La vergogna di Ambrus
Una famiglia di rom costretta alla macchia per evitare il linciaggio e poi ”deportata” in un campo d’accoglienza per stranieri. E’ anche questo la civile Slovenia. Preoccupante incremento della xenofobia
Come in un film sull’Alabama degli anni ’60 da vari giorni ormai 25 membri di una famiglia rom, insediata da decenni a Dečja vas – presso il villaggio di Ambrus nel comune di Ivančna Gorica nella regione sudorientale slovena della Dolenjska – si nascondeva t[]izzata nel bosco per sfuggire al linciaggio minacciato dagli abitanti del paese. Nel gruppo c’erano anche donne, molti bambini e persino una partoriente.
Il ministero degli Interni ha ordinato alla polizia di "accompagnare" la numerosa famiglia nel campo di permanenza per stranieri di Postumia. In pratica il governo ha deciso di interrompere la pericolosa escalation con una piccola deportazione che per il momento dovrebbe rassicurare gli abitanti sloveni di Ambrus e allentare la tensione nel villaggio dove già da anni sloveni locali e rom, che nella Dolenjska sono particolarmente numerosi, si guardano in cagnesco e dove lo stato o è assente o irrompe – con fare risoluto e comunque sempre discriminatorio – solo quando la situazione si fa tragica.
I rom avevano dovuto lasciare in fretta il loro insediamento dopo che la situazione era precipitata a causa di alcuni scontri tra la popolazione locale slovena ed alcuni individui dell’insediamento seminomade. A farne le spese era stato un paesano di 57 anni, Jože Šinkovec, colpito alla testa in una collutazione e attualmente in coma. A sferrare il micidiale colpo non era stato però un rom, bensì uno sloveno, R.Č., un personaggio che in passato aveva avuto guai con la giustizia e che la comunità rom aveva accolto nel proprio insediamento 9 mesi fa.
Ciò è bastato per far scattare la scintilla di una xenofobia che covava da molto tempo e che si alimentava anche di episodi generati dalla latitanza di chi a livello nazionale e locale avrebbe dovuto risolvere, senza mai farlo, problemi apparentemente futili ma molto concreti; come quello delle infrastrutture che i rom richiedevano per le loro case, baracche e rulotte e che la comunità locale negava richiamandosi a limiti di carattere ecologico dell’area occupata, a loro detta abusivamente, dalla numerosa famiglia Strojan.
Il capostipite della famiglia, un certo Brajdič, era natio di queste zone e dopo la guerra, dove aveva combattuto con i partigiani di Tito, vi era tornato mettendo su una famiglia con 12 figli e costruendo una casa vera e propria ai limiti del bosco, tra Ambrus e il villaggio di Zagradec. Cosa che non è mai piaciuta agli abitanti del posto. Proprio qui due anni fa avvenne anche un gravissimo quanto misterioso fatto di violenza razzista: una granata fu lanciata contro una baracca rom da ignoti uccidendo una madre e la sua piccola figlia.
Le faide locali erano poi continuate creando una situazione insostenibile sfociata infine nella violenza di cui vittima è stato lo sloveno attualmente in coma. "Non siamo stati noi", si difendono gli Strojan, messi sotto accusa dalla comunità locale secondo la quale sarebbero rei di dare asilo a R.Č. Per evitare il linciaggio e la vendetta dei paesani, armati di fucili da caccia, gli Strojan hanno abbandonato le proprie case e si sono rifugiati nel bosco circostante. Da lì, dopo vari giorni di tensione e paura, la polizia li ha scortati al campo di permanenza quasi dismesso di Postumia, dove – stando alle assicurazioni del ministro degli Interni Dragutin Mate – dovrebbero rimanere solo un paio di settimane, in attesa che si trovi una soluzione alternativa a quella osteggiata dalla popolazione locale di Ambrus.
Il razzismo anti-rom sta diventando tra gli sloveni particolarmente acceso negli ultimi anni e c’è chi indica proprio nella politica del governo Janša , fortemente discriminatoria e volutamente latitante in fatto di legislazione specifica, una delle maggiori cause dell’odio montante e della mancata soluzione dei problemi legati agli insediamenti nomadi.
Non a caso Janez Janša puntò, nella sua campagna elettorale, proprio sui sentimenti anti-rom particolarmente forti nella Dolenjska, da dove lo stesso premier arriva. Guidò a Lubiana, davanti alla sede del governo, anche una manifestazione di protesta contro le "concessioni" ai rom dell’allora governo liberaldemocratico di Anton Rop e nella sua natia Grosuplje sostenne con forza il veto contro ogni diritto di rappresentanza dei rom locali negli organi comunali, come auspicato dalla legislazione nazionale.
Anche il sindaco di Ambrus è membro dell’SDS, il partito di governo, ma in paese è stato fischiato perché considerato troppo "morbido" con i nomadi. Ecco quindi farsi strada la xenofobia più estrema, quello del Partito nazionale sloveno di Zmago Jelinčič, che per i "cigani" (è questo il solo termine, in Slovenia spregiativo, che usa il parlamentare ultranazionalista) prospetta soluzioni più rapide e meno aperte al dialogo.
Un anno fa il governo, per mano del ministro dell’Educazione Milan Zver, risolse "il problema" degli alunni rom nelle scuole slovene della Dolenjska, la cui presenza era osteggiata dai genitori "bianchi" creando un sistema educativo parallelo e segregazionista. Del tema scrivemmo anche su Osservatorio.
Molto preoccupate per lo sviluppo della situazione sono tutte le maggiori organizzazioni rom della Slovenia. Zoran Grm, presidente dell’associazione dei rom della Dolenjska e consigliere comunale di Novo Mesto ha annunciato una protesta presso le istituzioni comunitarie europee.
Costernato per gli sviluppi di Ambrus si dice pure l’ombudsman Matjaž Hanžek che definisce la deportazione cautelativa a Postumia, sotto la minaccia di un linciaggio, un pericoloso precedente e un collasso dello stato di diritto.