L’altra Armenia: tecnologia all’ombra dell’Ararat

Il settore IT rappresenta il 5% del PIL armeno, con un tasso di crescita del 20% annuo. Le ragioni del successo della Silicon Valley caucasica

27/01/2016, Simone Zoppellaro -

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Arte digitale realizzata dai giovani studenti del TUMO, Yerevan (Foto Simone Zoppellaro)

Prosegue in Armenia l’ascesa del settore della tecnologia dell’informazione. Un successo che dà fiducia alla giovane repubblica caucasica sul cui futuro pesano molte incognite, non ultimo il conflitto per il Nagorno-Karabakh, che ha conosciuto nell’ultimo anno una preoccupante escalation. Con una crescita media annuale di oltre il 20% nell’ultimo decennio, il settore IT (acronimo inglese di information technology) si è affermato come un simbolo per molti armeni: l’orgoglio di una nazione antica che, nonostante la povertà e le difficoltà del presente, riesce a produrre innovazione a livello internazionale. La riscossa di un popolo che ha fatto nel passato – così simile, in questo, al destino degli ebrei – dell’intraprendenza economica e della sua cultura cosmopolita due pilastri della propria identità.

Le cifre spiegano solo in parte il significato di questo successo. Fonti governative parlano di 15.000 impiegati nel settore, in larga parte sviluppatori di software e ingegneri, per un’incidenza totale del 5% circa del PIL, con un fatturato di 550 milioni di dollari circa. Numeri importanti, per un paese di tre milioni di abitanti con oltre il 40% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, con meno di due dollari al giorno. Non è mancato chi ha parlato – in patria e non – di una “Silicon Valley” caucasica: software, applicazioni e videogame, tablet e tecnologia militare (droni inclusi) tutti made in Armenia, questi gli ingredienti del successo.

Un settore centrale per l’economia armena

Nel caso del settore IT, si può dire che gli armeni abbiano fatto – dato l’isolamento politico e geografico – di necessità virtù. Questo paese, che soffre dagli anni novanta il blocco dei confini da parte di Azerbaijan e Turchia, ha due soli sbocchi agibili via terra, con la Georgia e l’Iran. Comprensibili le forti difficoltà nello sviluppo commerciale. Se a ciò si aggiungono un notevole ritardo nello sviluppo delle infrastrutture, dalle strade (spesso in pessimo stato) alle ferrovie, e l’ingombrante presenza di una classe di oligarchi che strangola l’economia locale, si avrà un quadro più completo della situazione.

Per capire quanto incida questa felice eccezione, si devono inoltre tenere presenti i dati dell’economia armena, non proprio incoraggianti. Le previsioni della Banca Mondiale per il 2016 sono state di recente riaggiustate al ribasso: il 2.2% di crescita del PIL, lo 0,5% in meno rispetto a quanto annunciato il giugno scorso. Preoccupa, soprattutto, il crollo delle rimesse e dei trasferimenti dall’estero, che rappresentano per un numero altissimo di armeni la principale fonte di sussistenza, dovuto in larga parte alla crisi dell’economia russa e del rublo. Vi è poi la piaga della disoccupazione, che produce a sua volta una costante migrazione, soprattutto per quel che riguarda i giovani e i lavoratori più qualificati.

Un'aula del TUMO, Yerevan (Foto Simone Zoppellaro)

Un’aula del TUMO, Yerevan (Foto Simone Zoppellaro)

Si comprenderà bene, allora, la centralità di questo settore. Una boccata di ossigeno vitale che è riuscita a svilupparsi senza essere soffocata dalla corruzione imperante, e soprattutto senza essere fagocitata dalla classe degli oligarchi. E proprio tanti impiegati di questo settore si sono resi protagonisti negli ultimi anni dei vari movimenti di protesta che hanno scosso il paese. Non solo Electric Yerevan – di gran lunga il più conosciuto – ma anche quelli che l’hanno preceduto e seguito, in un succedersi pressoché ininterrotto. Nella contestazione contro la riforma pensionistica, all’inizio del 2014, i media locali hanno riportato come addirittura l’80% degli addetti di questo settore siano scesi in strada nelle proteste. E non solo questo: il loro sostegno è stato anche determinante per sviluppare quello che potremmo definire come un marketing della contestazione estremamente efficace: video molto curati e accattivanti, siti, pagine e gruppi sui social network (spesso anche in inglese) e persino adesivi e magliette. Tanto è pesata l’inesperienza organizzativa nelle manifestazioni di strada, quanto invece ha sorpreso la creatività “promozionale”, per così dire, dimostrata da questi movimenti di rottura a livello di comunicazione. E tutto ciò resta inspiegabile senza il supporto degli addetti del settore IT, una classe produttiva che ha un’inevitabile diffidenza nei confronti del malaffare e del parassitismo imperanti a livello politico e affaristico.

Sempre per quanto riguarda il legame fra tecnologia e politica, il successo dell’IT in Armenia è da mettere in relazione anche all’origine di una serie di gruppi di hacker armeni, particolarmente attivi. Sigle come la Monte Melkonian Cyber Army – che porta il nome di un rivoluzionario armeno, eroe della guerra in Nagorno-Karabakh – si sono resi responsabili di numerosi attacchi informatici, in particolare contro siti governativi della Turchia e dell’Azerbaijan. Degli ultimi giorni è la notizia, ad esempio, di un attacco operato da un altro gruppo a 26 siti internet in Azerbaijan, un atto simbolico che – nell’intenzione di chi l’ha compito – avrebbe avuto luogo per ricordare i 26 anni dei pogrom anti-armeni avvenuti a Baku nel gennaio 1990.

Un successo che viene da lontano


Ma qual è l’origine di quest’altra Armenia, innovativa e digitale? Si tratta di un successo che viene da lontano, e che affonda le radici in epoca sovietica, quando l’allora Repubblica Socialista di Armenia si distingueva come uno dei luoghi più all’avanguardia da un punto di vista industriale e tecnologico, con applicazioni che andavano dagli armamenti alle celebri imprese nello spazio. Proprio qui fu fondato, nel 1956, un centro di ricerca per lo sviluppo di macchine automatizzate e computer a fini civili e militari. In seguito al crollo dell’URSS, ci si trovò ad avere così un personale specializzato estremamente a buon mercato, dato il tracollo economico di quel periodo, che ha attirato da subito interessi e investimenti dall’estero, anche con un contributo importante della diaspora armena.

Un problema che ci si è trovati a fronteggiare, data la crescente richiesta di personale specializzato in questo settore, è quello di fornire percorsi educativi che siano in grado di preparare al meglio le nuove generazioni. Nonostante ci sia ancora un vuoto da colmare, non sono mancate le iniziative di successo, e non soltanto nella capitale. La più famosa è senza dubbio il TUMO Center for Creative Technologies, un centro all’avanguardia che si occupa di formare ragazzi fra i 12 e i 18 per questo settore. Inaugurato nel 2011 a Yerevan, ha aperto di recente succursali a Gyumri e a Stepanakert. Una grande speranza, per il futuro dell’Armenia.

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