Una battaglia di idee: la tolleranza e lo spazio digitale dell’Azerbaijan

Il web e Internet hanno aumentato o diminuito il grado di tolleranza nel paese? Chai Khana ha intervistato una serie di intellettuali in cerca di una risposta

01/09/2021, Heydar Isayev -

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Illustrazione di Fidan Akhundova/Chai Khana

(Pubblicato originariamente da Chai Khana il 10/06/2021)

Il 28 aprile un controverso blogger di nome Fuad Rasulzadeh è stato duramente picchiato da un gruppo di persone. L’incidente ha trovato ampio spazio sui social media azeri, soprattutto dopo che gli aggressori hanno pubblicato un video in cui affermavano di aver picchiato il blogger per un tweet che derideva un soldato azero caduto in guerra.

I post e i commenti su Internet che portano a scontri fisici non sono purtroppo una novità per gli azeri, in particolare per coloro che si impegnano attivamente nella vita pubblica, e specialmente quando mettono in discussione valori comuni della propria società, come il patriottismo.

L’attivista Kanan Gasimli l’ha sperimentato in prima persona cinque anni fa, quando è stato picchiato per un post su Facebook sul nazionalismo. “Era una caricatura raffigurante un annuncio che diceva ‘la madrepatria è in vendita’ e un uomo che indicava l’annuncio e urlava ‘la m dovrebbe essere maiuscola’”, ricorda. "Volevo semplicemente evidenziare come coloro che affermano di prendersi cura della nazione dovrebbero parlare dei veri problemi della nazione, non di cose astratte", sottolinea Kanan.

La sociologa Sanubar Heydarova ritiene che la maggioranza cerchi di sopprimere le visioni alternative per paura che le norme e i valori che considerano sacri vengano messi a repentaglio. Quando si imbattono in un’opinione che considerano deviante, individuano l’autore, lo mettono all’indice e lo puniscono.

Sanubar si è trovata in minoranza durante la guerra, dopo aver pubblicato su Facebook un collage di foto di soldati armeni e azeri caduti. Il collage scorreva in video con una didascalia che affermava che la guerra ha ingannato e ucciso entrambe le parti. In risposta, molti utenti dei social media hanno lasciato commenti denigratori sulle piattaforme social invitando i Servizi di sicurezza dell’Azerbaijan a indagare su di lei.

Nonostante la sua esperienza, Sanubar sostiene che i social media hanno aumentato il grado di tolleranza nella società azera. "Più e più volte la gente si trova esposta anche ad opinioni diverse dalle loro", aggiunge, "magari non prendono parte alle discussioni, ma anche mentre visualizzano e leggono, iniziano ad essere più tolleranti".

Altay Goyushov, uno storico, apprezza l’impatto dei social media sul "costringere le persone ad abituarsi alla diversità dei pensieri".

"Aiutano a dimostrare il fatto che fanno parte della nostra società anche individui di valore con idee alternative; la maggioranza conservatrice ha dovuto accettarlo, che piacesse o no", dice, sostenendo che complessivamente la società si trova su una traiettoria diretta verso un modo di pensare più progressista dagli anni ’90.

Non tutti però sono d’accordo.

Parviz Azimov, specialista di marketing e social media, ritiene che ci sono stati due periodi distinti nei social media azeri. Il primo è stato la nascita dei social media fino al 2013-2014 circa, quando le piattaforme non erano troppo affollate ed erano dominate dai progressisti, dando l’impressione che i social media stessi fossero progressisti. "Ma da allora, centinaia di migliaia di persone si sono riversate sui social network e hanno cambiato gli equilibri a favore dei conservatori", sottolinea Azimov. 

Vusal Nabiyev, giornalista e sedicente conservatore, afferma che i social media non hanno reso le persone meno conservatrici. Piuttosto, sostiene, li hanno semplicemente resi più cauti nel parlare di alcune questioni. “Molti dei miei amici e io abbiamo iniziato semplicemente a non commentare questioni a cui altrimenti ci saremmo opposti. Abbiamo paura di essere etichettati”, dice.

Determinare il livello di tolleranza di una società può essere difficile, specialmente in un paese come l’Azerbaigian, dove sono pochi i sondaggi ad indagare convinzioni e opinioni dei cittadini. Le tendenze dei social media possono essere difficili da analizzare, anche se ci sono alcuni argomenti – come soldati caduti, domande sul patriottismo e LGBTIQ+ – sulle quali sembra possibile individuare delle tendenze chiare.

Un sondaggio Gallup condotto tra il 2006 e il 2017 indica che gli azeri si considerano tolleranti: nell’ultimo sondaggio, il 60% ha affermato che il paese è un luogo accogliente per i vari gruppi etnici, rispetto al 33% nel 2006-2008. Tuttavia, un terzo sondaggio ha dipinto un quadro completamente diverso per i cittadini LGBTIQ+: il Rainbow Index 2020 di ILGA-Europe ha rilevato che l’Azerbaijan è la società più omofoba in Europa, con un punteggio di 2 su 100.

Un buon indicatore, secondo Zaur Gurbanli, blogger, avvocato e politico del partito REAL, è la politica del governo nei confronti di Internet.

Gurbani sottolinea che negli anni ’90, prima dell’avvento degli smartphone e dei social media, le persone avevano accesso a punti di vista molto più vari. “L’opposizione era particolarmente forte, avevano giornali con centinaia di migliaia di copie pubblicate ogni giorno. Oggi alcuni di quei giornali non esistono nemmeno più”, ricorda.

A suo avviso attualmente c’è molto meno spazio per le che contrastano quelle del partito di governo. I media tradizionali dell’opposizione sono stati in gran parte chiusi e quelli che operano in internet sono stati bloccati.

Freedom on the Net 2020, la scorecard di Freedom House sulle libertà globali di Internet, ha rilevato che l’Azerbaijan ha una rete Internet "non libera". Il paese ha ottenuto 38 punti su un massimo di 100, significativamente peggio rispetto al rapporto del 2011, in cui l’Azerbaijan aveva ricevuto 48 punti e lo status di "parzialmente libero".

Anche l’Azerbaijan Internet Watch, un organismo di vigilanza locale sulla libertà di Internet, riporta che all’interno del paese la libertà di Internet è in declino negli ultimi anni. “Dal blocco dell’accesso ai siti Web di notizie e ammettendolo in pubblico, le autorità hanno di tanto in tanto bloccato l’accesso a piattaforme e applicazioni di social media online come Skype, Viber e WhatsApp", si legge nel rapporto. Nel 2017 un tribunale di Baku ha deciso di bloccare i siti web di Meydan TV – il servizio azero di Radio Free Europe – e di diversi organi dell’opposizione.

Parviz Azimov sottolinea che tutte le libertà emergono grazie alle libertà politiche: più ampie sono le libertà politiche, più potenti sono le altre libertà. "La buona notizia è che, poiché alcune idee e argomenti progressisti non sono necessariamente politici, le persone possono sentirsi libere di discuterne, ma la situazione generale, in particolare con il blocco dei siti Web, limita l’accesso degli utenti a un’ampia varietà di pensieri", sottolinea.

"La politica delle istituzioni statali è quella di fare in modo che le masse siano conservatrici ed ubbidienti", sostiene Zaur Gurbanli. "Limitare le libertà di Internet serve anche a questo obiettivo".

Ma il filosofo Aghalar Garibov osserva che poiché Internet garantisce accesso anche ad altre informazioni, e non solo a quelle consentite dallo stato e prodotte dai media controllati dallo stato, permette la diffusione di nuove idee e valori tra le masse.  

Tuttavia, sottolinea, parlare di Internet come un fattore di aumento della tolleranza potrebbe essere fuorviante: “Ciò che chiamiamo progressista – ivi compresa  tolleranza, la libertà di pensiero e cose correlate – viene accettato solo fino a quando non supera le linee demarcate dalla classe dirigente. Internet può svolgere un ruolo, ma non dovremmo sopravvalutarlo.”

Per alcuni attivisti, il rischio che l’intolleranza manifestata sul web si riversi nella vita reale rimane una minaccia concreta.

Nei cinque anni da quando è stato attaccato per la ‘m’ minuscola, Kanan ha ridotto la sua presenza sui social media. Dice però che non è dovuto alle pressioni subite. Sottolinea che le persone si sentono libere di aggredire e picchiare coloro che hanno opinioni impopolari perché gli aggressori raramente vengono individuati e puniti dalle istituzioni preposte.

Nel caso del blogger, Fuad Rasulzadeh, gli uomini che lo hanno aggredito sono stati identificati come parenti del soldato descritto nel tweet, secondo un portavoce del ministero degli Interni. Le indagini – sempre secondo quanto dichiarato dal ministero, sarebbero in corso anche se non sono stati ancora effettuati arresti.

La legge dell’Azerbaijan prevede il reato di "insulto", che può avvenire anche con un post sui social media o un tweet. Di conseguenza, giornalisti e personalità dei social media possono essere detenuti e costretti a pagare una multa – o scontare fino a tre anni di carcere – per un articolo o un post ritenuto offensivo.

 

Traduzione a cura di Elena Mollichella

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