Albania: a un anno dal fallimento di Belle Air
Un anno fa falliva Belle Air, l’unica compagnia aerea battente bandiera albanese. Creatura di un’altra era politica, il suo fallimento venne salutato da più parti come la fine di un monopolio nepotista. Ma a un anno di distanza nessun progetto alternativo è seguito alla distruzione
Gli ultimi voli Belle Air giunti a destinazione sono atterrati in Italia: a Cuneo, Milano e Bergamo. È il tardo pomeriggio di domenica 24 novembre 2013 e la scena, ovunque, è la stessa: assieme ai passeggeri scendono l’amara scaletta le uniformi arancio-blu degli assistenti di volo, ragazzi giovani, che a fatica trattengono le lacrime. Così come da istruzioni, i piloti hanno atteso l’atterraggio per informare i propri equipaggi che il loro aereo non avrebbe fatto ritorno a Tirana. Qualche euro per raggiungere Malpensa e un biglietto Alitalia già comprato sono le uniche consolazioni elargite dai capitani, disoccupati anch’essi, ma non prima di aver diretto i loro airbus alla volta di misteriosi depositi in Austria, Francia e Repubblica Ceca. Dopo otto anni di attività, con il 50% del traffico aereo nazionale, gli aerei pieni, l’alta stagione alle porte e 50.000 biglietti già venduti fino a marzo 2014, la Belle Air, rimasta senza concorrenti, chiudeva misteriosamente i battenti. Incapace di spiegare l’inspiegabile, il Comunicato Stampa emesso la sera del 24 novembre sul sito della compagnia descriveva la situazione come provvisoria:
Dopo otto anni di attività di successo, con voli dall’Albania verso le destinazioni Europee, Belle Air è obbligata a sospendere temporaneamente le proprie operazioni di volo a causa delle condizioni economiche generali, della riduzione del potere d’acquisto, della recessione di mercato e del congelamento dei propri conti bancari da più di 18 giorni. Durante questo periodo, Belle Air avvierà un processo di ristrutturazione interna volto al ritorno con i prezzi più bassi, il servizio e la qualità migliore nel mercato albanese. Questo è un giorno triste per tutti Voi ed anche per noi in Belle Air.
Numeri, persone e debiti
Nata nel giugno 2005 con l’esplicito intento di competere da low cost con la già affermata Albanian Airlines, in poco meno di un anno Belle Air riuscì ad attivare voli di linea su 7 aeroporti italiani, cui molto presto si aggiunsero destinazioni in Grecia, Inghilterra, Belgio, Svizzera, Germania, Repubblica Ceca e Austria. All’apice della sua espansione la flotta Belle Air poteva contare su 9 automezzi (7 Airbus 320/319 e 2 ATR-500) in grado di coprire 28 destinazioni dislocate in 12 paesi europei. Solo in Italia, dove risiedono (e da cui viaggiano) circa mezzo milione di albanesi, la Belle Air atterrava su 18 aeroporti (Bergamo, Milano, Torino, Cuneo, Trieste, Venezia, Verona, Bologna, Forlì, Rimini, Ancona, Genova, Pisa, Firenze, Perugia, Pescara, Roma e Bari). Un’attività imponente, ulteriormente ampliata dalla parntership con Belle Air Europe, gemella italiana con sede a Milano la cui fondazione nel 2009 aveva reso possibile l’ampliamento del mercato al Kosovo e alla Macedonia (voli diretti collegavano settimanalmente Pristina a Verona, Bergamo, Venezia, Monaco, Stoccarda, Dusseldorf, Bruxelles, Basilea, Londra, Friedrichschafen, Norimberga, Hannover, Malmo e Vienna; e Skopje a Dusseldorf, Ancona e Roma). A un business di queste dimensioni faceva ovviamente riscontro una notevole domanda d’impiego: se si calcolano anche i rappresentanti operanti nei vari aeroporti, all’atto del fallimento la Belle Air annoverava tra le sue fila 476 unità – eccezion fatta per i piloti, in maggioranza internazionali, i dipendenti, sia di ground che di bordo, erano quasi tutti albanesi.
A fronte di questi numeri risulta assai difficile credere alle vaghe ed economicistiche motivazioni ufficiali: di fronte ad un aereo stracolmo la "riduzione del potere d’acquisto" e la "recessione del mercato" divengono espressioni vuote, e si spiegano solo con il tentativo di celare una verità scomoda. Quello che si sa, è che nei primi giorni di novembre 2013 lo stato albanese decise di congelare i conti bancari della compagnia poiché questa risultava in debito di una cifra compresa tra i 6 i gli 8 milioni di euro. Dopo varie trattative, i conti vennero però sbloccati, e le due parti fissarono nel 31 dicembre la scadenza per l’assolvimento del debito.
Ma lo stato era solamente uno dei creditori della Belle Air: così come messo in luce successivamente dallo studio condotto dal tribunale di Tirana presso cui la Belle Air decise infine di depositare la richiesta di "fallimento a scopo ricostruttivo" (il 22 novembre), il debito totale dell’azienda ammontava a 51,7 milioni di euro, una cifra da suddividere tra aeroporti, banche, fornitori e dipendenti, i quali, si scoprì, già da tre mesi lavoravano senza percepire lo stipendio. Con riferimento al codice del lavoro albanese, tenendo conto del ruolo, della funzione e dell’anzianità, il debito dovuto ad ogni singolo impiegato varia dai 4000 ai 50.000 euro (per comprendere queste cifre nel merito, si tenga presente che in Albania lo stipendio medio di un padre di famiglia difficilmente tocca i 300 euro al mese). Per colmare il quadro dei creditori fisici, oltre ai dipendenti vanno ricordati i 50.000 passeggeri a cui erano già stati venduti i biglietti per i mesi successivi: a seguito della sospensione dei voli non tutti scelsero di convertire il proprio biglietto in una tratta sostitutiva messa a disposizione da Blue Panorama – questa formula di protezione costava all’incirca 60 euro – e in molti preferirono rinunciare al viaggio pur di effettuare la richiesta formale di rimborso. Due domande molto semplici sorgono in fin dei conti spontanee. Primo: com’è possibile che, nonostante il successo e la conquistata posizione di monopolio, Belle Air abbia accumulato un debito simile? Chi ci ha guadagnato? Secondo: i dipendenti e i passeggeri orfani di Belle Air rivedranno mai i loro soldi?
Una questione politica
Il 24 gennaio 2014 il tribunale di Tirana ha riconosciuto ufficialmente il fallimento della Belle Air e ha affidato ad un amministratore di sua nomina la gestione degli assets dell’azienda: l’obiettivo è quello di convertire i suoi beni in liquidi al fine garantire il pagamento di tutti i debiti. È assai difficile prevedere il futuro, ma il passato vissuto sino a qui appare abbastanza chiaro: il decollo e l’atterraggio di Belle Air non sono che due episodi della stessa storia.
Così come già messo in luce da Mariola Rukaj, questa è la storia della politica albanese, un difficile ed insidioso habitat in cui la pulsione al nuovo e al rinnovamento convive con antiche clientele. Nel settembre 2005 si insedia il governo Berisha e clamorosamente la Belle Air decolla, nel settembre 2012 si insedia il governo Rama e clamorosamente la Belle Air precipita. Sarà una coincidenza giornalisticamente comoda per non approfondire oltre, ma quello che sembra essere cambiato nell’arco di un anno non sono i profitti della compagnia, bensì la disponibilità delle autorità pubbliche a dare credito ad un’impresa prima affiliata e poi nemica: il nuovo governo ha semplicemente detto di no là dove il vecchio chiudeva un occhio.
Sul fatto che la mostruosa anomalia debitoria – sulla cui origine permane il mistero – dovesse cessare non vi sono dubbi, ma i modi scelti per porvi fine lasciano intendere che anche il nuovo governo è capace di anteporre il regolamento di conti alle logiche del mercato. In campagna elettorale Edi Rama aveva toccato il nodo aviazione, dichiarando che una liberalizzazione del settore sarebbe stata necessaria. Ma più che nel mercato, la soluzione facile, come sempre in Albania, fu individuata nell’importazione: l’Aviazione Civile Albanese concesse all’italiana Blue Panorama le proroghe dei permessi sulle rotte che aveva ereditato dalla Belle Air (inizialmente al solo fine di proteggerne i biglietti emessi) e l’imponente fetta di mercato aereo italo-albanese venne così regalata a una compagnia estera.
Da un anno a questa parte si sono rincorse innumerevoli voci sull’apertura di una nuova compagnia di bandiera albanese: se nel lungo periodo questa prospettiva rimane la più verosimile, oggi sappiamo che all’atto della distruzione della Belle Air nessun progetto nazionale alternativo era a disposizione del governo appena insediatosi: il monopolio del nemico andava abbattuto a tutti i costi, anche se a farne le spese subito sarebbero stati i passeggeri e i dipendenti albanesi. Di fatto, oggi, a seguito di questa fine strategia, i primi, ovvero le famiglie albanesi, hanno a disposizione meno della metà delle destinazioni. Per quanto riguarda gli ex dipendenti Belle Air, incapaci di organizzarsi in un paese dove i sindacati non esistono e totalmente ignorati sia dai media che dalle istituzioni nazionali, le loro storie, a metà tra tragedia personale e geopolitica, saranno probabilmente l’oggetto dei romanzi e delle fiction di domani.
Ciao mamma, vado in Qatar
Mancano poco più di ventiquattro ore alla sua partenza, ma Floriana, ventisettenne, conoscente di conoscenti, accetta di prendere un caffé con uno sconosciuto che ha la faccia tosta di disturbarla durante la delicatissima operazione-valigia. Ex hostess Belle Air dai capelli corvini, l’indomani atterrerà a Riyadh, Arabia Saudita. Ha gli occhi tirati di chi sa che la sua vita sta cambiando, ma sorride e riesce persino a essere autoironica. "Allegria, diventerò ricca" sorride – chissà se conscia di aver citato Mike Buongiorno – "mi preoccupa solo la questione del velo: l’Arabia Saudita non è il Qatar, mi hanno detto altri colleghi che là devi averlo sempre indosso, in pubblico non si può nemmeno parlare con un collega. Ma forse esagerano…". Un colloquio in Qatar, Floriana, lo aveva fatto: ma tra lei e la famigerata Qatar Airways si frappose il suo tatuaggio: poco importa se quasi-invisibile, ebbe l’ingenuità di rispondere sinceramente «yes» alla domanda che in tutto il mondo screma metà dei candidati all’aviazione: "Have you got any visible skares or tattoos?". E così, l’Arabia, dove nessuno ti chiede dei tatuaggi per il semplice fatto che anche le hostess hanno il foulard. Dopo un mese di formazione, Floriana diventerà assistente di volo di FlyNas, una low cost di bandiera saudita che per reclutare all’estero mette sul piatto 2.500 dollari al mese, più vitto e super-alloggio. "Meglio del call center, no?" insiste, ma qui l’ironia si fa amara.
Uno studio quantitativo sulle località di dispersione dell’aviazione albanese sarebbe molto interessante. Ma anche in assenza di dati empirici, i contorni della storia prendono forma chiacchierando di qua e di là. Dopo la chiusura della compagnia in cui molti dipendenti erano professionalmente cresciuti – otto anni in aviazione marcano a fuoco la natura del cv di un giovane – il personale Belle Air si è trovato per strada a guardare scadere le proprie licenze di volo, sperando in un’alternativa che non è mai arrivata. "Non saranno così stupidi da rinunciare a una compagnia albanese! L’abbiamo pensato a lungo, ma ora per pensare non c’è più tempo…".
Non tutti hanno scelto la via di Floriana, alcuni hanno cercato di ricollocarsi nel difficile mercato del lavoro albanese – fatto da un lato di lavoro nero autoctono e dall’altro di delocalizzazione estera a bassa retribuzione – ma la maggior parte, avendo in mano una formazione specialistica, non vi ha giustamente voluto rinunciare. Dal momento che, i lettori italiani lo sanno bene, nessuna compagnia aerea tricolore è in odore di assunzioni – anzi, dopo le vicende Etihad, il problema di Alitalia sono gli esuberi – gli albanesi, in attesa di diventare europei, hanno preferito guardare a Oriente: Qatar e Emirati innanzitutto.
Nel corso di quest’anno, gli agenti di Qatar Airways hanno visitato Tirana due volte, in luglio e in ottobre: un paio di giorni di colloquio allo Sheraton Hotel sono bastati per reclutare buona parte del personale di volo albanese. Gli open-day in loco, organizzati preferibilmente (ma non solo) in paesi a maggioranza musulmana, sono poi una sola delle alternative a disposizione: vi è anche la possibilità di applicare direttamente per un colloquio a Doha, opzione scelta da molti in virtù del fatto che se si viene accettati è la compagnia stessa a farsi carico delle spese di viaggio e alloggio del candidato! Di fronte ad un simile divario di offerta e di prospettive, è chiaro, partire (negli anni Novanta si diceva "emigrare") diviene l’occasione da non perdere. Ciò che inquieta, e lo dico da coetaneo di Floriana, è che sebbene l’Albania non sia ancora politicamente «Europa», la storia della Belle Air e dei suoi ragazzi è invece già pienamente «europea». Continui pure, l’Europa, a pensare di essere il mondo, e il mondo si prenderà sempre più facilmente le vite dei suoi sempre più delusi figli.