25 anni dopo Dayton: intervento internazionale e bisogno di giustizia sociale
Dopo la guerra in Bosnia Erzegovina si è arrivati ad una giustizia socio-economica? Secondo l’analisi della politologa Daniela Lai ne siamo molto lontani e parte della responsabilità è della comunità internazionale. Un’intervista
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans )
A un quarto di secolo dalla fine della guerra, Courrier des Balkans ha aperto un importante ciclo di riflessione sulla situazione politica ed economica in Bosnia Erzegovina, sulle mobilitazioni sociali e ambientali che sta attraversando la sua società e sul percorso che si potrebbe pensare per un futuro migliore. Ne riprendiamo alcune tra cui quest’intervista a Daniela Lai, Lecturer in relazioni internazionali presso il Royal Holloway College, Università di Londra. La sua ricerca si concentra sulle riforme socioeconomiche in Bosnia ed Erzegovina dalla fine della guerra e sulla giustizia transizionale.
Cosa intende per "intervento internazionale in Bosnia Erzegovina dopo gli accordi di Dayton"?
Quando dico "intervento internazionale" mi riferisco a una serie di riforme e politiche messe in atto da diverse organizzazioni internazionali e da diversi stati nell’immediato dopoguerra in Bosnia ed Erzegovina. Ciò non significa necessariamente che gli attori internazionali abbiano lavorato tutti nella stessa direzione, con un obiettivo o una strategia comune, ma tutti hanno operato con gli stessi obiettivi generali in mente: rafforzamento delle istituzioni e costruzione della pace – benché un tipo particolare di pace – e lavorando per la transizione verso un’economia di mercato.
L’intervento internazionale in Bosnia Erzegovina è stato profondo e complesso. Ha riguardato interventi militari e civili, riforme politiche ed economiche. Nella mia ricerca mi concentro su due aspetti specifici di questo intervento. Prima di tutto analizzo gli sforzi internazionali in materia di giustizia transizionale e di confronto con il passato, il che significa, nel contesto bosniaco, l’istituzione di procedimenti per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio a diversi livelli, presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia a presso i tribunali bosniaci. Successivamente, analizzo l’intervento internazionale dal punto di vista delle riforme economiche volte a completare la transizione della Bosnia Erzegovina verso un sistema capitalista e la sua integrazione nell’economia globale.
Sebbene queste due dimensioni siano spesso studiate indipendentemente l’una dall’altra, difendo l’idea che sia essenziale considerarle insieme e vedere come hanno influenzato il modo in cui la società bosniaca è stata in grado di affrontare le conseguenze della violenza socioeconomica della guerra e le possibilità che nel paese si stabilisca una giustizia socioeconomica. Dando priorità alla limitazione della spesa pubblica, alla privatizzazione e alle riforme dell’assistenza sociale, le istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo monetario internazionale (FMI) o la Banca mondiale hanno di fatto limitato fortemente le politiche redistributive e i programmi sociali che avrebbero invece potuto contribuire a rispondere all’ingiustizia socioeconomica. In altre parole, queste organizzazioni svolgono un ruolo importante e drammaticamente poco studiato nei processi di giustizia sociale.
Conoscenza del passato e riconciliazione sono due delle priorità del processo di pace per come è stato concepito dalla comunità internazionale. Quale impatto hanno sulla società bosniaca?
La giustizia transizionale, il processo di costruzione della pace, la riconciliazione sono stati molto importanti nell’intervento internazionale in Bosnia ed Erzegovina. Tuttavia, è importante sottolineare che gli attori internazionali hanno attribuito un proprio significato alle parole "giustizia", "pace" e "riconciliazione". In altre parole, è stata assegnata loro un’immagine, che aspetto avrebbero dovuto avere. Ad esempio, la giustizia è stata principalmente concepita relativamente alle responsabilità individuali degli autori di crimini di guerra, oltre all’istituzione dello stato di diritto in Bosnia Erzegovina. Ma se guardiamo a ciò che i cittadini bosniaci intendono per "giustizia", otteniamo un’immagine molto più olistica e sfumata.
Oltre alla giustizia in termini giudiziari, le persone che ho intervistato per la mia ricerca volevano anche giustizia socio-economica. Durante la guerra, molte città e comunità bosniache hanno perso le loro industrie, che impiegavano migliaia di persone. Interi quartieri sono stati distrutti, molte persone hanno perso l’accesso alla vita socio-economica della loro città. Molti di questi processi sono iniziati in modo molto violento durante la guerra e sono proseguiti nel dopoguerra, in parte a causa dell’intervento internazionale. Questa situazione ha contribuito allo scoppio delle rivolte sociali del 2014 e continua a colpire la Bosnia Erzegovina oggi, 25 anni dopo la fine dei combattimenti. Gli approcci internazionali alla giustizia del dopoguerra e al processo di costruzione della pace non sono riusciti affatto a cogliere questa dimensione, perché non vedono la politica economica come correlata alla questione giustizia: si sono approcciati nel senso esclusivo di "giudiziario". Tuttavia questa connessione tra politica economica e la giustizia era molto chiara ai partecipanti bosniaci della mia ricerca.
Allo stesso modo quando si parla di "riconciliazione", un termine molto contestato che è stato definito come un riavvicinamento tra diversi gruppi etnici, che ha contribuito a rafforzare il punto di vista etnico delle divisioni sociali in Bosnia ed Erzegovina. Come hanno sottolineato altri ricercatori, ciò è stato fatto attraverso progetti guidati da alcune élite che non erano in sintonia con la società bosniaca. Tuttavia, questo non è l’unico modo possibile per concettualizzare il superamento delle divisioni sociali in un contesto postbellico. Le manifestazioni del 2014 ci hanno mostrato che la mobilitazione attorno ai problemi socio-economici può costruire forme civiche di solidarietà tra i cittadini.
Potete descrivere il tipo di criminalità economica che affronta la Bosnia Erzegovina?
Il mio lavoro di ricerca non riguarda necessariamente la "criminalità" in quanto tale, ma piuttosto la violenza e l’ingiustizia. Definisco la violenza socioeconomica una forma di violenza radicata nella politica economica di guerra che, nel caso bosniaco, si è concretizzata nella confisca dei beni sociali, nella deprivazione materiale, nella distruzione o nell’appropriazione indebita di infrastrutture, soprattutto industriali, per obiettivi legati alla guerra.
La mancanza di riparazione per questo tipo di violenza, unita ad alcuni interventi da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, ha cementato l’ingiustizia socio-economica dopo il conflitto.
Questi processi non si adattano facilmente alle categorie legali di criminalità. Ho trovato più fruttuoso analizzare questa dimensione della guerra attraverso concezioni di violenza e ingiustizia perché definiscono più fedelmente l’esperienza del conflitto e della transizione postbellica delle persone.
Intendo per "giustizia socioeconomica" il processo attraverso il quale si può porre rimedio alla violenza socioeconomica, un processo incentrato sulla nozione di ridistribuzione, ma anche sulla partecipazione alle decisioni politiche ed economiche. Quindi, se si guarda alla questione in termini di ingiustizia socioeconomica, credo sinceramente che la Bosnia Erzegovina subisca ancora le conseguenze a lungo termine della violenza socioeconomica: deindustrializzazione, perdita dei diritti sociali e protezione dei lavoratori, smantellamento delle comunità attraverso l’emigrazione, ecc.
Le rivolte sociali del 2014 hanno cambiato qualcosa dell’ingiustizia economica, e se no, perché?
Le rivolte sociali del 2014 hanno le loro radici nei processi di distruzione ed espropriazione che iniziano con le guerre. Questi problemi sono molto profondi e si sono sviluppati a lungo termine. Ci vorranno sforzi politici a più livelli per invertire la tendenza. Tuttavia, le proteste del 2014 sono molto importanti e sono state decisive per diversi motivi. Prima di tutto sono le più grandi mobilitazioni popolari bosniache dall’inizio della guerra. I manifestanti si sono chiaramente opposti alla retorica etno-nazionalista usata dalle élite politiche e hanno tentato di inquadrare le loro richieste in termini civici: questioni che riguardano tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina. È anche molto significativo che queste proteste siano riuscite a riportare le questioni di giustizia sociale che erano state messe da parte nei decenni precedenti. Ci sono diversi motivi per cui l’impatto di queste rivolte è stato limitato, uno dei quali è il sistema etno-nazionalista stabilito dagli accordi di Dayton, ma la loro importanza non deve essere sottovalutata.
E’ anche necessario ricordare che queste manifestazioni non sono venute dal nulla. Derivano dall’attivismo preesistente, dalle proteste precedenti, come quelle del 2013, le proteste per il numero unico di registrazione dei cittadini, ma anche per il "diritto alla città" a Banja Luka dell’anno prima. Sebbene queste proteste non abbiano portato un cambiamento radicale, l’attivismo in Bosnia Erzegovina non è scomparso e continuerà a lavorare per il cambiamento.
Che cosa ne è oggi della giustizia socio-economica in Bosnia Erzegovina?
Per rispondere a questa domanda vorrei innanzitutto sottolineare alcune richieste dei partecipanti alla mia ricerca che ho incontrato in particolare nelle città di Prijedor e Zenica. Volevano un risarcimento per non aver ripreso il lavoro dopo essere stati licenziati ingiustamente, spesso sulla base della loro etnia, durante la guerra. Volevano prendere parte alle decisioni economiche che hanno interessato la loro città, ad esempio sulla privatizzazione dell’acciaieria di Zenica. Volevano un migliore sistema di protezione sociale e politiche pubbliche per l’occupazione per compensare la perdita di vita socio-economica nella loro città a causa della guerra.
Purtroppo non è avvenuto niente di tutto questo. Le élite politiche hanno una grande parte di responsabilità, così come la comunità internazionale, che dovrebbe riconoscere che alcune delle sue politiche, come la sua politica neoliberista di privatizzazioni e tagli di bilancio, hanno contribuito e continuano a contribuire alla mancanza di giustizia socioeconomica. La situazione attuale è, da un lato, il prodotto della dissoluzione della Jugoslavia e della guerra con tutte le sue conseguenze politiche, ma, dall’altro, il riflesso di un particolare approccio internazionale alla "transizione" verso la pace e democrazia liberale che favorisce la riforma del mercato a scapito della giustizia socioeconomica.
Dossier
Nel novembre 1995, con l’Accordo di Dayton, veniva posto fine alla guerra in Bosnia Erzegovina. La soluzione adottata a Dayton, con le sue contraddizioni tra cui il riconoscimento de facto della pulizia etnica – nasceva come frutto del compromesso per ottenere la pace. Ora, in un paese vittima di una continua emorragia di giovani che emigrano in cerca di futuro, appare evidente che senza una sua riforma la Bosnia Erzegovina rischia di restare uno stato disfunzionale che non riuscirà a procedere verso l’integrazione europea. Un nostro dossier