La SFOR vista dai Bosniaci
Il 2 dicembre si è conclusa ufficialmente la missione della SFOR in Bosnia Erzegovina. La forza militare a guida NATO sarà sostituita da una missione della Unione Europea, EUFOR. In questo commento "Cosa è stata per noi la SFOR", il settimanale sarajevese Dani traccia il bilancio di questi otto anni, visti dai Bosniaci
Di Faruk Borić, Dani, 10 dicembre 2004
Tradotto da: Martin Fontasch, per Osservatorio sui Balcani
Dossier: la missione della forza di stabilizzazione in Bosnia Erzegovina (16.12.1995 – 2.12.2004)
Cosa è stata la SFOR per noi
Mancavano 12 giorni perché il mandato raggiungesse l’ottavo anno. All’inizio di questo mese è terminata, quindi, la missione della SFOR in Bosnia Erzegovina. Ricordiamo quello che è stato fatto e – cosa ancor più importante – non è stato fatto, dalla metà di dicembre 1996 all’inizio di dicembre 2004
Radovan Karadžić ancora in libertà; 28 ricercati dal Tribunale dell’Aja catturati e tre morti nel tentativo di arresto; 40.000 chilogrammi di esplosivo, 180.000 granate e 16 milioni di pallottole sequestrate nella raccolta delle armi rimaste in circolazione; una guerra segreta contro il t[]ismo e Al Qaeda; il coinvolgimento di alcuni dei loro nel trafficking di donne; centinaia di incidenti stradali; la scoperta della rete di sostegno ai criminali di guerra; la riforma delle forze armate interne; mezzo milione di soldati che in nove anni hanno lavorato per garantire la pace e un ambiente sicuro… E’ questo il risultato della missione della SFOR in Bosnia Erzegovina, da poco conclusa.
Come è iniziato il tutto
Due giorni dopo la firma solenne dell’Accordo Fondamentale di Pace a Parigi il 14 dicembre 1995, la NATO ha dato il via alla sua più grande operazione, denominata Joint Endeavour (Impegno Comune). Una forza multinazionale, la IFOR (Implementation Force), ha iniziato il proprio mandato il 20 dicembre 1995. Compito principale era quello di tradurre in pratica la parte militare degli accordi di pace, che riguardava il ritiro degli eserciti all’interno delle linee etniche, lunghe 1.400 chilometri. La IFOR, in quel primo anno del dopoguerra, contava 60.000 soldati.
Dopo le prime elezioni del dopoguerra, nel settembre del 1996, la missione della IFOR era conclusa, e dopo il termine del primo anno di mandato, il 20 dicembre 1996 ha avuto inizio il mandato della Forza di Stabilizzazione, la SFOR, sottoposta al comando del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I compiti specifici della SFOR erano: impedire la escalation delle ostilità o nuove minacce alla pace, assicurare un clima necessario alla continuazione del processo di pace, appoggiare le strutture della amministrazione civile secondo le possibilità. Rispetto alla IFOR, il numero delle truppe veniva quasi dimezzato: nel 1996, circa 32.000 soldati indossavano la uniforme della SFOR.
Nel corso degli anni successivi, il numero delle truppe diminuiva sempre di più: nel 1999 erano ancora 32.000 i militari SFOR a pattugliare la Bosnia Erzegovina, ma nel 2002 il numero è diminuito a 16.000, mentre alla fine del mandato, a metà del 2004, il numero è ulteriormente sceso a 7.000 soldati in tutto, divisi in tre zone di responsabilità, con centri a Banja Luka, Mostar e Tuzla e il comando principale presso la base Butmir, a Sarajevo.
La cattura di Radovan Karadžić e la scoperta della sua rete di sostegno
La progressiva riduzione nel numero delle truppe era collegata al miglioramento generale dello stato della sicurezza in Bosnia Erzegovina, ma non si è mai omesso di sottolineare che le truppe della SFOR erano mobili e molto reattive, in grado di reagire ad ogni tipo di minaccia nei confronti della propria missione, così come ad ogni informazione relativa alla ubicazione dei più ricercati tra i sospettati per crimini di guerra.
Il fatto che il leader di guerra dei Serbo Bosniaci sia ancora in libertà, rappresenta la maggiore macchia nella pluriennale missione della SFOR in Bosnia Erzegovina. Anche se a più riprese la SFOR ha affermato che l’arresto dei criminali di guerra è responsabilità soprattutto delle autorità locali, nessuno ha mai seriamente creduto che Karadžić potesse andare all’Aja attraverso il Ministero degli interni della Republika Srpska.
Gli analisti militari francesi hanno contato in tutto 9 operazioni di arresto di Karadžić, fallite a causa della sofisticata rete di sostegno e della impreparazione delle forze dei Paesi incaricati dell’arresto. Il fatto è che, con l’aumentare della preparazione della SFOR per arrivare all’arresto di Karadžić, cresceva anche la capacità del latitante di nascondere le proprie tracce, soprattutto dopo la caduta e l’arresto di Slobodan Milošević. Se nel 1996 e 1997 Radovan andava a passeggio quasi liberamente nelle parti orientali della Bosnia Erzegovina, trattava con vari inviati esteri la sua possibile apparizione di fronte alla giustizia, passava nel nativo Montenegro con il biglietto di ritorno in tasca, oggi è molto più cospirativo. Dei cinque milioni di dollari messi a disposizione per ottenere informazioni su Radovan Karadžić e Ratko Mladić, si dice che siano stati spese solo alcune centinaia di dollari, che hanno avuto come risultato l’arresto e le indagini condotte nei confronti dei complici di Karadžić, in primo luogo Bogdan Subotić, Dušan Tešić Bato, Željko Janković Luna e Milovana Cicka Bjelice.
Tuttavia, la SFOR ha lasciato ai propri eredi della EUFOR la ricerca del più importante tra i latitanti dell’Aja, e il peso di numerosi insuccessi, tra i quali l’ultimo, all’inizio di aprile di quest’anno, è stato anche il più tragico.
Nell’aprile del 1998 si segnala il primo tentativo di arresto a Pale, nel corso dell’azione "Stella mattutina", nel quale sono stati coinvolti militari tedeschi, italiani e francesi con elicotteri e mezzi di trasporto. Nell’estate del 2001 veniva dato il via alla operazione "Cervello", nel corso della quale sembrava che la SFOR finalmente avesse deciso di mettere il sale sulla coda dell’uccellino dell’Aja. L’anno scorso, il primo marzo, la SFOR ha compiuto un raid nel villaggio di Čelebići non lontano da Foča, del quale si ricorda soprattutto la rabbia e la derisione della popolazione locale. In estate, la SFOR è ritornata in quel villaggio, ma passando al setaccio anche il più vasto territorio di Višegrad, Foča e Trebinje. Tuttavia, il primo di aprile non c’è stato più niente da ridere quando nel corso dell’azione a Pale sono stati feriti gravemente il prete ortodosso locale, Jeremiah Starovlah, e il suo figlio Aleksandar. Questa volta non c’è stata la derisione per l’insuccesso, è rimasta solamente la rabbia. Fortunatamente, il prete e suo figlio sono rimasti in vita.
E’ andata diversamente per tre Serbo Bosniaci: Simo Drljača, Dragan Gagović e Janko Janjić. Simo Drljača, capo della polizia di Prijedor durante la guerra, è stato ucciso durante il tentativo di arresto del 10 luglio 1997. Gagović è stato ucciso il 9 gennaio del 1999, dopo che dal proprio veicolo, nel quale si trovava anche il figlio minorenne, ha sparato contro i soldati della SFOR. Janjić, nel corso della operazione di arresto il 10 ottobre del 2000, ha attivato una bomba, uccidendosi nel proprio appartamento a Foča e ferendo anche 4 soldati del contingente tedesco della SFOR. Diversamente da questi tre episodi, la SFOR ha arrestato e mandato nelle prigioni dell’Aja 28 ricercati per crimini di guerra, tra i quali Momčilo Krajišnik (che i soldati della SFOR hanno tirato fuori di casa letteralmente in pigiama, senza lasciargli il tempo di cambiarsi), Radoslav Brđanin, Stanislav Galić, Radislav Krstić, Naser Orić ecc.
L’opinione pubblica bosniaca ha reagito duramente all’arresto del comandante di guerra di Srebrenica, ritenendo che non era necessario utilizzare la forza nel corso dell’azione del 10 aprile 2003, dato che Orić si sarebbe consegnato da solo.
La guerra contro il t[]ismo
La pressione dell’opinione pubblica e dei media si è fatta sentire anche nel caso di Sabahudin Fiuljanin, l’unico arrestato per il quale gli uomini della SFOR, solitamente riservati, hanno affermato pubblicamente di aver dimostrato senza alcun dubbio che si trattava di un uomo di Al Qaeda in Bosnia Erzegovina!
Fiuljanin è stato rinchiuso nella base della SFOR a Tuzla, dopo che il 26 ottobre del 2002 il personale della base aveva notato i movimenti sospetti di Fiuljanin intorno all’edificio. Senza prove consistenti, l’arrestato ha passato tre mesi in carcere, fino all’11 gennaio del 2003. Le controversie maggiori erano state sollevate dalla lettera d’addio nella quale Fiuljanin, vero musulmano, dichiarava ai genitori che stava andando "a fare un lavoro" lett.: "u trgovinu", a commerciare, ndt per il quale "Allah lo avrebbe premiato con la Dženneta", che molti hanno interpretato come un passo verso la morte nella strada di Dio.
Fiuljanin è stato interrogato su Al Qaeda, sulla Twra, organizzazione umanitaria che si dice legata al t[]ismo islamico, sul viaggio che aveva intenzione di compiere in Iran ecc.
Oltre al mai dimostrato t[]ista Fiuljanin, la SFOR in Bosnia Erzegovina si è occupata in maniera ancora più consistente dei mezzi finanziari del t[]ismo, e numerose organizzazioni umanitarie di carattere islamico sono state oggetto delle loro indagini, come Al-Furqhan, Al-Haramein e altre.
La morte del presidente macedone
Presumibilmente all’inizio si è pensato ad un atto t[]istico, quando il 26 febbraio 2004 si è diffusa nella regione la notizia che il presidente macedone Boris Trajkovski era morto in un incidente aereo presso Bitunja, vicino a Stoca. Subito dopo l’incidente, le autorità locali e le istituzioni straniere hanno dimostrato una mancanza di coordinamento che ha causato confusione anche nei giorni seguenti (fino alla ubicazione dei resti dell’aereo e al ritrovamento dei corpi).
I controllori di volo della SFOR hanno dichiarato dall’aeroporto di Mostar che l’aereo, con il presidente macedone e altri nove membri dell’equipaggio e viaggiatori, era scomparso dai radar intorno alle 8.15 del mattino. Il giorno stesso, il Primo Ministro Adnan Terzić ha proclamato un giorno di lutto, citando le informazioni della SFOR secondo le quali era stato ritrovato l’aereo con i resti di 4 corpi, cosa in seguito smentita. I primi giorni, secondo Terzić e le inchieste ed articoli dei media, le istituzioni locali bosniache, ndt erano state estromesse dalle indagini che erano condotte esclusivamente dalla SFOR, cosa invece smentita dalla forza di Stabilizzazione, che si è giustificata per il complicato processo di coordinamento.
Il corpo è stato trovato dopo 25 ore di ricerca. Al termine di una inchiesta indipendente, è stato accertato che il motivo della sciagura risiedeva in un guasto all’aereo, e non in un []e umano. Allo stesso tempo, si è accertato che gli alti responsabili della SFOR non avevano nessuna fiducia nelle istituzioni locali, come neppure nel livello di professionalità e nei risultati della loro inchiesta.
Come del resto neppure una buona parte dei cittadini.
I comandanti e i militari della SFOR sono stati attivamente coinvolti nella trasformazione delle forze militari della Bosnia Erzegovina, ciò che rappresenta una delle precondizioni per l’ingresso del nostro Paese nel programma di Partnership per la Pace, collegato al successivo ingresso nella Nato: oggi esiste un comando unico sulle forze armate della Bosnia Erzegovina, che contano 12.000 effettivi, un numero cinque volte superiore rispetto al 1995.
La SFOR ha svolto un ruolo attivo nell’impedire la "rivoluzione di velluto" stabilita dall’autogoverno croato, in relazione alla terza entità.
Nel processo di sminamento della Bosnia Erzegovina, la SFOR ha svolto un ruolo attivo nella formazione dei quadri locali. La costruzione di acquedotti, di impianti per il gas, elettrodotti, l’aiuto ai ritornanti per la ricostruzione delle case, le strade per raggiungere villaggi isolati, la ricostruzione dei ponti distrutti… Sono tutte cose che la SFOR ha fatto lontano dalla attenzione dei media e dai principali avvenimenti socio-politici.
Quando le truppe armate della IFOR sono arrivate in Bosnia Erzegovina, nel 1995, i cittadini li hanno accolti con un sorriso sul volto, almeno nella parte del Paese sotto il controllo dell’Esercito della Repubblica BiH. Eravamo ancora troppo felici per la fine della guerra per essere disillusi dalla pace. Oggi che la SFOR se ne va, se ne va silenziosamente, senza entusiasmi né rimpianti da parte dei Bosniaci.
Ci siamo già abbastanza abituati alle ingiustizie e agli insuccessi della pace, e così ci siamo dimenticati di aver un tempo voluto la SFOR, i soldati armati della NATO e degli altri Paesi, resta solo quello che aveva sognato l’autore di un graffito a Goražde: SFOR – Stay FORever. (1 – continua)
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