Filippo di Edimburgo nell’isola dei Feaci
Il principe Filippo, duca di Edimburgo, nacque a Corfù, nella dimora estiva della famiglia reale ellenica Mon Repos. Per una combinazione del destino, i suoi funerali si sono svolti nella Cappella del Castello di Windsor che è dedicata allo stesso santo della chiesa in cui era stato battezzato a Corfù, quasi un secolo prima: San Giorgio
Ora che riposa in pace nella cripta del Castello di Windsor, può essere interessante fare un salto all’indietro di cento anni per rivisitare i luoghi incantevoli e le circostanze straordinarie in cui vide la luce il principe Filippo. Siamo stati abituati a vederlo girare il mondo per presenziare ad eventi mondani e cerimonie ufficiali sempre abbigliato nella sua alta uniforme militare o in impeccabili completi londinesi, tagliati su un fisico prestante anche in tarda età, alto, coi tratti del volto decisamente nordici. Eppure Filippo, duca di Edimburgo, è nato sulle rive del Mediterraneo, tra le calde acque di un’isola greca: Corfù.
Questo suo curioso dettaglio biografico mi era balzato agli occhi un paio d’anni fa per caso, mentre mi trovavo in questa che è la più occidentale delle grandi isole elleniche. Stavo uscendo da una lunga visita alla tenuta e al palazzo di Mon Repos: oggi è un grande parco pubblico assai ben curato, che sorge in un luogo chiamato Paleopoli, perché vi sorgeva una delle più importanti città-stato della Grecia antica. A quel tempo gli abitanti di Corinto, provetti navigatori di stirpe dorica, dopo aver diretto le prore ad ovest e imboccato il mar Ionio, avevano fatto dell’isola di Corcira (Corfù allora si chiamava così) uno scalo strategico per l’espansione verso l’Occidente e l’Italia. Vi fondarono un abitato, arricchitosi nei secoli di templi ed edifici pubblici, sulla penisoletta di Kanoni (che, appunto, culmina in un vetusto cannone ancora rivolto verso le minacce provenienti dal mare), la quale aveva ai suoi lati due porti ben protetti. È su questa penisola che si estende la tenuta che vide nascere il principe Filippo.
La mia escursione a Paleopoli si era svolta sotto un onnipresente solleone. Benché avessi potuto di tanto in tanto passeggiare all’ombra delle grandi alberature del parco, i miei occhi erano stanchi, quasi abbacinati dalla luce del primo pomeriggio, quando, con distratta curiosità, levai lo sguardo al di sopra del portale in ferro di Mon Repos. Vi scorsi una elegante, sobria iscrizione. Era dipinta in caratteri dorati su un campo blu e bordeaux a forma di scudo, come sorretta da due bianche colonne a imitazione dello stile dorico. Recitava semplicemente, in greco e in inglese: "Il principe Filippo, duca di Edimburgo, è nato qui nel 1921".
Al momento mi parve solo un curioso dettaglio biografico, peraltro non raro nelle movimentate e cosmopolite vicende delle casate aristocratiche; solo che poi a quel dettaglio mi è capitato di collegarne molti altri. Chi si appassiona alle vicende dei reali britannici forse sa che, prima di convolare a nozze con la futura Regina Elisabetta II, Filippo aveva goduto dei titoli prestigiosi di "Principe di Grecia e di Danimarca". Questo perché effettivamente si trovava, per diritto di nascita, nella linea di successione al trono di entrambe le monarchie (tanto per dire: suo nonno era il secondo re della Grecia moderna, Giorgio I). Dunque non c’è da meravigliarsi se il neonato Filippo vide la luce, quasi un secolo fa, in una delle dimore estive predilette della famiglia reale ellenica, appunto Mon Repos.
È vero, tuttavia, che in seguito Filippo ha rinunciato a questi titoli originari in occasione delle sue nozze regali. Inoltre non parlava quasi una parola di greco, anche perché era stato costretto ad abbandonare il regno dopo appena diciotto mesi di vita al seguito dello zio, re Costantino I di Grecia, quando costui aveva abdicato nel 1922. E poi non vi è tornato se non molto raramente. E però aveva fatto in tempo ad essere battezzato a Corfù: come era ovvio, visto che apparteneva alla dinastia regnante, il sacramento gli venne impartito secondo il rito greco ortodosso. Da ciò la necessità, sempre in occasione dell’assunzione del ruolo di principe consorte, di passare alla chiesa anglicana, al cui capo è appunto la regina Elisabetta.
La chiesa dove avvenne quell’ormai lontano battesimo è ancora in piedi ed è perfettamente conservata. E tuttavia chi la vede per la prima volta a tutto pensa fuorché a un edificio cristiano. Sorge alle pendici della fortezza bizantina e poi veneziana di Corfù, posta su quella che sembra quasi un’isoletta rocciosa e scoscesa, unita con un ponte al centro storico del capoluogo. La chiesa sorprende poiché appare come la copia perfetta di un tempio greco classico, con un possente colonnato esterno di ordine dorico, ed è dedicata a San Giorgio.
Era questo del resto lo stile in voga all’epoca della sua costruzione (1840), nelle arti figurative così come in architettura e in letteratura, e che prende il nome di neoclassicismo. Alle ville neoclassiche della campagna veneta si rifà non a caso anche l’edificio residenziale della tenuta di Mon Repos, che è del 1831. Ero riuscito ad entrare nelle sue stanze un’oretta prima che chiudesse ai visitatori, lasciando il resto del parco ai radi podisti che, a torso nudo per il gran caldo, battevano la ghiaietta coi loro passi pesanti, unico rumore cadenzato che si avvicinava e subito si allontanava nel silenzio postmeridiano della natura. Infatti, se tutta l’isola di Corfù è molto fertile, in questo parco la vegetazione esplode in un tumulto ed in una varietà di forme tali da far sognare ogni lettore dell’Odissea. Perché? Perché pare che sia davvero Corfù, come sostenevano già gli interpreti più antichi del poema, l’isola del popolo leggendario dei Feaci, indicata nel poema come Scherìa. Lì, re Alcinoo accolse e rifocillò Ulisse giunto naufrago in una splendida reggia circondata da un giardino incantato, descritto da Omero con parole che potrebbero dirsi anche oggi di Mon Repos: ‘Alti alberi là dentro, in pieno rigoglio, peri e granati e meli dai frutti lucenti, e fichi dolci e floridi ulivi; mai il loro frutto viene meno o finisce, inverno o estate, per tutto l’anno: ma sempre il soffio di Zefiro alcuni fa nascere e nel frattempo altri li rende maturi…’.
Mentre Alcinoo con la famiglia e tutti gli anziani consiglieri ospitavano a banchetto l’illustre ospite in quella che era un po’ una ‘Windsor’ dell’epoca, la sua figlia giovinetta, la principessa Nausicaa, che lo aveva raccolto in spiaggia dove era andata con le ancelle a giocare a palla, se lo mangiava con gli occhi – quell’uomo più maturo, ma prestante e affascinante, venuto da lontano – in uno degli innamoramenti rimasti più delicatamente inespressi della poesia mondiale.
Oggi la villa di Mon Repos contiene un museo, che è in parte archeologico e in parte arredato con l’eleganza e il mobilio che doveva avere ai tempi in cui fu precipitosamente abbandonato dalla famiglia reale. Ciò nonostante, il suo nome appare sempre giustificato: entrando in quegli alti, ombrosi, naturalmente freschi ambienti, si tira un sospiro di sollievo dopo tanto fulgore, lucore e calore dell’esterno. Davvero, un gradevole "Mio Riposo".
La stessa, lusinghiera impressione la villa dovette fare ad un personaggio ancora più illustre di Filippo, se non di Ulisse, che la visitò alcuni decenni prima di quel lontano 1921: era l’imperatrice d’Austria Elisabetta, universalmente nota come "Sissi", consorte del ben noto Francesco Giuseppe. Tale fu l’entusiasmo per l’isola e per le sue bellezze, per un clima e una natura che parevano benedirla, che, quando la bella e triste imperatrice volle crearsi un rifugio lontano dalla corte viennese che tante amarezze le aveva inflitto, comprò a Corfù una vecchia villa poco più a sud di Mon Repos, la abbatté e trasformò, dedicandola alla memoria non di Ulisse, ma di Achille: l’altro eroe che lei, provetta cavallerizza e donna risoluta e indipendente, tanto venerava. E nacque così l’Achilleion, un edificio talmente suggestivo e ricco di memorie classiche, di sculture copie dell’antico (ad esempio di quelle della Villa dei Pisoni, ad Ercolano, oggi a Napoli) e di simili creazioni originali di artisti di fine Ottocento, da esser divenuto il luogo più visitato di Corfù.
In realtà non si capisce questa corrispondenza di amorosi sensi tra un isola e un’intera classe dominante europea a cavallo tra Otto e Novecento se non si ricordano alcune cose fondamentali. Quando Elisabetta d’Austria visitò Mon Repos nel 1861, nel palazzo risiedeva l’Alto Commissionario inglese presso lo ‘Stato Unito delle isole Ionie’: una sorta di benevolo protettorato britannico in quello che fu il primo stato greco indipendente dell’età moderna.
Corfù infatti non è un’isola qualsiasi delle centinaia che circondano la Grecia. Anzitutto, è l’unica terra ellenica a non essere mai stata conquistata dall’impero ottomano. Mentre per circa quattro secoli, da Costantinopoli ad Atene, da Salonicco a Creta e Rodi, quello che era stato il mondo classico-ellenistico, e poi romano d’Oriente o bizantino, rimaneva sottoposto alla volontà del sultano, rischiando di smarrire o annacquare in quel grande crogiuolo multietnico e multiculturale a guida islamica gran parte della propria civiltà bimillenaria, i soli Corfioti restarono legati al resto dell’Europa, perché la loro isola fu nel frattempo saldamente tenuta nelle mani della Repubblica di Venezia: benché, come lamentava un’attempata commerciante di tessuti con cui mi sono fermato un pomeriggio a chiacchierare nei vicoli di Corfù, la ‘Venetocrazia’ non fosse poi tanto meglio della ‘Turcocrazia’; in quanto, aggiungeva – magari per una precisa memoria trasmessa per generazioni di madre in figlia – i Veneziani sfruttavano duramente i locali, imponevano loro il ‘fòros’ (tributo), ecc. ecc.
Comunque, quando la Serenissima crollò sotto l’invasione napoleonica, anche le sette isole ioniche, tra cui la principale era Corfù, caddero nelle mani dei francesi, che la persero per un breve periodo, e poi la ripresero. Ma già nel 1800 era nato un primo stato semi-indipendente ‘dell’Eptaneso’ (delle Sette Isole), e dopo la vittoria su Napoleone un trattato tra gli alleati vincitori costituì appunto lo ‘Stato Unito delle Isole Ionie’ (1815), che fu il primo territorio governato dagli stessi greci dopo secoli di dominio straniero.
Dunque Corfù rimase sempre il solo lembo di madrepatria greca politicamente legato al resto d’Europa: e perciò visitabile, frequentabile, prediletta dalle sue classi colte che, ricche di studi classici che però rimanevano essenzialmente libreschi, vi trovarono finalmente un contatto diretto e concreto con un mondo che a partire dalla metà del Settecento, cioè dalla riscoperta di Pompei ed Ercolano, fu pian piano vagheggiato e quasi resuscitato dalla cultura europea.
Avevo avuto a mala pena il tempo di ripensare a tutte queste cose mentre visitavo gli interni di Mon Repos, quando ecco che il ferreo e precoce orario di chiusura del museo mi reimmerge nel giardino incantato, ove proseguo ad incamminarmi: la mia visita non è finita.
Passata l’ora dei podisti, inizia quella delle ‘Nausicae’ moderne, delle ragazze, cioè, ma anche dei ragazzi dell’isola, che da soli, a coppie o in piccola comitiva attraversano il parco con le loro borse da spiaggia per andare a bagnarsi nelle acque cristalline della penisola. La vegetazione è troppo fitta perché io possa scorgere le rive sottostanti. Però ne ascolto, appena attutito dalle chiome arboree, il gaio affollamento, le risate, le risacche ondose, i richiami di voce delle moderne coetanee di Nausicaa: anche se nessun Ulisse ne sarà riscosso dal torpore. Discendo così tra le colonne ancora solenni e possenti, benché tronche, del tempio dorico della Paleopoli: stavolta autentico, non un’imitazione. Ora l’edificio è quasi soffocato dal bosco, ma una sua estrema parte mancante sembra essere franata verso il mare, sul quale un tempo lontanissimo doveva stagliarsi, integro e superbo.
Filippo, come già detto, godette per pochissimo tempo delle delizie di Mon Repos, delle quali certo non avrà potuto serbare alcuna consapevole memoria. La sua famiglia regale fu travolta dal disastro politico e militare in cui si risolse il conflitto greco-turco del 1919-1922, e di cui il padre del principe, Andrea, quale ufficiale allora in carica, venne considerato tra i responsabili.
Non tornò mai più a vivere in Grecia, ma il suo destino rimase sempre legato al mare. Graduatosi ufficiale nel Royal Naval College di Dartmouth, servì nella marina britannica dove combatté, anche nelle acque greche, nel corso della Seconda guerra mondiale. Al culmine di una brillante carriere militare ottenne il titolo onorifico di Alto Ammiraglio.
Per una combinazione del destino, i suoi funerali si sono svolti sabato 17 aprile 2021 nella cappella di Windsor che è dedicata allo stesso santo della chiesa in cui era stato battezzato a Corfù, quasi un secolo prima: Saint George.