L’importanza del primo passo

Il sindaco serbo del villaggio di Knezevo/Skender Vakuf propone di edificare un monumento per ricordare l’eccidio di 252 bosgnacchi lì avvenuto nel 1992. "Vogliamo prendere le distanze da quel crimine e mandare un messaggio alle generazioni future". Segnali di vita

27/01/2006, Massimo Moratti - Sarajevo

L-importanza-del-primo-passo

Di Massimo Moratti, per ICHR, Newsletter n.5, gennaio 2006, (Titolo originale: "The importance of the first step")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta

Era il 21 agosto 1992 quando due autobus che deportavano dei bosgnacchi dai famigerati campi di concentramento di Prijedor si fermarono a Koricanske Stijene, una località vicina a un’altura nella municipalità di Knezevo/Skender Vakuf.

Knezevo/Skender Vakuf è una piccola municipalità rurale della Republika Srpska, sul monte Vlasic, non lontano da Banja Luka. La squadra d’intervento della polizia di Prijedor fece scendere a forza i bosgnacchi dall’autobus, li fece inginocchiare sul dirupo e aprì il fuoco. 252 persone persero la vita, sia per i colpi dei fucili sia gettandosi nel vuoto. Più tardi i corpi furono rimossi o bruciati, al punto che si poterono ritrovare pochissimi resti umani.

Per questo massacro Dado Mrdja, uno dei funzionari di polizia all’epoca responsabili, fu condannato in primo grado dal Tribunale Internazionale dell’Aja (ICTY) a 17 anni di prigione per aver partecipato al massacro. Per quanto ne sappiamo nessun altro colpevole è stato portato in tribunale.

Sette anni dopo, nel 1999, Zeljko Kopanja, capo redattore del giornale Nezavisne Novine di Banja Luka, pubblicò una serie di articoli sul massacro, infrangendo in Republika Srpska il tabù sui crimini commessi dalle forze serbo bosniache. Il fatto diede l’avvio nella Republika Srpska a un dibattito sorprendentemente vivace sui crimini di guerra. La speranza era che altri esempi simili sarebbero seguiti.

Purtroppo il dibattito fu costretto al silenzio da un tentativo di uccidere lo stesso Zeljko Kopanja, nell’ottobre 1999. Kopanja perse entrambe le gambe nell’esplosione di un ordigno collocato sotto la sua automobile. Gli autori del tentato omicidio non sono mai stati scoperti.

In molti casi i crimini in Bosnia Erzegovina furono commessi alla luce del sole, davanti a molti testimoni. Le recenti scoperte della commissione su Srebrenica mostrano con chiarezza che migliaia di persone furono coinvolte nei crimini.

Di solito però un muro di omertà circonda i crimini. Gli abitanti delle località in cui furono commessi i crimini tendono a negare questi eventi, o a parlarne solo dietro porte ben chiuse. Un insieme di paura di ritorsioni, senso di colpa e riluttanza a farsi avanti sono probabilmente i fattori principali che impediscono alla gente di parlare e allo stesso tempo di riconoscere le sofferenze delle vittime.

Ma l’episodio di Koricani sembra fare eccezione. Poche settimane fa il sindaco serbo di Knezevo/Skender Vakuf, Bore Skeljic dell’SNSD (Partito socialdemocratico indipendente serbo, ndc), ha avuto il coraggio di fare il primo passo. Ha scritto al membro bosgnacco della Presidenza bosniaca, Sulejman Tihic, e gli ha proposto di costruire un monumento in memoria dei bosgnacchi uccisi a Koricani.

«Mi sentivo in dovere di farlo, per le vittime di quell’episodio. Knezevo non ha mai avuto nulla a che fare con il crimine e da parte nostra noi vogliamo prendere le distanze dall’accaduto. È anche un messaggio per le generazioni future, che non si ripeta mai più niente di simile. Non capisco perché qualcuno dovrebbe esserne sorpreso».

Il sindaco Skeljic parla apertamente di questa iniziativa e di quanto accadde allora a Koricani. Ha scritto alla Presidenza della Bosnia Erzegovina e ha preso contatto col sindaco di Travnik, con l’intento di cooperare alla realizzazione del progetto. Nel corso della realizzazione essi si terranno in contatto coi parenti delle vittime provenienti da Prijedor.

Il sindaco Skeljic ritiene che in maggioranza i suoi concittadini lo appoggeranno, e che finora semplicemente nessuno di loro ha avuto il coraggio di fare il primo passo. Naturalmente, dice, ci sono quelli che ancora tentano di negare che ci sia mai stato un crimine, e a loro tutto questo non piace, ma «noi speriamo che le loro idee presto verranno archiviate».

Se le cose vanno secondo i piani, il memoriale dovrebbe essere finito per l’estate del 2006, esattamente nel mezzo della campagna elettorale in cui i partiti si contenderanno altri quattro anni di mandato. In quell’occasione la maggior parte di loro si appellerà ai sentimenti nazionalisti per conquistare l’appoggio degli elettori, ma il sindaco Skeljic è determinato a respingere ogni interferenza politica. «Non permetteremo che questo progetto diventi parte della campagna elettorale», dice con fermezza.

L’iniziativa di Bore Skeljic è un piccolo passo nel processo di riconciliazione in BiH. Senza pressioni esterne, nella sua piccola municipalità, Bore Skeljic sta affrontando il passato e rendendo giustizia alla vittime. È anche un modo per distinguersi, egli stesso e la sua comunità, dagli autori del crimine e per respingere quella colpa collettiva che da tanti anni incombe su Knezevo/Skender Vakuf.

Un piccolo ma positivo e concreto esempio di come si possa arrivare alla riconciliazione attraverso iniziative locali.

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