Ritorno difficile
Il conflitto osseto-inguscio del 1992 ha causato centinaia di vittime e decine di migliaia di sfollati, che solo in alcuni casi sono riusciti ad ottenere risarcimenti e ritornare alle proprie case. Un’intervista a Ruslan Parchiev
Come è nata la vostra associazione?
A partire dall’inizio degli eventi che noi ricordiamo come il genocidio del 1992, si sono formati vari movimenti in protesta a ciò che avevano subito gli ingusci in Ossezia del nord. Numerosi gruppi e organizzazioni della società civile, inclusa la sezione inguscia di Memorial, hanno sempre denunciato apertamente i fatti, anche quando la propaganda ufficiale e i media, comprese anche alcune organizzazioni che vivevano grazie a fondi provenienti dall’estero, hanno cercato di far passare l’idea del "solito" conflitto interetnico.
Chi sono le persone che vi lavorano?
Ci sono moltissimi volontari disposti a collaborare e a partecipare alle nostre attività. Per un inguscio oggi è facile identificarsi come potenziale vittima del conflitto. Chi si fosse trovato sul territorio dell’Ossezia a quel tempo avrebbe potuto essere preso in ostaggio: chi studiava, lavorava o semplicemente transitava in autobus o in treno attraverso il territorio dell’Ossezia, anche senza soggiornarvi in maniera permanente, poteva essere trattenuto dalle pattuglie della polizia o dei cosacchi.
In cosa consiste concretamente la vostra attività?
Vogliamo che vengano riconosciuti i diritti delle vittime che hanno sofferto del genocidio in prima persona, e attirare l’attenzione sui diritti umani violati sia dai burocrati che dal potere esecutivo o dagli organi giudiziari.
All’occorrenza ci raduniamo tutti insieme, ad esempio per picchetti di protesta non violenti, presso la sede del tribunale o del governo, osservando sempre la massima correttezza e attenzione.
Ci occupiamo anche direttamente della difesa dei nostri diritti, ad esempio nei tribunali, dove si verifica la maggior parte delle violazioni.
Che tipo di rapporti avete con le autorità locali e federali?
Dipende dal tipo di potere.
Il potere legislativo, inteso come assemblea parlamentare della repubblica, talvolta presta attenzione alle nostre perorazioni; tale ascolto, tuttavia, non si traduce in un aiuto effettivo nei nostri confronti. In parte dipende dal fatto che questo ramo del potere non è in condizioni di prendere iniziative concrete, ma nella maggior parte dei casi è un problema di volontà.
Abbiamo inviato alle Assemblee Parlamentari di Inguscezia e Ossezia del Nord una lettera ufficiale con la richiesta di esaminare un progetto di legge sulla riabilitazione delle vittime del genocidio del ’92. Dalla Repubblica di Ossezia del Nord – Alania ci hanno comunicato che hanno ricevuto la nostra lettera e che la stanno vagliando. Dall’Inguscezia non ci hanno nemmeno risposto.
Con gli organi di sicurezza, personalmente ho iniziato a scontrarmi molto presto. Ho scoperto che i tribunali osseti avevano organizzato un vero e proprio giro d’affari per sottrarre il denaro destinato ai risarcimenti, posticipando le delibere sui versamenti per le abitazioni ingusce distrutte in seguito al conflitto; la procura doganale, che ostacolava tutti quelli che non le accordavano una percentuale, aveva all’epoca il diritto di avviare procedimenti penali, e se ne serviva, sfruttando abilmente l’ignoranza delle vittime.
Il presidente dell’Inguscezia, da quando ha capito che non ci può blandire, fa finta che non esistiamo. Ha una visione tutta sua della questione delle vittime del genocidio, si dimentica, o forse proprio non lo sa, che i diritti di un solo bambino che ha sofferto per il genocidio, trascinando una penosa esistenza in un vagone o in una stalla, conta più dei diritti di tutti i soggetti della Federazione Russa messi insieme.
E per quanto riguarda i tribunali?
Dopo il Servizio Federale di Migrazione, i tribunali sono l’organismo più corrotto, sia in Ossezia del Nord sia in Inguscezia. La corruzione non consiste solamente nelle bustarelle, ma nell’adulazione, nel servilismo e nella mancanza di principi.
Migliaia di persone sono state private dei beni che spettavano loro in termini di risarcimento per i diritti violati e le proprietà perdute, prima che nei tribunali qualcosa cambiasse. Ci siamo sobbarcati un lavoro immane. I tribunali dell’Inguscezia sono diventati più indipendenti e più intransigenti, e sono convinto che questo sia avvenuto anche per merito nostro.
Come reagite a tutto questo?
Da parte nostra ricordiamo, in maniera sempre pacifica ma determinata che la situazione dei diritti umani in Inguscezia, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle vittime del genocidio è un vero caos. I diritti e i beni di non meno della metà della popolazione della Repubblica, contando le vittime del conflitto con l’Ossezia del Nord e quelle dei conflitti ceceni, non sono ancora stati ristabiliti, mentre le perdite subite non sono ancora state compensate per colpa dei burocrati della repubblica. Se le autorità ingusce la piantassero con il servilismo cieco e il loro pietoso "bla bla" sulla totale lealtà del nostro popolo al potere costituito, su quanto si viva bene e sul fatto che tutto quello che ci separa dal benessere sono poche frange estremiste, se veramente i funzionari della Repubblica e dello Stato si impegnassero ad osservare sul serio la costituzione e le leggi, la situazione nella regione sarebbe molto più stabile e le persone vivrebbero molto meglio, sul piano economico.
È la miseria a suscitare le proteste. Sono i poveri ad essere senza timore e aggressivi. La povertà è una delle cause della presenza di numerosi attentatori-suicidi nella regione. Fra gli attentatori suicidi non troverete né i figli di gente benestante né quelli dei funzionari in carriera.
Qual è il maggior successo ottenuto dal lavoro della vostra associazione?
La gente ha preso consapevolezza delle disastrose condizioni in cui vive, ci sono persone che non solo si rendono conto che il re è nudo, ma che lo gridano ad alta voce. Un ruolo importante in questo senso è stato svolto dai media indipendenti.
Considereremo la nostra missione compiuta, però, solo quando vedremo avviato un procedimento penale nei confronti dei veri responsabili del genocidio e quando le vittime che hanno sofferto in Ossezia nel 1992 verranno riconosciute tali, così come verrà riconosciuto il loro diritto a ricevere un risarcimento. Quanto tempo ci vorrà dipende non solo dalla Russia, ma anche dalla comunità internazionale. È necessario l’intervento del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ma cercare di attirare l’attenzione della comunità internazionale, completamente assorbita dalle questioni cecena e georgiana, è un compito davvero ingrato
Qual è la situazione relativa ai risarcimenti?
Esiste una legge "Sulle deportazioni forzate" che prevede un meccanismo di compensazioni, e a questa categoria sono accostate, in Russia, le vittime del genocidio.
Invece di chiamare le cose con il loro nome, lo Stato, attraverso il Governo, ha però emesso anche un decreto dal titolo "Sul sostegno statale ai cittadini privati dell’abitazione in seguito al conflitto del ’92", che riduce il risarcimento a un rimborso per la perdita dell’abitazione. Ma anche con questi documenti alle vittime non è concesso riavere i propri diritti e i propri beni.
Per quello che riguarda il conflitto del ’92, sugli organi di stampa internazionali non esiste quasi informazione. Sono in pochi a sapere persino che un conflitto abbia avuto luogo. Perché una tale lacuna informativa, un tale silenzio?
In parte ho già risposto alla domanda: gli avvenimenti in Cecenia, Georgia, e ancora prima in Nagorno Karabakh, per non parlare dell’epocale dissoluzione dell’Unione Sovietica, hanno oscurato quanto accadeva su questo microscopico pezzo di terra.
Qual è la situazione attuale del Prigorodnyj Rajon?
Se guardiamo al Prigorodnyj Rajon come a un territorio su cui vivono delle persone, allora possiamo paragonarlo a un territorio devastato da un uragano.
Le persone a cui è stato consentito di tornare vivono come in attesa del prossimo uragano; non esiste un’attività economica o una vita vera e propria, si parla solo di sopravvivenza, in mancanza di altre alternative.
In una situazione tale per cui in Ossezia gli effettivi responsabili del genocidio vengono onorati come eroi, e i beni sottratti alle vittime sono considerati trofeo di guerra, le persone, ex vittime, si comportano con diffidenza e molti preferiscono condurre una vita più misera, ma relativamente più sicura in Inguscezia.
Come sono i rapporti fra le autorità ingusce e quelle ossete?
L’Ossezia, in silenzio, testardamente e con grande successo, porta avanti una politica che nega a un enorme numero di esiliati l’accesso al luogo in cui prima vivevano.
Le autorità dell’Inguscezia fanno ampia dimostrazione di attività a questo proposito di fronte ai propri cittadini sfoggiando ridicole dichiarazioni pubbliche, ma nello stesso tempo sono occupati dal problema del terrorismo e dalla professione di lealtà alle autorità federali.
L’espressione "né pace né guerra" calza a pennello per descrivere i rapporti fra le due Repubbliche.
E fra i due popoli?
Qui la questione è più complessa. Prima del 1992 il confronto fra le due etnie si percepiva a livello di vita quotidiana, ma non era niente di più che il confronto fra molti popoli che vivono accanto o insieme. Quasi la metà della popolazione dell’Ossezia del Nord, tra l’altro, etnicamente non è osseta.
Il veleno nei rapporti fra i due popoli è stato iniettato da persone che hanno sfruttato la mappa del territorio nazionale per il raggiungimento di obiettivi bellici e politici. Questo veleno ha paralizzato l’interazione fra i due popoli che per molte cose sono imparentati e che in passato non avevano mai avuto scontri.