Albania: le elezioni cruciali per l’Europa

Polso, unità e convinzione. L’UE non dovrebbe essere ambigua rispetto alla imminente tornata elettorale in Albania. Gli standard democratici vanno rispettati. E’ importante per i cittadini albanesi, è importante per l’Europa intera. Un’intervista a Gerald Knaus, direttore dell’ESI

10/05/2013, Redazione Redazione -

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Gerald Knaus - ESI

Cosa può fare l’Unione europea per evitare che la polarizzazione attuale in Albania porti al fallimento delle prossime elezioni?

Due cose sono importanti. La prima è di non illudersi. Molte delle elezioni precedenti in Albania sono state segnate da controversie, con irregolarità e risultati elettorali messi in discussione. E’ avvenuto anche nel 2009. Dopo le elezioni la politica è risultata paralizzata, il parlamento boicottato, alcuni membri dell’opposizione hanno avviato uno sciopero della fame.

Si può certo sperare in un esito positivo e in elezioni non contestate per il giugno 2013, ma le politiche UE dovrebbero essere basate sull’assunto opposto: che queste elezioni vedranno margini risicati e contestati e che ogni partito cercherà di mettere pressione sull’amministrazione elettorale.

Alla fine, chiunque perderà metterà in dubbio la legittimità dell’esito elettorale e protesterà. E in questo scenario la grande perdente è l’Albania stessa.

E dato che questo è un esito possibile, e direi probabile, diviene importante che l’UE esprima una posizione univoca, chiara e di principio già prima delle elezioni. L’UE ha affermato che si aspetta che queste elezioni rispettino gli standard “europei ed internazionali”. Ora deve chiarire con più precisione e concretezza ciò che intende, quali sono le linee rosse che non devono essere oltrepassate. E si badi bene che questo non riduce la sua flessibilità. Al contrario: è una precondizione per essa per influire effettivamente su quanto accade. E se le linee rosse vengono superate e si infrangono le regole, come avvenuto recentemente con l’illegittima revoca del mandato ad un membro della Commissione elettorale centrale, la UE deve denunciarlo con più convinzione.

E soprattutto l’UE deve provare a stare unita. La Commissione europea, tutti i principali gruppi presso il parlamento europeo, dal centrodestra, ai liberali, al centrosinistra, tutti gli stati principali, come Italia e Germania, dovrebbero dire ai partiti di Tirana la stessa cosa: queste sono le nostre linee rosse. Non abbiate tentazioni di superarle. E poi, chiunque vinca, dovrà essere riconosciuto anche dallo sconfitto.

E cosa significa questo concretamente? Recentemente il parlamento albanese ha revocato il mandato a un membro della Commissione elettorale centrale (CEC)? L’UE dovrebbe già dichiarare ora che è stato un procedimento illegale? E che di conseguenza le prossime elezioni saranno irregolari? Non diminuisce questo la sua capacità di influenzare in modo positivo il corretto svolgimento delle prossime elezioni?

Abbiamo proposto alcune specifiche linee rosse, che riguardano elementi essenziali sempre messi in discussione in Albania: l’elezione dei funzionari che hanno il compito di supervisionare il voto ed il conteggio e il processo di consegna e valutazione dei ricorsi. In particolare i ricorsi devono essere valutati seguendo strettamente le procedure previste dalla legge elettorale. Se vi sono problemi questi possono essere risolti attraverso un meccanismo di ricorso che funziona. Ma in tutto questo ha un ruolo vitale la Commissione elettorale centrale.

Attualmente l’Albania ha una buona legge elettorale. E alcune sue norme sono chiare in modo cristallino: i membri dell’amministrazione elettorale non possono essere rimossi per ragioni che non siano previste esplicitamente nella legge elettorale stessa. I membri della Commissione elettorale centrale sono nominati su base politica per voto parlamentare, ma poi diventano qualcos’altro, come i membri della Corte suprema americana scelti dal presidente e dal senato: divengono i guardiani delle regole. E vi è un motivo per cui vengono eletti per sei anni e non possono essere dimessi a meno non compiano un crimine: devono agire sulla base della legge elettorale e difenderla, non essere coinvolti nella politica dei partiti. Desidereranno che il “loro” partito vinca? Forse, ma questo deve essere irrilevante nello svolgimento del loro mandato.

Ora, accettare fin dall’inizio l’assunto che la CEC, in Albania, non sarà mai apolitica, significa rinunciare al minimo di standard democratici ancor prima che un singolo voto venga inserito nell’urna! E questo manda un messaggio terribile.

Alcuni potrebbero contestare: è irrealistico aspettarsi che si faccia marcia indietro rispetto alla recente revoca del mandato al membro della CEC. E forse tutto andrà per il meglio d’ora in poi: il voto, il conteggio, poche contestazioni risolte in modo pacifico, un risultato elettorale chiaro. Qualcuno allora si ricorderà del dibattito sulla CEC?

Ma non andrà tutto bene. Lo dimostra il passato. E la CEC non è un attore marginale nelle elezioni. Deve essere considerata legittima e che operi secondo la legge. Se le cose andranno storte, ho paura che la gente guarderà indietro alla revoca del mandato ad un membro della CEC, al conseguente collasso di quest’istituzione e alla limitata reazione internazionale come un iniziale punto di svolta negativo.

Invece immaginiamo che l’UE prenda una posizione univoca e chiara ORA. Questo lancerebbe un messaggio chiaro: alcune istituzioni non devono essere toccate. Alcune regole non devono essere infrante. Quello che ora veramente importa è non chi vincerà ma che gli albanesi possano partecipare ad elezioni libere e giuste.

Come può evitare la comunità internazionale di essere vista come partigiana?

E’ una sfida cruciale. Nella quale in passato l’UE ha fallito. Tutti sanno che i vari partiti politici in Europa hanno amici politici in Albania. E’ normale e legittimo. E quindi i vari partiti politici europei sosterranno le tesi dei vari partiti albanesi.

Questo rischia però di diventare un problema serio quando porta i politici in Albania a ritenere che qualsiasi cosa sostengano, riceveranno sostegno dai loro amici all’estero. Il ruolo primario dell’UE dovrebbe essere quello di insistere su tutti i partiti, in modo che giochino per vincere  lealmente. E anche che perdano in modo leale: non vi possono essere proteste di massa dopo ogni elezione.

Questo non dovrebbe essere così difficile. Consideriamo la Croazia negli ultimi dieci anni. Il Partito popolare europeo è sempre stato vicino all’Hdz croata. I socialdemocratici europei invece hanno sostenuto i socialdemocratici di Zagabria. Ma tutti hanno auspicato che le elezioni si tenessero in modo libero e leale, che vi fosse un’alternanza al potere, e che la Croazia si integrasse nell’UE dopo aver consolidato la sua democrazia. E in Croazia si è ottenuto un consensus interno su alcune questioni che andavano oltre la politica dei singoli partiti.

Quali le conseguenze regionali nel caso l’Albania rimanesse bloccata nel suo percorso verso l’UE?

Nel 2009 l’Albania ha presentato al sua candidatura all’UE. Nel 2010 la Commissione europea ha deciso di non procedere ulteriormente ed ha negato all’Albania lo status di candidato ufficiale. Ad oggi è ancora così mentre ad esempio Montenegro, Serbia e Macedonia sono candidati ufficiali. Ovviamente il Kosovo non può presentare la propria candidatura perché non è ancora riconosciuto come stato da tutti gli stati europei. E la Macedonia è bloccata dalla questione del nome. Che potrebbe essere risolta in un mese, in dieci anni, o mai. Quindi rischiamo di vedere una divisione in seno ai Balcani. Un gruppo di paesi che fa progressi (Croazia, Serbia e Montenegro). Mentre gli altri stanno molto indietro. E questo quando vi è già un grande stress sociale e economico che li colpisce. Non sono sviluppi positivi per nessuno, non per gli albanesi della regione e neppure per i loro vicini.

Tornando alle elezioni in Albania. Quale il ruolo degli osservatori elettorali internazionali in tale contesto polarizzato?

Le elezioni del 2009 hanno rispettato “gli standard internazionali”? E’ sorprendentemente difficile rispondere a questa domanda. Sarà più facile per quelle del 2013? Questa è la questione chiave da porre a chi monitorizza il processo elettorale, e questo è decisivo per dire se il monitoraggio a giugno avrà successo o meno.

Gli osservatori elettorali internazionali hanno consapevolezza del fatto che le loro affermazioni hanno delle conseguenze. Se ritengono che il processo elettorale non si è svolto secondo standard democratici possono causare proteste di massa (Ucraina 2004). Se invece riconoscono un esito positivo riducono il livello di influenza politica su qualsiasi altra questione (Ucraina 2010). Vi sono ovvi incentivi nel rifugiarsi in un linguaggio ambiguo. Ma questo può anche essere pericoloso, come abbiamo visto per le elezioni in Albania nel 2009.

Certamente valutare il processo elettorale è difficile. Le istituzioni albanesi sono deboli e le elezioni ormai vicine. Anche piccole irregolarità potrebbero avere un grande impatto. Nel 2009 l’ODHIR, l’istituzione più professionale nel campo del monitoraggio elettorale al mondo, ha riassunto quanto verificato sul campo nel seguente modo “… anche se ha rispettato la maggior parte degli obblighi stabiliti dall’OSCE, queste elezioni non hanno pienamente realizzato il potenziale albanese per aderire ai più alti standard di elezioni democratiche”.

Cosa significa? Vi è un paese nei Balcani, addirittura in Europa, che ha mai raggiunto questi “più alti standard”? Raggiungere “la maggior parte” degli standard OSCE basta davvero per tutelare gli elettori albanesi?

Ritengo vi sia una sfida a cui gli osservatori devono rispondere: essere più chiari e meno ambigui. Speriamo di non dover sentire ad estate inoltrata che le elezioni in Albania hanno rispettato la maggior parte degli standard OSCE ma non hanno pienamente realizzato il potenziale albanese per raggiungere i più alti standard per elezioni democratiche. Potrebbe essere certamente vero. Ma anche irrilevante.

Cosa potrebbero fare stati membri come l’Italia?

Secondo noi l’UE dovrebbe porre una grande attenzione a queste elezioni che sono cruciali. E in questo gli stati membri hanno un grande peso. Chiaramente l’Italia è vicina all’Albania, ha nei suoi confronti interessi e competenze. Ma soprattutto l’Italia attualmente ha un governo di grande coalizione. Un governo che può parlare a tutte le parti politiche a Tirana.

Immaginate se i principali partiti in Italia adottassero una dichiarazione congiunta ora, e spingessero anche l’UE a farlo: insistendo che la Commissione elettorale centrale venga ricostituita prima dell’avvio ufficiale della campagna elettorale, il prossimo 23 maggio, in linea con quanto prevede la legge elettorale e ammonendo che se questo non avvenisse l’UE non considererà la tornata elettorale conforme ai propri standard.

D’altro canto l’Italia dovrebbe inoltre ammonire i partiti politici albanesi che questa volta non dovranno esserci boicottaggi post-elettorali. Le divergenze dovranno essere risolte in seno alle istituzioni competenti, non per strada. E l’Italia dovrebbe spingere molto affinché, nel caso di elezioni libere ed eque, partano immediatamente i negoziati di adesione per l’Albania.

Questo invierebbe un messaggio forte e chiaro. Ciò che accade in Albania oggi interessa all’Europa. Gli italiani lo sanno meglio della maggior parte degli europei.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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