessa ricetta. In parole povere, un Paese che non sa far ritornare i propri cervelli, o meglio dire che non sa trattenere i propri cittadini qualificati, allora non sa nemmeno creare le condizioni per rendere fattiva la circolazione di cervelli. Per dirla tramite i Paesi in riva all’Adriatico, se l’Italia e l’Albania non sanno trattare i cervelli all’interno del Paese, è probabile che non sappiano trattarli nemmeno a favore dello sviluppo dell’area, tramite la circolazione.
Capitale umano d’area
Comunque, una delle vie che portano verso lo sviluppo è proprio la preparazione e la gestione del capitale umano, sia a livello di un unico Paese, sia a livello di un’area, creando spazi vasti di prosperità. Non è detto che le formule create a tavolino funzionino nella società come si era pensato funzionassero in laboratorio.
I progetti promossi fino ad oggi hanno sofferto di artificiosità, come se fossero rimasti imprigionati in un powerpoint con il quale si presentano obiettivi e risultati nei vari seminari, con tanto di cabine di interpretariato. Forse hanno sofferto anche di precocità. La stessa brain circulation non si presenta nella realtà con le stesse caratteristiche, e nemmeno costituisce una prassi diffusa nel mondo. Tanto meno va rappresentata, con la retorica con cui è abitualmente circondata, come la panacea dei problemi che causano l’emigrazione qualificata, la quale comunque va valorizzata ad ogni modo. Importante è che gli sforzi autentici vadano in questa direzione, offrendo una prospettiva non solo ai cervelli, ma anche al Paese stesso.