Testimonianza di guerra

A distanza di sei mesi dagli eventi bellici tra Georgia e Russia, una testimonianza. Irina, da 14 anni interprete in Italia, ritorna con la memoria a quei giorni per raccontarci la sua esperienza

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Foto di: Operazione Colomba

Irina è di Tbilisi e lavora come interprete in Italia da 14 anni. Ogni estate, nel mese di agosto, torna in Georgia per trascorre le ferie con la sua famiglia. Lo scorso agosto è stata testimone del conflitto tra Georgia e Russia.

Quando è arrivata a Tbilisi?
Sono arrivata il 5 agosto, il 6 sono andata a trovare parenti e amici in città e il giorno dopo sono partita in treno, con i miei quattro nipoti, per Batumi, località balneare al confine con la Turchia.

Com’ era il "clima" il giorno in cui siete partiti?
Sapevo che la situazione tra Russia e Georgia, dopo il meeting di aprile, in cui il nostro paese ha chiesto l’adesione alla NATO, era molto tesa, ma certo non mi aspettavo un’aggressione militare russa. Se solo ci fossero state anche minime avvisaglie di guerra non sarei partita con i miei nipoti per le vacanze.

Quando avete appreso la notizia degli scontri in Ossezia del Sud?
Una volta arrivati a Batumi, alle cinque di pomeriggio del 7 agosto, guardando la tivù.

Che notizie riportava la televisione?
Parlava di scontri nella regione di Tskhinvali, ma la cosa non mi preoccupava più di tanto. Le provocazioni russe in Abkhazia e Ossezia del Sud, le due regioni separatiste, si susseguivano da aprile e mi ero in qualche modo abituata. Era una sorta di "buongiorno" che mi accompagnava ogni mattina guardando la tivù georgiana via satellite.

A cosa si riferisce esattamente quando parla di provocazioni?
Alle violazioni dello spazio aereo georgiano da parte di aerei militari russi, all’ingresso di truppe militari russe in Abkhazia con la scusa di sistemare il tratto di ferrovia in territorio abkhazo …
Torniamo alla sera del 7 agosto…
Mentre ascoltavamo le notizie ho ricevuto una telefonata da Tbilisi. Era mia sorella che mi chiedeva come fosse la situazione a Batumi. Lì era tutto apparentemente tranquillo, ma anche parlando con la signora che ci aveva affittato l’appartamento si incominciava a percepire una certa preoccupazione. A mezzanotte ho ricevuto di nuovo una chiamata di mia sorella. Allora ho capito che erano iniziati veri e propri scontri con vittime e feriti. Il giorno dopo, Batumi, in agosto sempre piena di turisti, era vuota. Le spiagge e i parchi erano deserti… Nel pomeriggio la popolazione locale ha incominciato a radunarsi sulle piazze. Gli uomini erano già pronti ad arruolarsi nell’esercito per difendere il paese. La guerra era di fatto iniziata, i russi erano entrati in Georgia con l’Armata.

Lei cosa decide di fare?
Io ho cercato di agire con prudenza. Non volevo spaventare i miei nipoti, ma essendo adolescenti si rendevano conto loro stessi della criticità della situazione. I russi stavano infatti avanzando sia in Abkhazia sia in Ossezia del Sud.
Il giorno dopo decidiamo di andare a Sarfi, l’ultimo paese georgiano prima del confine turco, a 15 chilometri da Batumi. Appena arrivati lì, un amico di mio nipote, che era con noi, riceve una telefonata da sua zia. La donna, che lavora al municipio della città, ci intima di tornare subito a Batumi perché ha ricevuto informazioni che Sarfi sarà bombardata. Tra Batumi e Sarfi c’è infatti una base militare georgiana, ex sovietica, di cui i russi conoscono l’esatta ubicazione. Siamo tornati in fretta e furia a Batumi. Il 9 sera la città è al buio. Io intanto mi ero procurata le chiavi della cantina per rifugiarmi lì in caso di bombardamenti. Quella notte non abbiamo chiuso occhio dalla paura.

E il giorno dopo cosa succede?
La mattina, tornata la luce, apprendiamo dalla televisione che i russi dall’Abkhazia erano scesi fino a Poti bombardando diverse navi nel porto. Dall’Ossezia del Sud, superato il confine amministrativo, procedevano verso Gori dove c’è la più grande base militare georgiana. Mia sorella era spaventatissima e pensava all’eventualità che io e miei quattro nipoti riparassimo all’estero. Io ero indecisa sul da farsi, pensavo che il conflitto poteva essere localizzato e la situazione tornare lentamente alla normalità. Ma mi sbagliavo. Il 10 notte, quando i russi hanno bombardato Sarfi, la mia paura è cresciuta. La padrona di casa e la sua famiglia avevano deciso di lasciare Batumi e di riparare in campagna. Si temeva che i carri armati russi arrivassero da un momento all’altro in città.

L’indomani partite anche voi?
Sì, dopo aver parlato al telefono con mia sorella, decidiamo di tornare a Tbilisi. C’era ancora il collegamento ferroviario, ma non abbiamo preso il treno, temendo che i russi bombardassero la ferrovia. Di buon’ora siamo saliti su una marshrutka piccolo autobus senza neanche aver fatto colazione. L’idea era di arrivare fino a Gori, dove mio cognato ci avrebbe raggiunto in macchina.

Mappa Georgia: Osservatorio Balcani e Caucaso

Qual era l’atmosfera all’interno della marshrutka?
La gente era t[]izzata. C’era una famiglia armena con un bimbo di appena un anno, giunti a Batumi perché il bambino era linfatico e aveva bisogno dell’aria del mare… si sono trovati in mezzo a uno scenario di guerra senza aver fatto neanche un giorno di vacanza.
Siccome la maggior parte dei passeggeri non aveva fatto colazione decidiamo di fare una sosta dopo avere attraversato la galleria che segna il confine tra la parte occidentale e quella orientale del paese. Ci fermiamo in un posto, solitamente pieno di gente e di contadini che vendono frutta, verdura e cibo, ma non troviamo niente da mangiare. Proseguiamo così alla volta di Khashuri.
All’inizio della città c’è una stazione di servizio con un ristorante e un piccolo mercato. Mentre sto per sedermi al tavolo del ristorante ricevo una telefonata di mio cognato che in tono visibilmente scosso e alterato mi chiede dove ci troviamo e mi ordina di non muoverci da lì.
Poi urlando come una furia, quasi in preda ad uno shock, mi dice di passargli l’autista della marshrutka. Credevo fosse impazzito, era la prima volta che sentivo mio cognato parlare in quel modo. Le truppe russe stavano entrando a Gori e lui temeva che se fossimo arrivati là saremmo finiti nel bel mezzo dei bombardamenti.
Lui si trovava a est della città, mentre noi stavamo arrivando a Gori da ovest.

Cosa decide di fare l’autista?
L’autista era incredulo e ripeteva a mio cognato che lui doveva accompagnare i suoi clienti a Tbilisi. Sentita l’opinione di tutti i passeggeri, proseguiamo.
Ma appena superata Khashuri la marshrutka è costretta a fermarsi perché la strada era stata già bloccata dalla polizia stradale georgiana. Un altoparlante ripeteva "Non proseguire verso Gori, la città è occupata".
Scendo dal pulmino e vedo in lontananza un’enorme nuvola di fumo che avvolge la città e di fronte a mia nipote, che stava per attraversare la strada per comprare del cibo, un carro armato.
Dopo cinque minuti di caos, con autobus e macchine che cercano di invertire la direzione di marcia, vedo altri carri armati avanzare velocemente. Uno di questi, scivolando sull’asfalto, sfonda le mura di un cortile. In quell’istante ho veramente pensato che fosse giunta la mia ora. Il carro era a un metro e mezzo da me. Abbraccio i miei quattro nipoti e iniziamo tutti a piangere in preda al panico. Eravamo come impazziti. Solo quando ho capito che si trattava di carri armati georgiani in ritirata che fuggivano dal fuoco russo sono tornata in me. Ho parlato con un soldato il quale ci ha consigliato di andare via da lì perché i russi stavano avanzando.

Com’è finita questa brutta esperienza?
L’autista è stato costretto a tornare indietro. Io però non mi sentivo sicura a Batumi e strada facendo pensavo a dove potessimo rifugiarci. Mio cognato, con cui ero in contatto telefonico, ha chiamato alcuni parenti a Kutaisi e loro ci hanno accompagnati in un piccolo paese in campagna dove vivono altri componenti della famiglia. Siamo stati nascosti lì per più di due settimane. Sono stati giorni molto tesi anche quelli, temevamo che i soldati russi invadessero Tbilisi. Siamo rientrati in città solo alla fine del mese in aereo da Batumi dal momento che i russi avevano fatto saltare la linea ferroviaria.

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