Israele-Turchia: prove di normalizzazione
Turchia e Israele hanno congelato le relazioni bilaterali nel 2010, in seguito all’attacco alla Mavi Marmara, e dopo un progressivo peggioramento dei rapporti. Il dialogo tra i due paesi, sostiene però Gallia Lindenstrauss, ricercatrice presso l’Institute for National Security Studies di Tel Aviv, non si è mai interrotto, e potrebbe portare presto ad una normalizzazione. Nostra intervista
La Turchia e Israele avrebbero raggiunto un accordo per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, congelate dal maggio 2010. Gli ultimi sviluppi nelle trattative segrete in corso tra Ankara e Tel Aviv e il recente via libero israeliano alla costruzione di un ospedale “turco” a Gaza sembrano confermare questa ipotesi. L’irrisolto conflitto israelo-palestinese rende però la pace tra i due paesi ancora lontana. Osservatorio Balcani Caucaso ne ha parlato con Gallia Lindenstrauss, ricercatrice presso l’Institute for National Security Studies di Tel Aviv ed esperta di politica estera turca.
Qual è oggi lo stato delle relazioni tra Turchia e Israele?
Le relazioni tra Turchia e Israele sono di fatto congelate: Ankara ha assunto da tempo un atteggiamento molto critico verso Israele, in particolare riguardo alla questione palestinese. Rispetto agli anni novanta, il periodo d’oro delle relazioni turco-israeliane, il rapporto tra i due paesi è oggi ai minimi termini. Diversi incidenti hanno allontanato negli ultimi anni Ankara e Tel Aviv. Innanzitutto il duro attacco del premier turco Recep Tayyp Erdoğan a Shimon Peres durante il meeting di Davos del gennaio 2009 (in seguito all’attacco contro Gaza dell’anno precedente), e poi naturalmente l’incidente della Mavi Marmara nella primavera dell’anno successivo.
Sull’attacco alla nave diretta a Gaza la versione turca e quella israeliana sono profondamente divergenti. Per i turchi a bordo della nave c’erano pacifisti che volevano distribuire aiuti umanitari a Gaza. Per Tel Aviv, che ritiene il blocco navale di Gaza come indispensabile per impedire ad Hamas di rifornirsi di armi, sono stati invece proprio gli attivisti turchi a cercare lo scontro.
Ora però, a due anni e mezzo dal congelamento delle relazioni diplomatiche, l’accordo tra Turchia e Israele sembra a portata di mano. Cosa ne pensa?
Negli ultimi anni il negoziato tra turchi e israeliani non si è mai fermato e le parti sono quasi arrivate a un accordo. Israele è disponibile a pagare un indennizzo alle famiglie delle vittime e a presentare le proprie scuse alla Turchia. Tuttavia il nodo principale rimane la terza condizione posta da Ankara: la fine del blocco di Gaza. Questa richiesta è percepita in Israele come la dimostrazione che la Turchia non vuole veramente arrivare a un accordo perché Erdoğan preferisce, per ora, godere dei vantaggi che derivano dalla sua forte politica anti-israeliana per cui viene considerato quasi un eroe dai palestinesi e nel mondo arabo.
L’approccio di Ankara è sempre molto emotivo, come dimostrato dalla retorica aggressiva adottata dai rappresentanti del governo turco quando parlano della politica estera di Tel Aviv. Israele invece ha bisogno di segnali che confermino che la Turchia vuole davvero la normalizzazione delle relazioni diplomatiche. A rendere ancora più complesso il quadro c’è la questione di Cipro. Tel Aviv sta collaborando con le autorità greco-cipriote impegnate nella ricerca di giacimenti di gas nel Mediterraneo, un’iniziativa considerata illegittima da Ankara, almeno fino a quando l’isola rimarrà divisa.
A livello di opinione pubblica, che percezione c’è in Israele del governo Erdoğan e della Turchia nel suo insieme?
Credo che Erdoğan in Israele sia una figura detestata, soprattutto per i suoi frequenti attacchi contro Tel Aviv. Dal 2010 i cittadini israeliani hanno paura di andare in Turchia, e anche se non esiste un pericolo reale, si sentono insicuri. Gli israeliani, però, sono un popolo pragmatico e visto che hanno già molti nemici nella regione comprendono che trovare un compromesso con la Turchia è importante per garantire al paese maggiore sicurezza.
Che importanza ha la Turchia per Israele?
La Turchia è molto importante per Israele, probabilmente molto più di quanto Israele lo sia per la Turchia e forse è proprio questo il motivo principale per cui non si è ancora arrivati a un accordo. Tuttavia se guardiamo alla situazione nella regione, Ankara e Tel Aviv hanno anche obiettivi comuni. Innanzitutto entrambi vogliono che l’Iran blocchi il suo programma nucleare, allo stesso tempo la guerra in Siria preoccupa sia la Turchia che Israele, infine per entrambi la ripresa del processo di pace in medio-oriente è molto importante: in questo senso credo che la Turchia possa giocare in futuro un ruolo di rilievo nel dialogo con i palestinesi.
Quali pensa saranno gli sviluppi a breve termine, un accordo tra Israele e la Turchia è vicino?
I rapporti diplomatici tra Turchia e Israele sono strettamente legati al conflitto israelo-palestinese. Su questo punto, come è noto, Ankara e Tel Aviv hanno approcci diversi: per Israele Hamas è un’organizzazione t[]ista che va emarginata, per il governo turco invece è un attore legittimo con cui è possibile dialogare, tanto che il leader del movimento islamico, Khaled Mashal, si è recato molte volte ad Ankara dove è stato ricevuto da Erdoğan con onori degni di un capo di stato.
Nonostante questo rimango ottimista, visto che è stato raggiunto un accordo di massima su due delle tre condizioni poste da Ankara per normalizzare le relazioni diplomatiche,quelle relative alle scuse e agli indennizzi alle famiglie delle vittime della Mavi Marmara. Il punto dirimente rimane la richiesta turca di mettere fine al blocco di Gaza, ma anche su questo tema, anche se è poco probabile che Tel Aviv decida di togliere immediatamente l’embargo, si possono trovare soluzioni di compromesso, come ad esempio il passaggio degli aiuti umanitari turchi via terra.
Il Likud di Benjamin Netanyahu ha vinto le elezioni politiche del 22 gennaio, ma non ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti. Sono in corso le trattative per formare un governo di coalizione. Nel post-elezioni prevede un’accelerazione del dialogo tra Israele e Turchia?
Sicuramente ci sarà un nuovo tentativo di arrivare a un accordo. Benjamin Netanyahu, da primo ministro, si è mostrato disponibile al dialogo, ma le trattative non hanno avuto successo. Rispetto al futuro molto dipende da quali saranno i partiti che sosterranno il nuovo governo, molto probabilmente Yesh Atid [movimento laico di centro guidato da Yair Lapid e principale partito dopo il Likud di Netanyahu, ndr] farà parte della coalizione e questo è di sicuro un fattore positivo, ma per avere la maggioranza dei seggi è necessario l’appoggio di un altro partito.
Se la terza forza di governo sarà l’estrema destra di Naftali Bennett, Netanyahu sarà costretto ad occuparsi soprattutto di economia e problemi interni, se invece in alternativa la coalizione godrà dell’appoggio dei partiti ebrei ortodossi il processo di pace con i palestinesi potrebbe riprendere e di conseguenza anche arrivare a un accordo con la Turchia diverrebbe più facile.
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