Allargamento europeo: il paradossale destino della Macedonia del Nord

Il percorso europeo della Macedonia del Nord si sta strasformando in una farsa ed i suoi cittadini rischiano di pagarne drammatiche conseguenze. Una ricostruzione passo per passo

07/07/2022, Paolo Bergamaschi -

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Skopje - © S-F/Shutterstock

La decisione del Consiglio europeo del 23 giugno di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’Ue rappresenta per il governo di Kiev una boccata di ossigeno in un periodo cupo e drammatico della storia travagliata di questo Paese. Per molti nel vecchio continente l’adesione all’Unione costituisce un sogno, un punto di arrivo per entrare a fare parte di un progetto che garantisce pace, stabilità e prosperità. Contemporaneamente, tuttavia, nella stessa riunione il Consiglio ha chiuso gli occhi sui sei stati dei Balcani occidentali che attendono da tempo un segnale inequivocabile da Bruxelles che il processo di allargamento non è interrotto.

Per uno di questi, in particolare, la prospettiva di adesione si è trasformata nel tempo in un vero e proprio incubo. Parliamo della Macedonia del Nord. Il governo di Skopje aveva presentato domanda di adesione nel 2004 ottenendo l’anno successivo una risposta positiva alla candidatura. Poi più nulla fino al 2018. Il processo negoziale che porta all’ingresso di un Paese nell’Ue è estremamente complicato. Bisogna soddisfare criteri politici, economici e normativi passando attraverso dettagliate e, a volte, pignole trattative sulle politiche europee spalmate su trentacinque capitoli, che toccano i diversi campi di competenza dell’Unione, la cui apertura e chiusura è decisa per ognuno all’unanimità dai 27 Paesi Membri. Quasi una giungla in cui si rischia di perdersi o essere vittima di agguati se non si tengono i nervi saldi e non si mantiene la barra dritta.

La prima imboscata per Skopje è venuta dalla Grecia che da subito ha bloccato l’apertura dei negoziati di adesione fino a che non fosse risolto il problema del nome dello stato che all’epoca non contemplava l’indicazione geografica. Il termine "Macedonia" per Atene costituiva un furto di storia inaccettabile e una potenziale rivendicazione territoriale. Per anni l’Europarlamento ha sottolineato che il processo di allargamento non può divenire ostaggio di questioni bilaterali; per anni la Commissione europea ha raccomandato l’apertura dei negoziati. Nulla da fare, il veto greco era insormontabile. Fino al 2018 quando a Prespa il primo ministro greco Alexis Tsipras e quello macedone Zoran Zaev firmano lo storico accordo che mette ufficialmente fine alla controversia.

Tutto risolto, dunque? Niente affatto. Tocca a Macron adesso mettersi di mezzo chiedendo una revisione radicale della metodologia del processo di allargamento per renderlo più efficiente e trasparente. Arriviamo al 2020 quando anche questo ostacolo viene superato ridisegnando le tappe dei negoziati.

E’ il momento per il Consiglio di definire il mandato sulla cui base giuridica i tecnocrati europei devono aprire le trattative con Skopje. Di solito una pura formalità. Ma a questo punto è la Bulgaria a fare la voce grossa ponendo il veto. Sofia si oppone al riconoscimento della lingua macedone che considera un dialetto bulgaro, chiede che nella costituzione macedone si faccia riferimento alla minoranza bulgara (ma non accetta di concedere lo stesso trattamento alla minoranza macedone di casa propria nonostante una sentenza della Corte europea per i diritti umani) e nega l’esistenza della nazione macedone prima della Seconda guerra mondiale considerandola fino ad allora come parte della storia bulgara. Alla fine per superare l’impasse alla presidenza di turno francese dell’Ue non resta che fare proprie le condizioni imposte dalla Bulgaria.

Adesso la palla è nel campo della Macedonia del Nord che ancora una volta sarà chiamata a mettere in discussione la propria identità nazionale. Nel frattempo si è risolta un’altra grana che vedeva la Macedonia del Nord contrapposta, questa volta, alla Serbia, non sul piano politico ma su quello ecclesiale. La disputa verteva sull’autocefalia, cioè l’indipendenza, della propria chiesa ortodossa rispetto a quella serba. Dopo una lunga diatriba i due patriarchi pochi giorni fa hanno finalmente trovato l’accordo.

A Skopje intanto c’è chi parla di "etnocidio". Se fossi un macedone anch’io comincerei a dubitare della mia identità. Più che un processo di allargamento quello dell’Ue sembra trasformarsi in una penosa seduta psicoanalitica alla quale i macedoni sono obbligati a sottoporsi per capire quello che secondo gli psicoterapeuti di Bruxelles dovrebbero essere.

Le proteste

Lo scorso 24 giugno il parlamento bulgaro ha votato a favore della bozza di compromesso proposto dalla presidenza francese del Consiglio dell’UE. Ma resta la contrarietà di ampie fette della politica macedone, in particolare – ma non solo – l’opposizione che sta cavalcando la questione in chiave antigovernativa. Dallo scorso fine settimana sono in corso, ogni sera, proteste di piazza. A ieri diversi media davano un bilancio pesante: 47 poliziotti feriti, di cui gravi, e 12 feriti tra i manifestanti. Il video delle proteste , girato da Radio Free Europe la sera del 6 luglio.

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