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Conclusioni del dossier sul trafficking
Abbiamo terminato il corposo dossier sul traffico di esseri umani nella regione balcanica con il seguente capitolo conclusivo. Rendiamo noto inoltre che il documento è stato raggruppato in un unico file in formato pdf, scaricabile dal nostro sito
Come il lettore avrà avuto modo di constatare dalla lettura dei materiali raccolti in questo dossier, il fenomeno del traffico di persone risulta piuttosto complesso e stratificato. Un fenomeno che solo di recente ha iniziato ad essere oggetto di discussione e essere inquadrato in aree di ricerca istituzionalizzate.
Ciò che ci eravamo proposti di mostrare con un dossier sul trafficking era innanzitutto la forte componente socio-economica del tema affrontato. Ci premeva che ne emergessero le linee di relazione con i problemi sociali che imprigionano i paesi in questione. Una forte relazione ci era sembrata essere quella tra il traffico di esseri umani e l’immigrazione, nella forma dei suoi impedimenti, nelle difficoltà, quando anche nell’impossibilità stessa, di movimento, dell’attraversamento delle frontiere.
Ciò nonostante non si voleva dimenticare di portare ad espressione le storie personali che consentono la collocazione del fenomeno nella particolarità balcanica. A questo si è rivolto più che altro il lavoro dei nostri corrispondenti dai Balcani. Dai loro rapporti e articoli è emersa la sensibilità al fenomeno così come viene percepito oltre Adriatico.
Particolarità degli articoli e delle interviste curati dai corrispondenti è la presentazione della rete del traffico nelle varie connessioni, ma soprattutto la considerazione della vittima del traffico.
Le difficili condizioni sociali ed esistenziali di buona parte dei paesi di cui ci siamo occupati risultano essere un fattore non trascurabile per comprendere l’esasperazione che accompagna la ricerca di una vita migliore, e che poi sfocia, come in molti dei casi presi in esame, in sfruttamento e prostituzione.
Su questo punto tuttavia si può notare, facendo una comparazione dei materiali pubblicati, la differenza di percezione del ruolo della vittima. Nell’intervista realizzata da Luisa Chiodi con Ada Trifirò si pone la vittima in un atteggiamento attivo anziché passivo. La vittima è interpretata come attrice/attore, consapevole quindi della scelta difficile che andrà a fare. Da questo punto di vista, la domanda che dovremmo porci è piuttosto la seguente: cosa spinge un essere umano così ostinatamente a tentare di lasciare il proprio paese?
Al contempo ci rendiamo conto della difficoltà di questa interpretazione, che se mal posta può presentarsi ad un giustificato detrimento del valore umano della vittima. Non di rado i media balcanici, così come alcune fasce di opinione pubblica intrise di cultura patriarcale e maschilista, tendono a relegare l’essere prostituta ad una scelta puramente personale e deliberata, sottraendone quindi la dimensione più ampia di carattere sociale ed economico. La vittima viene relativizzata e additata come moralmente corrotta e responsabile delle sue azioni e decisioni.
Tuttavia – dice Ada Trifirò si tratta "di vedere nella donna che si prostituisce non una pericolosa criminale ma una persona che porta con sé un’esperienza di vita travagliata, il desiderio di un futuro, la forza per tenere vivo un progetto esistenziale. È estremamente importante non dimenticare che molte donne non desiderano uscire dalla prostituzione, o in senso lato dalla tratta, perché quella condizione, per quanto difficile, offre loro qualche possibilità in più di pagare i propri debiti, di sostenere la famiglia lontana, di non incappare nella vendetta dei trafficanti e protettori, e forse anche di costruirsi il futuro sognato".
Questo prezioso punto di vista non sempre, però, viene ripreso dagli stessi operatori nei Balcani. La percezione che loro stessi offrono, riguarda la sofferenza e la coercizione alle quali la vittima è sottoposta. In ciò rileviamo uno scarto interpretativo, il quale anziché aprire una insolubile alternativa di percezioni del fenomeno, ci sembra possa porsi su un piano di complementarità, necessario a comprendere meglio le prospettive e le sfaccettature del tema trattato.
Ancora in riferimento alla vittima del traffico, il dossier mostra i lenti passi che la legislazione in materia sta movendo. Certamente il fenomeno così come lo abbiamo inteso ha una genesi piuttosto recente, tuttavia spesso la legislazione o è inesistente o inadeguata. In alcuni paesi dei Balcani si stanno facendo passi in avanti, soprattutto per via del fatto che il tema in questione risulta essere al centro delle agende internazionali rivolte alla lotta e alla prevenzione della criminalità. Tuttavia occorre tenere presente che non in rari casi la legislazione è carente sul versante della protezione delle vittime. Protezione che viene affidata a organizzazioni internazionali e locali.
Inoltre, dalle interviste realizzate emerge soprattutto l’assenza di dati precisi in grado di fissare l’entità del fenomeno. Esso è sì oggetto di studi, ma la sua mutevolezza e adattamento anche alle differenti condizioni economiche rendono difficile la raccolta di cifre attendibili sulle sue effettive dimensioni.
Si scopre in questo modo che il mercato di esseri umani oltre ad avere una dimensione internazionale si sviluppa in primo luogo a livello interregionale, i paesi balcanici vengono coinvolti sia come paesi di origine, di transito, ma anche di destinazione. Per far ciò le reti di connessione che realizzano il traffico sono costituite da ottime collaborazioni tra paesi un tempo in conflitto, il che avvalora ancora una volta quanto la fitta rete criminale sia in grado di sfruttare le crisi a proprio vantaggio e di far fronte ai cambiamenti delle condizioni economiche.
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